Ogni grande regista è come un sarto. Deve trovare le giuste misure alla storia, vestire i personaggi addosso agli attori giusti, tagliare e cucire con cura maniacale in fase di montaggio per sfoggiare il suo abito cinematografico migliore. In linea con la sua visione, coerente col suo stile. Per questo, parlando de Il filo nascosto, possiamo definire Paul Thomas Anderson un regista sartoriale, autore di un cinema meticoloso, artigiano (prima che artista) attento al centimetro.
L'ultimo film del regista statunitense conferma quanto Anderson sia interessato al tema dell'ossessione, a personaggi ottusi, quasi assillati, perennemente in ricerca di qualcosa di superiore a cui arrivare. Come se il suo cinema rivelasse la materia della sua grande aspirazione registica. Candidato a 6 Premi Oscar e vincitore di una statuetta ai Migliori Costumi (e ci sembra il minimo), Il filo nascosto è un'opera di rara raffinatezza, sia tematica che puramente tecnica. Eccelso nella forma e nella sostanza, l'ottavo film di Anderson ci conferma perché ogni sua nuova fatica sia percepita da pubblico e critica come evento a cui assistere. Un regalo che ci chiede solo di essere scartato con cura, senza fretta, come si fa con le cose più preziose.
Oggi, in occasione del suo arrivo su Infinity, siamo qui per celebrare un film di rara fattura, una storia d'amore che intreccia romanticismo e disincanto con tatto pregevole. Ecco perché, senza timore di aver preso male le misure, Il filo nascosto è uno dei migliori film del decennio.
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Di che tessuto è fatto l'amore
Uno stilista e la sua musa. Un uomo ossessionato da una vita metodica e una donna pronta a scuoterne le abitudini. Quella tra il rigido Reynolds Woodcock e la sfuggente Alma Elson Sembra la classica storia d'amore in cui l'arrivo di lei cambia lui, ma Il filo nascosto è tutt'altro che prevedibile, scontato, facilmente etichettabile. Nonostante sia pieno di meravigliosi abiti firmati, Il filo nascosto delle etichette non sa che farsene. E così Paul Thomas Anderson ci spiazza e sfugge di continuo a ogni forma di rassicurante classificazione.
Una natura ambigua incarnata alla perfezione dalla complessa relazione tra Reynolds e Anna. Una relazione che ci sbatte in faccia una triste verità: ogni amore è fatta della stessa stoffa dei compromessi. Spietato e cinico, Paul Thomas Anderson si insinua nei punti deboli dei suoi due amanti, nei vuoti che riempiono col bisogno dell'altro, nelle debolezze altrui che li fanno quasi sentire bene, migliori, come narcisi davanti ad uno specchio. Ossessioni e manie, slanci e noia, frasi romantiche e sequenze in cui ci si arriva quasi a detestare. Il filo nascosto mette in scena il meglio e il peggio che un amore riesce a tirare fuori da una persona. Alma e Reynolds si cercano e poi si stanno stretti, hanno bisogno l'una dell'altro e poi si respingono. Il filo nascosto è un film che sin dal titolo risulta criptico, volutamente ambiguo e aperto a tante interpretazioni. Forse il filo nascosto è anche quello che tiene unite due persone anche quando sembrano fare tutto tranne che amarsi.
Una messa in scena elegante
Il Filo Nascosto è l'abito migliore con cui vestire il grande cinema. Tanto sfilacciato, sfibrato, marcio nel tessuto del suo amore profondamente perverso, quanto bello ed elegante nella forma. Ed è sull'incredibile cura riversata nella messa in scena che vogliamo soffermarci. Perché in questo capolavoro assoluto non c'è un'inquadratura messa a caso, non studiata, incapace di raccontare anche senza dialoghi. Non esiste un fotogramma che non abbia qualcosa da dire, che non evochi uno stato d'animo o restituisca una sensazione ben precisa. Il film di Anderson è pieno zeppo di frame simili a dipinti. Frame che, se estrapolati, sono capaci di raccontare un attimo anche senza il fluire della narrazione. Pensiamo alla meravigliosa sequenza della cena, con quella fotografia opprimente, in grado di cogliere alla perfezione la tensione del momento. E come dimenticare la compostezza di ogni modella messa in posa davanti agli occhi severi di Daniel Day-Lewis o le figure dei due amanti che si riconciliano in mezzo al caos festante del party di Capodanno? Alternando con maestria campi lunghi e primi piano, carpendo sia il contesto (una credibile Londra degli anni Cinquanta, ricostruita con nel dettaglio) che l'animo inquieto dei suoi personaggi, Il filo nascosto è una lezione di cinema in ognuno dei suoi 140 minuti.
Daniel Day-Lewis, l'ultimo inchino di un fuoriclasse
Tagliato per la recitazione, perfetto modello attoriale a cui aspirare. Restiamo nel campo semantico della sartoria per definire al meglio il destino di un fuoriclasse come Daniel Day-Lewis. Questo, lo ammettiamo, è un paragrafo che non avremmo mai voluto scrivere, perché quasi certamente Il filo nascosto va ricordato e celebrato anche per l'ultima prova attoriale del fenomenale attore britannico. Nel giugno del 2017, infatti, Daniel Day-Lewis si è ritirato dalle scene. Il nostro aveva già centellinato la sua presenza sul grande schermo girando soltanto quattro film in dieci anni, e confidiamo che possa ripensarci come fatto dopo il primo ritiro (avvenuto tra il 1997 e il 2001) durante il quale si diede all'attività di ciabattino in una bottega di Firenze. Però, qualora Il filo nascosto si rivelasse il suo definitivo addio, sarebbe un grande modo per salutare. Perché significherebbe farlo all'apice, come solo i grandi sono in grado di fare. Il suo Reynolds Woodcock è un oscuro e insondabile mistero. Un uomo schermato, arginato, corazzato, ma anche capace di apprezzare e creare bellezza. Un esteta dal volto statuario in cui l'amore di colpo fa emergere fragilità altrimenti impensabili. Un personaggio tridimensionale, in grado di mettere quasi in soggezione lo spettatore, e che ha esaltato ancora una volta le doti di un attore dal carisma straordinario. Vibrante, imperscrutabile, affascinante dalla prima all'ultima sequenza, crediamo che Reynolds Woodcock sarebbe un perfetto ultimo inchino prima che il sipario si chiuda davanti agli occhi lucenti di un attore enorme chiamato Daniel Day-Lewis.
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