Un decennio di assenza dal piccolo schermo ha insegnato a Stefano Accorsi a scegliere solo prodotti seriali di qualità. Il ritorno in TV con Il clan dei camorristi (in prima serata da venerdì 25 gennaio su Canale 5 per 8 puntate) è accompagnato, inevitabilmente, da aspettative altissime, come racconta lo stesso attore assieme al resto del cast, agli sceneggiatori (Daniele Cesarano e Claudio Fava), ai registi (Alessandro Angelini e Alexis Sweet) e al produttore di Taodue Film Pietro Valsecchi.
Ambientata negli Anni Ottanta, la fiction ripercorre l'ascesa della Camorra, una delle più potenti organizzazioni criminali della Penisola, durante il periodo del terremoto sul territorio campano. Il cataclisma, infatti, ha permesso un'estesa speculazione edilizia imposta con la ferocia e la violenza. Ad indagare sugli eventi del casertano ci pensa il giudice Andrea Esposito (Stefano Accorsi), che torna alle origini per sradicare la mafia locale.
Da dove nasce l'idea della fiction?
Pietro Valsecchi: Me l'ha suggerita Matteo Garrone, così ci siamo documentati per un anno intero. Lo scopo è aiutare le persone a capire il Paese in cui vivono, non fare denuncia sociale.
Claudio Fava: Siamo davanti a fatti realmente accaduti nel momento in cui la Camorra diventa un pezzo del sistema economico italiano...
Daniele Cesarano: Al tempo stesso, oltre all'impegno civile, volevamo che fosse accattivante, emozionante, spettacolare e azzarderei persino definirla "divertente". La consideriamo un'opera di intrattenimento e non certo un trattato!
Alexis Sweet: Lo si vede anche nello stile crudo, con macchina a mano e riprese non patinate...
Cos'ha in comune Esposito con il commissario Scialoja di Romanzo Criminale? Stefano Accorsi: Seguono logiche diverse, ma soprattutto fenomeni criminali differenti. La Camorra è una realtà ben più complessa e articolata della Banda della Magliana. Quello che mi appassiona de Il Clan dei camorristi è la capacità di raccontare due aspetti della stessa storia, senza idealizzare. Non si tradisce mai la verità profonda dei personaggi.
Credi che raccontare queste realtà criminali possa aumentarne il fascino e la visibilità? Stefano Accorsi: In Italia le organizzazioni malavitose sono aumentate ed è giusto raccontare i due aspetti di questa storia, come fa la serie: la criminalità e chi la combatte. Più se ne parla e meglio è, purché si faccia nel modo giusto e con intenzioni sincere.
Un prodotto così si può considerare "di genere"? Claudio Fava: Assolutamente no: una fiction sulla mafia non è "di genere", ma racconta il Paese. Non è storia, ma cronaca, quindi non è la fiction che accresce la seduzione del male, ma il male in sé - così come il potere - che seduce. Lo vediamo perfettamente nel personaggio del Malese (Giuseppe Zeno).
Perché il male seduce? Giuseppe Zeno: Charles Baudelaire stesso diceva di voler far emergere la bellezza del male e in questa fiction si vede, anche se non abbiamo cercato di rendere fascinosi i personaggi come il mio. Purtroppo sono esistiti e si sono arricchiti creando danni irreparabili ad altre persone e noi li raccontiamo.L'Italia è davvero questa? Stefano Accorsi: Questi sono aspetti del nostro Paese che è giusto raccontare e non per puntare il dito solo su quello che non funziona.
Cosa ti ha tenuto lontano dal piccolo schermo in tutti questi anni? Stefano Accorsi: La mia assenza dalla TV non è stata una scelta. Aspettavo il progetto giusto ed è arrivato con Il clan dei camorristi che mi ha permesso di esprimere tanto. Oggi non ha senso la polemica "TV sì, TV no": è bello spaziare...