Il fantastico mondo di Donnie
Lo abbiamo atteso a lungo, quasi fino a perdere le speranze. Alcuni lo hanno visto in vari Festival (Torino 2001, Venezia 2004 per quanto concerne l'Italia), altri incuriositi dal gran chiacchiericcio telematico che ha generato, hanno comprato il Dvd in rete. Diverse prassi ma analogo il risultato; pare infatti che chiunque l'abbia visto se ne sia innamorato. Eccolo allora, finalmente (meglio tardi che mai) atterrare sui nostri schermi, pronto ad appassionarci sgomitando per ottenere consensi e il giusto responso in un periodo saturo dalle molte, troppe, uscite. Tutto questo e molto altro è Donnie Darko, folgorante esordio dietro la macchina da presa dell'allora ventiseienne Richard Kelly.
Ambientato emblematicamente durante il confronto presidenziale americano del 1988 tra Bush e Dukakis (l'elezione simbolo della fine degli anni'80, nelle parole del regista), il film narra con rara originalità e talento di Donnie Darko (interpretato alla grande dall'ottimo Jake Gyllenhaal): giovane emotivamente instabile quanto brillante e lucido nel suo sguardo su una quotidianeità americana di provincia gretta e noiosa, ipocrita ed agonizzante, popolata da comparse sbiadite; bigotti e oscurantisti privi di qualsiasi slancio intellettuale e sentimentale. Donnie è un corpo estraneo in questo contesto conformista e poco stimolante e i suoi unici motivi di fuga sono un'affascinante e dissacrante insegnante, una ragazza disadattata di cui si innamora e soprattutto un gigantesco coniglio immaginario che gli suggerisce le strade da prendere.
E' bene non dilungarsi ulteriormente, nel descrivere la bizzarra e fuorviante trama, per analizzare gli aspetti più caratteristici della pellicola. D'altronde, basterebbe il fantastico incipit, con quel magico connubio tra immagini e musica (una comunione forte ed estremamente importante in quanto capace di dare senso a molti degli snodi centrali del plot) per avere la quasi certezza che siamo di fronte a qualcosa di nuovo, fresco, creativo ed ambizioso.
Ma Kelly non spara assolutamente tutte le sue cartuccie all'inizio, come molto cinema ci ha spesso abituato. Ci affascina per tutta la durata del film con la sua innegabile abilità di storyteller, ci incuriosisce con le sue parentesi divertenti e esoteriche, per poi stordirci e lasciarci seduti alcuni minuti al termine della visione, a interrogarci sul significato di quanto si è visto, alla luce del geniale finale che ha fatto tanto parlare. Un finale in cui finiscono per combaciare e prendere vita tutti i dettagli ed i giochetti temporali a cui siamo stati sottoposti; elementi apparentemente insignificanti ad una prima lettura e che diventano parte di un perfetto puzzle al termine della visione.
Si è parlato di cult-movie, di divertente giochetto orchestrato alla perfezione, ma la vera magia che avvolge il film non è da cercare né nell'accattivante strutturazione temporale, né nel grande equilibrio con cui la commedia scolastica giovanile viene ibridata con la science-fiction. Per quanto a un primo impatto sono questi gli elementi che maggiormente possono colpire, la qualità migliore del film di Richard Kelly è il suo tocco personale, la sua compattezza, in altre parole la sua idea di cinema a tutto tondo. Un cinema che va oltre anche la ricchezza tematica e stilistica proposta e che riesce a coniugarla con il racconto del reale, proprietà sempre più rara oggigiorno. Spogliate Donnie Darko di tutti gli apprezzabili orpelli fantascientifici e dei momenti cult e avrete tra le mani un teen-movie amaro come non se ne vedono da anni, un racconto profondo e convincente dell'adolescenza e della vita nella provincia americana, del valore del pensiero critico e dell'importanza degli affetti.
Lontano anche da voglie citazioniste post-moderne a tutti i costi e dalla tipica stilizzazione dei personaggi che caratterizza molto del cinema contemporaneo (anche del migliore), Kelly sa di doversi confrontare con un pubblico alfabetizzato e smaliziato, ma non si fa mai prendere la mano dalle più usuali e iperboliche sublimazioni della cultura pop (sarà magari anche questo un motivo a favore dell'ambientazione fine anni '80 del film?), riuscendo così a mostrarsi originale e mai gratuito o autocompiaciuto.
Omaggia La casa di Raimi con i due protagonisti che lo vanno a vedere al cinema, cita Ritorno al Futuro e non nasconde le sue passioni letterarie più evidenti ma non fa mai delle sue ossessioni una cifra stilistica vera e propria. E' in ragione di questo che la ricerca delle coordinate del suo cinema diventa esercizio di scarso contributo, nonostante appaia chiara la vicinanza a David Lynch. Donnie Darko è un film che viagga nel tempo leggiadro, tra suggestioni iperreali, improvvise disseminazioni di dettagli destabilizzanti e un continuo spiazzamento narrativo. Non fatevelo sfuggire.