Il vecchio Earl Stone è più bravo con i petali che con le radici. Il suo invidiabile pollice verde è sfociato in una pura e semplice vocazione, la passione viscerale di un floricoltore innamorato dei fiori e disastroso con la sua famiglia. È questo il paradosso di un uomo che ama prendersi cura di qualcosa che ha bisogno di attenzioni e poi sboccia solo per pochi attimi, mentre allontana tutto ciò che dura molto più di una primavera. La semplice e cruda verità è che i fiori piacciono alla gente. Lusingano, allietano, rinfrancano, fanno sempre la loro figura. Ed Earl è così. È come i fiori. In loro si specchia e si riconosce con fierezza, senza alcuna vergogna. Perché Earl ama piacere alle persone. Vogliamo far partire da qui questa recensione de Il Corriere - The Mule. Perché è da questa contraddizione che parte Eastwood.
Si mette in moto dal cuore bislacco del suo padre fallito e del suo marito imperfetto per sondarlo, ispezionarlo, trovarci motivazioni, pentimenti e rimorsi. Dieci anni dopo il maestoso Gran Torino, Clint Eastwood torna a dirigere se stesso in una dolente storia di redenzione dal tatto raro, schietto, tipico dell'infaticabile regista. Lo fa con un film piccolo e intimo, ma capace di delineare un ritratto umano amaro e disinibito. Un film che sembra raccontare una storia inverosimile, ma che prende spunto per la trama da un fatto realmente accaduto, raccontato da un articolo del New York Times.
Scintilla da cui è partita la stesura dello script, l'assurda vicenda di un 90enne diventato corriere al servizio del narcotraffico viene messa sulle spalle ormai gracili di un Clint Eastwood intenzionato a mettere in scena l'ultima corsa di una persona (e di un regista) che non ha davvero più niente da perdere.
Gran Corriere: on the road in retromarcia
Chi è fuggito per sempre, conosce bene la strada. Per una volta, però, niente scorciatoie per il vecchio Earl. Solo bivi davanti al quale scegliere una volta per tutte e definire finalmente chi diavolo tu sia. Quello che stupisce e spiazza de Il corriere - The Mule è il suo essere solo in apparenza simile a Gran Torino (un anziano solitario, una famiglia sfasciata, un mezzo di locomozione al centro del racconto) quando in realtà è il suo esatto opposto. Earl Stone è l'altra faccia di Walt Kowalski. Se il burbero protagonista di Gran Torino era chiuso, ostile, razzista e trincerato in se stesso, Stone è pura gioia di vivere. Questa volta per Eastwood la vecchiaia è un'ultima spiaggia in cui godersi il tramonto, godersi la vita, ballare, fare sesso, festeggiare, guadagnarsi la simpatia altrui.
Il vecchio non è stanco, e vuole ancora macinare chilometri. Però anche una vita vissuta alla grande ti presenta il conto. E così, proprio mentre il caso gli concede la possibilità di diventare insospettabilmente ricco grazie al traffico della droga, Earl sbircia nello specchietto retrovisore. Il suo sguardo afflitto e pentito scorge tutto quello da cui si è allontanato: famiglia, affetti, essere tutto per pochi e non il contrario. Ha così inizio un on the road in retromarcia di pura riscoperta, una lotta contro il tempo che si intreccia con una caccia all'uomo. Perché presto la legge si metterà sulle tracce dello sfuggente corriere dal volto rugoso. Per fortuna, il cinema umano di Eastwood è tornato a dispensare carezze e schiaffi. E così la ricerca che ci interessa davvero non è quella della DEA, perché avviene dentro la coscienza sporca di un uomo pieno di soldi, ma alla ricerca del suo inestimabile tempo perduto.
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Un film con Clint, un film su Clint
C'è una frase che riecheggia più e più volte nel trailer de Il Corriere. Una frase che non può non assumere un intenso valore metatestuale. Una frase che recita: "Un'ultima volta. Un'ultima volta". Il Corriere potrebbe essere il congedo cinematografico del Clint attore (in un suo film e non solo), l'ultima volta in cui la leggenda presta il suo corpo per indagare dentro le zone d'ombra dell'essere umano. Mai come questa volta la materia sembra affine a un autore dalla vita privata irrequieta, dai tanti amori e in cui l'amore della gente (in questo caso del pubblico) ha avuto un ruolo predominante. Ecco che Il Corriere assume una strana forma. Diventa un film con e su Clint Eastwood, su un uomo (e se un regista) che, alla sua età, si può permettere di fare tutto quello che vuole. Sarà per questo che il film non tocca soltanto corde drammatiche e cupe, ma è attraversato da uno spirito divertente e divertito. Per Eastwood la vecchiaia è un ottimo pretesto per abbandonare freni inibitori e prendersi beffa del socialmente accettabile. Non a caso Clint abusa della percezione dell'anzianità per rendere davvero invincibile e insospettabile il suo corriere ormai raggrinzito. Se Earl non fosse stato un anziano bianco, amichevole, dall'aspetto tipico del bravo americano medio, non sarebbe mai diventato un pezzo grosso del traffico di droga.
Eastwood si diverte senza gigioneggiare mai, anche quando prende in giro i suoi detrattori (che lo bollano come un repubblicano conservatore) dispensando appellativi sprezzanti come "negro" e "lesbica". Un terreno delicato, labili confini in cui soltanto il tocco raro di un autore come lui poteva trovare il giusto equilibrio. Perché, in bilico tra condanna e travolgente empatia, Il Corriere ti fa sedere sulla poltrona e ti avvinghia al suo sedile. Ti mette la cintura di sicurezza senza assicurarti di non farti male. Succede grazie a un film che appassiona, crea tensione e intenerisce. Un film in cui Eastwood è troppo monumentale per non far sfigurare il resto del cast (Bradley Cooper, Andy Garcia, Lawrence Fishburne, Michael Peña), in cui soltanto l'eccezionale Dianne Wiest riesce a tenergli testa. Per tutti questi motivi Il Corriere non arriva in ritardo. È arrivato giusto in tempo per consegnarci la storia di un regista che non ha più niente da perdere, forse per l'ultima volta con tutte quelle rughe in scena. Con quel volto segnato dal tempo, simile a una mappa che conduce verso il grande cinema.
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4.0/5