Il Colibrì, la recensione: Volando per rimanere fermi

La recensione de Il Colibrì: il film di Francesca Archibugi, tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi, che ha aperto la Festa del Cinema di Roma dopo essere passato dal Festival di Toronto, arriva al cinema dal 14 ottobre.

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Il Colibrì: Pierfrancesco Favino nel trailer e Kasia Smutniak in un momento tenero

Il colibrì è un uccello che sbatte forte le ali, ma per restare fermo. È questa la metafora che anima il film che vi raccontiamo nella recensione de Il Colibrì, diretto da Francesca Archibugi e tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi, che ha aperto la Festa del Cinema di Roma dopo essere passato dal Festival di Toronto e arriva al cinema dal 14 ottobre. Marco Carrera, il protagonista della storia, era chiamato così da bambino perché sembrava più piccolo della sua età, e i genitori gli avevano dato questo vezzeggiativo. Ma, glielo farà notare una donna che nel corso della sua vita si legherà a lui sentimentalmente, Marco è proprio come un colibrì. Si muove molto per non muoversi affatto, per restare fermo. E sarà così per gran parte della sua vita, fino a che farà una scelta ben precisa. Potremmo dire la stessa cosa del film di Francesca Archibugi: sbatte tantissimo le ali, con una storia pieni di avvenimenti e andirivieni nel tempo, e attori che ce la mettono tutta. Ma il risultato è un film che rimane fermo, nel senso che non emoziona.

Pierfrancesco Favino è Marco Carrera, il Colibrì

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Il colibrì: Massimo Ceccherini in una scena del film

Marco Carrera, il Colibrì, vive una vita di coincidenze, di amori e di dolori. Introdotti da Dancing Baretoot di Patti Smith e London Calling dei Clash viaggiamo dagli anni Settanta fino a un futuro prossimo. Al mare Marco conosce Luisa Lattes, una ragazzina bellissima, un amore che mai verrà consumato e che durerà per tutta la vita. Intanto mette su famiglia a Roma, insieme a Marina (Kasia Smutniak) e alla figlia Adele. Marco (Pierfrancesco Favino) ritorna poi a Firenze, richiamato dal destino. In qualche modo ad aiutarlo c'è Daniele Carradori (Nanni Moretti), lo psicoanalista di Marina.

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Come se fosse un thriller sentimentale

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Il colibrì: Bérénice Bejo in una scena del film

Si vede subito che Il colibrì è tratto da un romanzo, da uno di quei grandi romanzi (e per grandi intendiamo densi, ambiziosi) che attraversano decenni di storia, che mettono in scena decine di personaggi, che lavorano in maniera certosina sull'intreccio, sui collegamenti, sui colpi di scena. Ed è così che funziona il film di Francesca Archibugi. Non riesce a conquistarci immediatamente (e forse non ci riesce mai fino in fondo), con i personaggi che quasi mai risultano approfonditi, veri, vibranti, ma si segue con una certa curiosità, proprio per l'intreccio, per capire quando e in che modo i personaggi si incontreranno, quando i fili tirati da quel sapiente burattinaio che è il narratore arriveranno a incontrarsi. Il Colibrì funziona come una sorta di thriller sentimentale, che ha una certa tensione, una sua suspense, anche se l'attesa spesso si scioglie in momenti che non sono all'altezza della sua preparazione. I personaggi, come detto, più che persone a tutto tondo, sembrano pedine in mano a un deus ex machina, in grado di muoverli più per creare momenti ad effetto che per spiegare, veramente, la loro natura. Il Colibrì è uno di quei film dove si accumulano fatti tragici (morti, suicidi, incidenti, incidenti scampati, gravidanze, tradimenti) che finiscono per sovraccaricare il film di dolore, e che lo rendono una sorta di moderno feuilleton.

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Il colibrì: Pierfrancesco Favino, Bérénice Bejo, Francesca Archibugi sul set

Avanti e indietro nel tempo

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Il colibrì: Kasia Smutniak in una scena del film

È probabile che nel libro tutto questo abbia più senso, o che funzioni meglio. Il fatto è che, come sappiamo, al cinema storie di questo tipo, diluite in un lungo tempo, con tanti fatti e tanti personaggi, sono più difficili da far funzionare, stretti come si è, da un lato, nello spazio canonico delle due ore e, dall'altro, dai vincoli dovuti all'età dei personaggi. Viaggiare molto avanti e indietro nel tempo costringe a un ricorso continuo al trucco prostetico (che è ben realizzato, ma forse troppo evidente) e a un montaggio, un continuo andirivieni nel tempo, che a volte rende la storia faticosa da seguire. Il Colibrì è una di quelle storie ricca di stranezze (il personaggio che porta sfortuna, la bambina che crede di avere un filo che la lega al muro), di fatti eclatanti e poco plausibili, e di personaggi, molto calcati, con alcuni attori che, probabilmente, vanno in overacting.

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Pierfrancesco Favino la certezza, Fotinì Peluso la sorpresa

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Il colibrì: Laura Morante, Sergio Albelli in una scena del film

Chi non va in overacting è, ovviamente, il protagonista, un Pierfrancesco Favino come al solito credibile in un personaggio che è il controllo per eccellenza, e che riesce a dare sfumature al suo protagonista, anche andando al di là di una sceneggiatura che non fa molto per valorizzarlo. Guardate i suoi occhi, rossi e lucidi, nella scena finale, di cui non vogliamo dirvi troppo. Tra i migliori in scena c'è anche Fotinì Peluso, che proprio in questi giorni vediamo nella serie Tutto chiede salvezza in un ruolo simile, che è la sorella di Marco da giovane, una ragazza tormentata e difficile.

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Nanni Moretti, il suo mondo entra ne Il Colibrì

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Il colibrì: Pierfrancesco Favino in una scena del film

E poi c'è lui, Nanni Moretti. Merita un discorso a parte perché i momenti in cui è in scena sono come dei film nel film, in cui l'autore e attore romano porta il suo modo di essere, il suo aplomb, la sua recitazione. Guardate il primo incontro tra lui e Favino. Moretti interpreta lo psicanalista di sua moglie Marina, e il loro dialogo è surreale, sospeso. Nanni Moretti porta nel film di Francesca Archibugi un po' del suo mondo, un tocco surreale che non stona con il film, ma lo completa, gli dà qualcosa che manca. E, dopo essere stato sul grande schermo con Tre piani, un film non nato da un suo soggetto, qui ci fa capire quanto ci manca. E quanto abbiamo bisogno, in questo momento storico più di altri, del suo nuovo film.

Conclusioni

Il colibrì è un uccellino che si muove molto per restare fermo. Come vi abbiamo spiegato nella recensione de Il Colibrì, potremmo dire la stessa cosa del film di Francesca Archibugi: sbatte tantissimo le ali, con una storia pieni di avvenimenti e andirivieni nel tempo, e attori che ce la mettono tutta. Ma il risultato è un film che rimane fermo, nel senso che non emoziona.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
2.9/5

Perché ci piace

  • Il cast, a partire da Pierfrancesco Favino per arrivare a Fotinì Peluso.
  • Un plauso a parte va a Nanni Moretti: i momenti in cui è in scena sono un film nel film.
  • La voglia di fare ancora film ambiziosi.

Cosa non va

  • Il film punta molto sull'intreccio e le sorprese, e poco sull'approfondimento dei personaggi.
  • Accumula tragedie e dolori, come un feuilleton, ma senza mai commuovere.
  • Il montaggio, che viaggia continuamente avanti e indietro nel tempo, rende la storia difficile da seguire.