Recensione Apocalypto (2006)

Apocalypto è un film d'avventura di buona fattura nobilitato da un'ottima regia che si inserisce nella scia sangue, sudore, muscoli e fango inaugurata da 'Braveheart'.

Il crepuscolo dei Maya

Dopo tanto parlare arriva nelle sale Apocalypto, l'ultimo discusso lavoro di Mel Gibson. Intorno a questo pellicola si sono generati una serie di miti legati in parte alle intemperanze di Mel nel suo annus horribilis, in parte alle reazioni della critica americana all'uscita del film, reazioni ampiamente esagerate sia in un senso che nell'altro: chi ha gridato al capolavoro, chi ha paragonato la pellicola a un horror intriso di violenza tanta e tale da risultare insopportabile ai più. Come sempre la verità sta nel mezzo. Che Gibson sia amante delle tinte forti si era capito dai suoi precedenti lavori, ma più che avvicinarsi al pretenzioso La passione di Cristo, Apocalypto si inserisce nella scia sangue, sudore, muscoli e fango inaugurata da Braveheart - cuore impavido. Sostanzialmente Apocalypto è un film d'avventura di buona fattura nobilitato da un'ottima regia. Di Mel Gibson si può dire tutto, ma non che non sappia dove mettere la macchina da presa: la bellezza dei luoghi e la natura lussureggiante vengono infatti fotografati con sapiente maestria, inoltre la necessità di stare sempre aderente all'azione, soprattutto durante le lunghe marce e le rapide fughe nella foresta, impedisce a Gibson di lasciarsi andare ai barocchismi (riprese dal basso wellesiane, panoramiche vertiginose) di cui spesso tende ad abbondare. Il film ne guadagna in snellezza e incisività e corre rapido verso il finale senza momenti di stanca.

Anche la scelta, apparentemente rischiosa, di ricorrere, dopo l'aramaico, al dialetto yucateco per amor di verità, non risulta mai pesante, ma si integra alla perfezione in una pellicola in cui i personaggi parlano assai poco e pronunciano frasi piuttosto prevedibili. A catturare lo sguardo del pubblico non sono certo gli sparuti sottotitoli, ma l'intensità dell'azione, i duelli corpo a corpo, la fisicità prorompente degli indios e la fitta vegetazione che nasconde ogni tipo di insidia. La trama del film è piuttosto lineare, si possono infatti identificare tre grandi blocchi: la presentazione dell'esistenza più o meno idilliaca della tribù di Maya che vive isolata nel folto della foresta, esistenza perturbata dall'arrivo dei nemici, la parte centrale occupata dalla prigionia di Jaguar Paw e dei suoi compagni fino all'arrivo alla grande piramide Maya dove si compiono i sacrifici umani, la lunga fuga. L'originalità, che non è certo il punto di forza il film, sta più nella scelta del tema precolombiano che nell'effettivo sviluppo dello script, che affonda le sue radici nel classico viaggio dell'eroe di Joseph Campbell con tanto di percorso iniziatico, perdita del padre e raggiungimento della maturità.

Così il film corre veloce verso la sua conclusione con colpi di scena funzionali a mantenere la tensione sempre alta e ad avvincere lo spettatore al percorso intrapreso dall'eroe di turno, anche se con minor intensità ed epicità rispetto all'epopea di William Wallace, qualitativamente superiore; d'altra parte l'immedesimazione in un personaggio che parla pochissimo e si esprime principalmente con lo sguardo e con i gesti è indubbiamente più difficile da raggiungere. Le stesse analisi della psicologia dei Maya, curiosamente rappresentati sia come feroci guerrieri che come giocherelloni alle prese con problemi coniugali e suocere invadenti, e delle ragioni della decadenza di questa civiltà (lotta intestina tra le tribù, corruzione morale, carestie ed epidemie), sono accennate rapidamente senza alcun approfondimento mentre il film è cosparso di segni profetici e simbologie piuttosto elementari (eclissi di sole, bambini malati col dono della preveggenza, serpenti e giaguari che appaiono nei momenti più opportuni) che culminano con l'apparizione delle navi spagnole all'orizzonte.
Fortunatamente le ingenuità sono compensate dalla bellezza di alcune scene, tra cui le lunghe fughe tra gli alberi, il sacrificio umano sulla cima della piramide e il salto nella cascata.

Un ultimo appunto sulla tanto citata violenza che ha disturbato la critica USA: se è vero che questa abbonda, e in alcune scene si indugia in dettagli truculenti, occorre anche specificare che è eccessivo etichettare il film come splatter o scomodare il marchese De Sade visto che la violenza è parte integrante della visione di una civiltà primitiva in declino e traina il plot verso la sua risoluzione senza mai dare l'impressione di gratuità.

Movieplayer.it

3.0/5