Guardare questo film vi farà vivere un'esperienza come poche, verrete travolti in un vortice di sovrumana violenza che non ha spiegazione, verrete catapultati in una di quelle avventure che non avreste mai voluto vedere sullo schermo ma che non riuscirete a non guardare fino in fondo.
Si intitola I saw the devil (io ho visto il diavolo) la nuova sfida di Kim Ji-woon con il cinema moderno. Un cinema con cui gioca sin dai suoi esordi, architettando sempre nuove magiche combinazioni di generi per raccontare, con il suo stile marcato e senza pudore, gli angoli più oscuri dell'animo umano.
Dopo il dramma familiare, il thriller psicologico, il noir e il western non ci sorprende affatto la scelta del cineasta di approfondire un tema da sempre caro al cinema coreano e asiatico in generale, da lui però ancora mai sviscerato: la vendetta. Quella di un uomo, un agente segreto, perpetrata nei confronti di un assassino seriale che uccide per sfizio, per soddisfare le sue pulsioni sessuali, per il gusto di veder scorrere sangue a fiumi e farla sempre franca con la polizia. E' capillare la sua azione, accorta la scelta delle vittime, meticolosa la messa in opera dello smembramento dei cadaveri e del loro annientamento, ed è in quel momento che sul suo volto si dipinge un'espressione spaventosa di godimento.
Kyung-chul è una bestia, uno psicopatico strafottente che incarna il diavolo in Terra, un uomo cattivo dentro e fuori, terribilmente violento da non far distinzione nel procurarsi della carne da macello, rigorosamente umana. Che si tratti di giovani donne, di bambini o di donne mature a lui poco importa. Ha abbandonato il figlio a casa degli anziani genitori per dedicarsi a tempo pieno al suo doppio lavoro di autista di scuolabus e serial killer. In una fredda notte d'inverno però commette il suo primo grande errore, uccidendo e facendo a pezzi la figlia incinta dell'ex capo della polizia in pensione, nonchè compagna di Soo-hyun, agente segreto deciso a vendicare la sua donna a ogni costo.
Con in mano le schede dei quattro sospettati, egli mette in opera una vera e propria caccia all'uomo, promettendo a se stesso e al padre della ragazza di rendere impossibile la vita dell'individuo che ha distrutto la sua. A costo di mettersi al suo stesso livello e diventare un freddo mostro senza scrupoli al suo pari.
Incentrato sui personaggi più che sulla dinamica del gioco del gatto col topo o sulla ricerca dell'identità del colpevole, I saw the devil analizza la lenta trasformazione di un uomo come tanti in un killer assetato di vendetta e per questo non meno pericoloso del criminale che egli va cercando per le strade del paese per un regolamento di conti. Per l'assassino, l'uomo ha infatti in mente un percorso punitivo senza precedenti che sfocerà, in un crescendo delirante di ferocia, nella distruzione finale. Descritta in maniera assai realistica ed esplicita dal regista di Two Sisters e Bittersweet Life, questa storia colpisce con grande intensità i sensi dello spettatore, perchè oltre ad uno stomaco robusto ci vuole anche una grande forza d'animo per guardare questo film senza tapparsi gli occhi. I faccia a faccia tra i due sono violentissimi, il gioco al massacro è quello tra due forze della natura che anzichè sfuggirsi si cercano. Uno pianifica la sua ricerca e la sua punizione esattamente come l'altro pianifica i suoi omicidi e la sua fuga. Il poliziotto lo cerca, lo trova, lo tortura e poi lo libera in modo che possa far perdere le sue tracce per poi tornare a cercarlo e fare la stessa cosa reiterandola fino al momento finale.Un'analisi moralistica sulla vendetta? Una storia d'amore? Un film d'azione? Un po' di tutto, ma soprattutto una riflessione sul mondo, sui motivi che spingono alcune persone a condurre vite normali mentre altre a vivere come il demonio, alimentate dalla rabbia e dal desiderio di annientare il prossimo.
Per interpretare i due protagonisti non sono stati scelti due attori qualsiasi ma due attori straordinari come Choi Min-sik e Lee Byung-hun, quest'ultimo una 'vecchia' conoscenza del regista che l'ha voluto sia in A Bittersweet Life che in The Good, the Bad, the Weird. Forse il primo nome non vi dirà molto, perchè di solito a parlare per lui sono i titoli dei film in cui ha lavorato. Parliamo dell'indimenticabile protagonista di Old Boy, il capolavoro di un altro regista coreano, Park Chan-wook, che con la vendetta ha avuto un rapporto professionale strettissimo, quasi maniacale, sfociato in una trilogia mozzafiato che lo ha consacrato definitivamente nell'olimpo del cinema mondiale. Al suo ritorno dopo cinque anni di assenza dagli schermi, Choi Min-sik è stato chiamato ad un ruolo complicato, quello di uno dei cattivi più cattivi del cinema di genere, una parte che ha saputo incarnare fino in fondo con una convinzione e un'intensità davvero inimitabili. Il mondo, per l'assassino cui l'attore presta le sembianze, è una prigione, maledice ogni persona gli si ponga di fronte e sembra che non conosca il significato profondo del dolore o della resa. Un villain di quelli che difficilmente riuscirete a dimenticare, un assassino imprevedibile che non ha paura di niente, che non ha moventi o logica, e non è disposto a cedere di un millimetro, tanto meno a perdere. Una garanzia il suo nome, perchè il divertimento è assicurato, soprattutto per i fan del cinema coreano e del genere horror-thriller.
Guardare questo film vi farà vivere un'esperienza come poche, verrete travolti in un vortice di sovrumana violenza che non ha spiegazione, verrete catapultati in una di quelle avventure che non avreste mai voluto vedere sullo schermo ma che non riuscirete a non guardare fino in fondo. L'estetica è eccellente, le sequenze d'azione e di scontro sono messe in scena con un tocco davvero stupefacente, e poi l'atmosfera sporca e randagia dei personaggi e dei luoghi viene catturata dal regista in maniera impressionante. La camera non sbircia ma accompagna ogni singolo momento vissuto dai personaggi con estrema naturalezza, non si ferma davanti a nulla, sia che si tratti di mutilazioni o di stupri, di qualsiasi elemento abbia a che fare con il male e la sua incarnazione. Ma non è una violenza che ha a che fare con vampiri, fantasmi e mostri, è una violenza pura, umana, che nasce, si alimenta e si scontra nella mente dell'uomo e si mette in pratica attraverso il corpo.
Il meccanismo non è però perfetto, né oliato a dovere. C'era bisogno di qualche taglio in più, di qualche guizzo che sovvertisse le regole di un gioco di per sé non troppo originale, regole ahinoi svelate un po' troppo presto. Da qui una sorta di ripetitività e di meccanicità che in certi punti da fastidio, finendo con il forzare un po' troppo la mano prima di giungere all'apoteosi finale. In bocca al lupo e ricordatevi, "...l'incubo potrà solo peggiorare...".