Il DJ con l'amaro in bocca
Un altro talento italiano sprecato? La sensazione è questa dopo aver visto Il mattino ha l'oro in bocca, pseudo-traduzione cinematografica de Il giocatore, il libro autobiografico di Marco Baldini, deejay dal grande successo nel lavoro, ma dalla vita privata tormentata dal vizio del gioco e dai relativi debiti accumulati in anni di follie d'azzardo. Cosa ne è stato di Francesco Patierno, regista napoletano che aveva lasciato tutti a bocca aperta qualche anno fa, grazie ad un film d'esordio come Pater familias che aveva fatto gridare al miracolo tanto era bello? Della cura e della passione che contraddistinguevano quell'opera (che rappresenta senza dubbio una delle punte più alte del cinema italiano degli ultimi anni) si sono perse le tracce, lasciando spazio solo al tocco anonimo di un film che lavora così tanto di sottrazione da ridursi ad uno scheletro senza carne o, tanto meno, sentimento.
Patierno ha certamente coraggio e rischia il grande salto, dalla dimensione angusta ma più sicura del film d'autore alle nuove possibilità di un cinema più commerciale (basta guardare a tal proposito il numero di copie con il quale esce il film, circa 200) e nessuno può fargliene una colpa. Il problema è che Il mattino ha l'oro in bocca è un film sbagliato, sempre trattenuto, che cerca di accontentare un po' tutti scontentando puntualmente tutti. Alla base c'è una storia che non ha nulla di interessante da dire: un uomo innamorato del gioco si riempie di debiti e finisce nelle grinfie dei terribili strozzini, con la variante dal fascino esiguo rappresentata dal decollo della carriera lavorativa contestualmente all'annegamento della vita privata. Naturalmente c'è quel minimo di curiosità che si crea per forza attorno al personaggio pubblico (ma ben poco attraente) al quale fa riferimento la storia: Marco Baldini, speaker toscano passato in un fulmine, durante gli anni 80, da una piccola radio di Firenze alla potente Radio Deejay, dove prese il via l'idillio della conduzione in coppia con Fiorello, rapporto cementato oggi dal successo straordinario della trasmissione Viva RadioDue. Però non è abbastanza.
Inevitabile la (fastidiosa) voce fuori campo, che non poteva proprio mancare in un film che fa di un deejay il suo protagonista, e che ci imbocca vicende e stati d'animo provvedendo ad un loro istantaneo assorbimento. Sullo schermo si ripetono gli stessi eventi (i passi avanti nella fulminante strada che porta al successo, i soldi persi ogni giorno con le scommesse ippiche, i problemi con gli strozzini che non superano mai una soglia pericolosa) mentre Patierno mette sul tavolo numerosi temi senza mai approfondirne alcuno, impegnato a rendere la storia il più asciutta possibile e a non caratterizzare troppo i personaggi, impedendo ai suoi attori di scimmiottare i modelli di riferimento. Così facendo la storia vive di vita propria ed evita quella pesantezza tipica insita in questo tipo di drammi, ma perde anche ogni possibile fascino. Oltre ad una regia irriconoscibile, che si limita a filmare gli eventi evitando sguardi personali e contorni più sfaccettati, e a una fotografia che non sa parlare da sola, come faceva invece quella di Pater familias, sprecata risulta anche la recitazione sempre impeccabile di Elio Germano che fa di tutto per tenere in piedi il film da solo. Ci si potrebbe pure accontentare, ma perché farlo quando un regista come Patierno ci ha già mostrato le sue enormi potenzialità?