A guardarlo oggi, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas strappa qualche divertito sorriso, per ritmo e linguaggio cinematografico appare magari poca cosa per le nuove generazioni. Invece parlare di questo film, uscito il 28 aprile 1971 per la prima volta nelle sale americane, significa destreggiarsi dentro 82 minuti di comicità demenziale, di un'autorialità molto più colta di quello che si possa pensare. Diretto e interpretato da Woody Allen, questo film fu capace di calarsi in modo assolutamente dissacrante e arguto dentro un periodo storico complicato, in cui il mondo era diviso in blocchi, che facevano a gara a creare il maggior numero possibile di governi fantoccio in giro per il globo. Film incredibilmente personale oltre che trasversale nel fustigare destra e sinistra, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas è uno dei capolavori per eccellenza di Allen ma anche uno degli esempi di demenzialità più azzeccata di sempre.
Una satira sulle ipocrisie dell'America
Ancora oggi, Allen puntualizza quanto Il dittatore dello stato libero di Bananas non fosse una commedia così strutturata e volutamente politica, al contrario della lettura che immediatamente la critica ne fece (e continua a farne). I riferimenti primari da lui indicati furono i Fratelli Marx, così come il Don Quixote, USA scritto da Richard Powell, romanzo satirico che però non era riuscito a trasformare in film. La sceneggiatura, curata assieme a Mickey Rose, altro non era che la rielaborazione del loro racconto Viva Vargas! Excerpts from the Diary of a Revolutionary. Ma ad essere onesti, al di là della sua rivendicazione di una volontà pura di divertire e intrattenere, Allen fu sempre volutamente ambiguo sulla componente di sferzante critica ai miti politici, culturali e cinematografici del suo tempo. Lo stesso titolo originale (Bananas) era palesemente connesso alla formula coniata da inizio secolo dal romanziere William Sidney Porter, in riferimento all'Honduras di quegli anni. Ancora oggi sta ad indicare una repubblica o staterello totalmente soggetto al controllo di una potenza straniera tramite un governo fantoccio o più spesso l'opera di qualche dittatorello o caudillo da quattro soldi. In quell'America conflittuale e impegnata nel doloroso conflitto del Vietnam, dove si era schierata dalla parte di chi opprimeva il popolo di una "Repubbliche delle Banane", il film di Allen apparve come una chiara presa di posizione, come un discolo sberleffo alla politica estera della Superpotenza. Ma la realtà è che Allen si collegò nell'iter narrativo ad un'intenzione chiara di ridicolizzare non solo la destra neo-fascista americana, la parte bigotta, ipocrita e conservatrice della società, ma anche il fronte liberale, i giovani hippie, nonché la televisione, i media e il cinema di quegli anni, così pomposo e autoreferenziale. In ultima analisi fu un film che forse dette più fastidio alla sinistra radical chic che già imperava, più che alla destra che era troppo impegnata a comandare per badarci.
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Un film che non risparmiò né destra né sinistra
Protagonista era il timido, insicuro e sessuomane Fielding Mellish (Woody Allen), nevrotico e pasticcione collaudatore industriale, intrappolato in una vita fatta di solitudine, singletudine e umiliazioni. Il fortuito incontro con Nancy (Louise Lasser), attivista politica dedita al boicottaggio della dittatura del Generale Vargas (Carlos Montalbán) nello stato di Bananas, gli farà scoprire per un breve periodo l'amore che aveva tanto sognato. Lasciato infine in modo sbrigativo dalla ragazza, per riconquistarla decide di recarsi a Bananas, dove in breve tempo rimarrà intrappolato nella guerra civile che vede i ribelli comandanti dal leader maximo Castrado (Jacobo Morales) opporsi a Vargas. Per lui sarà l'inizio di un'assurda e divertente avventura, che lo vedrà assurgere al ruolo di leader rivoluzionario prima e di celebrità poi. Film caotico, volutamente low-budget e dilettantesco nella regia e nella componente tecnica, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas era soprattutto una sorta di parodia della rivoluzione cubana e del mito di di quel Fidel Castro che aveva affascinato la sinistra, salvo poi rivelarsi un altro dittatore, un erede più che un alter ego del feroce Batista.
Allen concepì una trama in cui il mito dei "barbudos", che avevano distrutto il caudillo installato nell'isola dalla mafia e dalla CIA, veniva infranto, veniva mostrato come il percorso di un uomo innamorato del potere, egocentrico, stralunato. Poi Fidel diventava lui, armato di barba posticcia, smascherato per amore, sottoposto a un processo farsa. Ma la realtà è che Allen sbeffeggiò la cultura hippie e "contro" di quegli anni, la descrisse come una meravigliosa scatola dentro cui trovare le aspirazioni di un sesso maschile affamato di sesso e potere. In fin dei conti, lo stesso fronte pacifista della sua stralunata Nancy era descritto come genuinamente confuso, contraddittorio, tra la volontà di cambiare il mondo e il rifiuto del modello di vita borghese. Almeno sulla carta naturalmente, visto che nel magnifico finale i due dinamitardi innamorati bene o male prendevano quella strada.
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Un film molto personale e complesso
Dopo il mondo progressista e confuso del 68, i giovani rabbiosi e incoerenti, la sinistra accalappiata da falsi miti, Allen però si dimostrò incredibilmente sagace nel ridicolizzare i "Poteri Forti", il capitalismo schiavista, l'imperialismo USA, le dittature di piccoli duci latinos che, di lì a poco, avrebbero insanguinato anche il Cile con modalità non differenti da quello spassoso Colpo di Stato, con cui Allen aprì la narrazione. I media erano fustigati, descritti come osservatori voyeuristi e amorali, privati anche della possibilità di fare la storia perché slegati dall'umana empatia. Per farlo, non esitò a ricorrere ai veri volti cari al pubblico televisivo e radiofonico: Roger Grimsby, Don Dunphy e quell'Howard Cossell che si esibì in una geniale telecronaca semi-pugilistica della prima notte di nozze tra Nancy e Mellish. Erano del resto passati pochi mesi dal mitico "Combattimento del Secolo" tra Muhammad Ali e Smokin Joe Frazier.
Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas fu quindi capace di andare oltre la satira politica, di ergersi a simbolo di una grottesca caricatura della narrazione del suo tempo, in cui i dialoghi "amorosi" tra i due protagonisti nel parco furono un incredibile colpo di genio. Nancy che vuole mollare Mellish perché manca qualcosa, quell'intramezzo assurdo e senza senso nel parco, altro non fu che la decostruzione di quel Love Story che solo l'anno prima aveva portato il melò a un livello inedito di successo planetario (che oggi possiamo anche tranquillamente definire immeritato). Allo stesso tempo, sapere che Allen e la Lasser fossero freschi di divorzio non può che portare ad un profonda riflessione sul rapporto tra cinema e realtà che l'istrionico regista ed attore mise in scena su quel set cinquant'anni fa. Era qualcosa che dallo storico andava sul personale, sul prismatico.
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Il ritratto di un paese preda dell'eversione
Woody Allen, però, nella seconda parte si spinse oltre abbracciando la cronaca dell'America di quegli anni, che sul fronte interno sposava un clima reazionario tossico ed eversivo. Il processo-farsa (in tutti i sensi) a cui Mellish veniva sottoposto, con tanto di giudice di parte e testimoni prezzolati, altro non era che il ritratto sarcastico di quel "Processo ai Chicago 7" che aveva infiammato e diviso l'America solo poco tempo prima. Un processo che, anche senza le varie trasposizioni cinematografiche e televisive, già all'epoca era visto come una macchia sull'onore del sistema giuridico americano.
Tra una risata e uno sketch, ciò che uscì dalla bocca della bellissima Dagne Crane, la Miss America portatrice dell'American Dream, del conformismo di massa proposto al popolo, era nient'altro che la verità sulla falsa libertà in cui viveva il popolo statunitense: "Le differenze di opinione dovrebbero essere tollerate, ma non quando sono troppo diverse". Ciò che dice il potere, il Presidente, è la sola unica verità per l'America, chi la nega è un nemico e come tale va distrutto, magari grazie a quel J. Edgar Hoover, che poco prima di morire difficilmente gradì la sua parodia, per mezzo di un'attrice afroamericana (Dorothi Fox). A cinquant'anni di distanza, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas non è più una straordinaria commedia di per sé, ma è invece uno straordinario film sulla società americana, sulle sue contraddizioni, perfetto per farci capire il dramma di un paese che, ieri come oggi, a parte ridere di se stesso non può fare altro.