Il circolo della violenza
E' una storia di inevitabile violenza, a metà strada tra il noir e il western crepuscolare quella che dividerà il pubblico nel giudizio sul nuovo film di David Cronenberg, in concorso al festival di Cannes 2005. Non è affatto improbabile che siano proprio i grandi appassionati del regista canadese a storcere un pò più la bocca di fronte a quello che di fatto è il suo lavoro più mainstream; mentre soddisfatti saranno i detrattori o comunque chi si dimostra solitamente indifferente alle tematiche più estreme e personali del regista di La mosca, Videodrome, Crashe Inseparabili.
A History of Violence racconta la vita di una tranquilla ed affiatata famiglia di una delle tante middletown americane. Tom Stall (Viggo Mortensen) è un uomo dolce e riflessivo, ha una bella moglie (Maria Bello) e un figlio (Ashton Holmes) un pò preso di mira dai bulli della scuola. Tale normalità sarà sconvolta da una rapina al fast food gestito da Tom; lui riuscirà a cavarsela con uno sparo sul piede, non si salveranno invece gli spietati rapinatori dal tempismo e della reazione di Tom. L'evento lo trasformerà in un piccolo eroe mediatico americano, cambiando la sua vita e quella della sua famiglia, fino ad una sconvolgente rivelazione.
Mettendo insieme un cast decisamente interessante, che annovera oltre agli interpreti sopra citati, Ed Harris e William Hurt, Cronenberg si libera dalla restrizioni dell'opera su commissione e fa centro con un film essenziale, anche ironico in alcuni aspetti, duro in altri, ma soprattutto, questa è la novità per un suo film, leggero nell'impianto, quanto profondo nella sostanza. La riflessione portante non è certamente nuova al cinema: A History of Violence, parla appunto dell'impossibilità di uscire dal circolo della violenza, quando questa per anni è stata l'unico elemento di riconoscimento e legittimazione sia sociale (il punto di vista più intrinsecamente noir del film) che individuale (il punto di vista più legato al western o anche ad un certo individualismo filosofico tipico del regista).
Un film fortemente diverso rispetto ai suoi titoli più noti (lasciamo l'ozioso esercizio della ricerca della perfetta aderenza allo stile e ai temi che hanno reso celebre il regista canadese ai più usi a voli pindarici interpretativi). ma contemporaneamente di una densità contenutistica sorprendente. A History of Violence racconta in altre parole un Cronenberg più concentrato sulla calibratura narrativa e l'asciuttezza contenutistica, piuttosto che una nuovo capitolo della sua morbosa ed affascinante filosofia della mutazione. Un importante film di transizione quindi, che non rinuncia a sprazzi di straordinaria intensità, o l'apertura ad una nuova strada? Sarà il successivo Painkillers, già in lavorazione a chiarirci molti di questi dubbi.