"Gli amori perfetti e immortali sono quelli che non si vivono"
Una di quelle conferenze stampa gremite di attori - poiché dal cast numerosissimo - è stata sicuramente quella del film d'apertura della 17a Festa del Cinema di Roma, Il Colibrì, diretto da Francesca Archibugi e tratto dall'omonimo romanzo di Sandro Veronesi, Premio Strega 2020 edito da La Nave di Teseo. Entrambi erano presenti, insieme alla sceneggiatrice Laura Paolucci e agli interpreti Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Nanni Moretti, Benedetta Porcaroli, Francesco Centorame, Sergio Albelli, Massimo Ceccherini. Il film è al cinema dal 14 ottobre con 01 Distribution.
Un romanzo che parla al cuore
La genesi del film è stata casuale. Francesca Archibugi aveva letto il libro appena uscito, mentre si trovava a Parigi, perché conosceva e apprezzava il lavoro di Sandro Veronesi da trent'anni. Il romanzo l'aveva turbata profondamente ma non aveva intenzione di farne un film. La proposta è arrivata successivamente dal produttore Domenico Procacci e dallo stesso Veronesi, che sentiva di avere un'affinità di tematiche con la cinematografia della Archibugi: "Il libro era come un mio film ma scritto meglio (ride). Ero orgogliosa e allo stesso tempo impaurita". Un sentimento comune, come ha confermato Marco Mengoni, autore del brano originale Caro amore lontanissimo adattato da Sergio Endrigo, uno dei suoi autori punto di riferimento, che gli ha dato i diritti per poterlo ri-arrangiare per l'occasione: "Sono entrato in punta di piedi e ho pianto tantissimo vedendo il film". Tutta la colonna sonora è nata dai gusti della Archibugi unita alle tre epoche che voleva raccontare (si arriva al 2030) e alle possibilità che offriva la produzione per i diritti delle canzoni. Per Kasia Smutniak, interprete di Marina, la moglie del protagonista Marco Carrera, è stata una sorta di viaggio spirituale come lo era stato il romanzo: "Trovo che porti un messaggio di speranza, non solo perché è ambientato nel futuro alla fine. Per poter interpretare il ruolo mi sono ispirata ad altre persone che sono presenti nella mia vita e ho dovuto comprenderle, perdonarle e amarle senza farmi troppe domande. Per me Marina rappresenta una persona che vive incastrata in uno schema che prevede una ricerca della felicità disperata. Come se la società proponesse un determinato schema per le donne, che deve comprendere casa-lavoro-famiglia-figli ma non è detto che si adatti a tutti ed è giusto che non sia così. Il Colibrì (com'è soprannominato il personaggio di Favino) fa fatica a stare fermo in un posto, ma altrettanta Ne fa Marina per mantenere il suo mondo integro senza riuscirci".
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Una mascolinità e una borghesia diverse
Pierfrancesco Favino ha accettato il ruolo non solo perché conosceva il romanzo e il personaggio e sperava ne traessero un film, ma perché mostra un tipo di mascolinità che non viene spesso raccontata, che siamo abituati a definire come femminile nella nostra società: "Marco è circondato da donne come me nella vita, mette sempre gli altri prima di se e anche questa caratteristica la sento molto vicina, non ha un'ossessione per la sessualità e anche io mi ci ritrovo. Il romanzo di Sandro Veronesi è una delle rare occasioni in cui la borghesia non viene giudicata, in cui l'autore non guarda dall'alto il mondo da cui viene". Che è uno dei motivi per cui Veronesi ha pensato alla Archibugi, perché anche nel suo cinema la borghesia è raccontata con tenerezza e umiltà. "Il romanzo è stato scritto prima della pandemia ma sfido chiunque a non rivedersi nell'azione di rimanere ancorato a ciò che ci faceva stare bene. Chi vedrà questo film si sentirà un po' meno solo, siamo tutti un po' dei colibrì. Rimanere ancorati a ciò che consideriamo importante per noi non penso sia un atto di viltà, anzi tutto il contrario. Non vedo Marco come un uomo immobile e mi ci ritrovo sotto molti aspetti".
Il Colibrì: Pierfrancesco Favino nel trailer e poster del film di Francesca Archibugi
Flusso di coscienza e di memoria
Come conferma la sceneggiatrice Laura Paolucci, che cita anche l'altro co-sceneggiatore Francesco Piccolo, il romanzo non ha una struttura narrativa e temporale lineare ma complessa. Come se fosse un flusso di coscienza e di memoria. Per trasformarlo in una sceneggiatura e quindi un film, bisogna pensare al lavoro di montaggio certosino che sarà fatto. Anche loro avevano letto il libro da fan ma poi hanno dovuto lavorare con una scaletta per capire dove e quando agivano i personaggi nel corso della storia: "Volevamo accettare la sfida di Sandro nella letteratura e portarla nel cinema attraverso il montaggio. C'è una frase del romanzo che mi è rimasta impressa, 'Dovrebbe essere noto che tutto quello che accadrà è contenuto quest'inizio'. Noi siamo andati a ricercare proprio quell'inizio e lo abbiamo trovato nella morte della sorella, tradendo il romanzo, che invece cominciava in modo diverso. Da lì siamo riusciti a incastrare tutta la storia. Lo stesso vale per la parte finale, la morte inframezzata dalla sequenza del poker in cui si parla di quanto soddisfacente sia stata la vita, di quanto l'abbia amata".
Una scelta non scontata e coraggiosa, che Veronesi ha appoggiato e approvato: "Sarebbe stato un vero tradimento se fosse stato raccontato in ordine cronologico". La macchina cinematografica l'ha percepita anche Favino: "Sul set non sono presente per me ma come attore, sono uno strumento per un meccanismo più grande che è la storia. Siamo qui per condividere i nostri sentimenti attraverso il cinema". Per Nanni Moretti è stata quasi una liberazione: "Per me è stato bellissimo fare solamente l'attore, era la sesta volta che Francesca Archibugi me lo chiedeva e mi sembrava il momento di accettare. Si trattava di un romanzo bellissimo e di un ruolo pensato per me". Il film si chiude nel 2030 con una tematica molto dibattuta, soprattutto in Italia: "Mancano solo otto anni - dice la regista - speriamo di poter morire come decidiamo noi per quella data, perché l'alternativa è un brutale suicidio".