Il duro mestiere dell'inseminatore
Il geniale inizio con la banconota da tre dollari (e quindi falsa) con l'effige di Bush e il timbro della Enron faceva presagire chissà quale altro lavoro corrosivo e intenso per Spike Lee. Soprattutto dopo un altro evento-choc, l'improvviso suicidio di Herman Schiller, geniale ideatore di un vaccino anti-Aids che si getta dal quarantesimo piano dell'azienda farmaceutica dove lavora. Ma She hate me smorza subito le speranze.
La storia narra le vicende di John Henry "Jack" Armstrong (Anthony Mackie), vicepresidente di un'azienda farmaceutica con un master in scienze economiche ad Harvard, che viene licenziato quando denuncia i suoi superiori e avvia un'indagine sulle loro relazioni d'affari con la Commissione per il controllo della borsa. L'azienda gli scava il vuoto attorno e Jack si ritrova senza offerte di lavoro. La prospettiva di "denaro facile" gli si prospetta quando si fa viva Fatima (Kerry Washington), la sua ex fidanzata, nel frattempo scopertasi lesbica. Fatima offre a Jack la possibilità di mettere incinta lei e la sua nuova ragazza Alex; presto la voce si diffonderà e Fatima diventerà la sua agente portandogli altre lesbiche smaniose di maternità per diecimila dollari a prestazione. Ben presto però la vita per Jack diventerà estremamente complicata. Soprattutto quando tra le lesbiche aspiranti madri si farà viva Simona Bonasera (Monica Bellucci), la figlia di Don Angelo Bonasera (John Turturro), gustosa parodia del classico mafioso italo-americano.
Spike Lee confeziona un guazzabuglio dove mette tanta carne al fuoco, troppa, e viaggia tra politica, multinazionali disoneste, sesso, inseminazione artificiale, fosche operazioni di borsa e questioni razziali, regalando perfino una spruzzatina di Watergate. Un frullato che risulta anche molto divertente, ma che gioca su gag e situazioni perfino troppo facili quando si ha a che fare con un uomo oggetto costretto a vendere le proprie prestazioni a uno stuolo di lesbiche aggressive.
C'è una breve riflessione un po' su tutto, soprattutto sulla possibilità per una coppia di donne omosessuali di crescere bambini, e infine l'apertura conclusiva a una famiglia più aperta che mai (molto aperta). Ma la sensazione è che non si prende sul serio quasi nulla. E se il protagonista Anthony Mackie fa più che onestamente la sua parte, va sottolineato che pur in un piccolo ruolo troneggia su tutti John Turturro, irresistibile quando scimmiotta il Marlon Brando de Il padrino. Un film insomma che alla fine lascia perfino soddisfatti, nel senso che ci si è fatti quattro risate, ma forse non è esattamente quello che ci si aspetta dall'autore de La 25a ora.