A pochi mesi di distanza dalla distribuzione italiana del suo precedente film, lo stupendo Nella casa, da questo giovedì arriva nelle nostre sale il nuovo lavoro di uno dei maggiori registi del panorama europeo, François Ozon: Giovane e bella, pellicola presentata in concorso alla 66ª edizione del Festival di Cannes e accolta da un notevole successo di pubblico in Francia, nonostante la tematica potenzialmente 'scabrosa'. Giovane e bella, difatti (che in originale suona, molto più musicalmente, Jeune et jolie), costituice la cronaca dell'esplorazione della sessualità da parte di una ragazza diciassettenne di famiglia borghese, che dopo essersi accostata per la prima volta all'eros decide di improvvisarsi prostituta d'alto bordo con lo pseudonimo di Léa.
Accompagnato dalla voce carezzevole e dalle melodie senza tempo di Françoise Hardy, Giovane e bella (accolto in maniera discorde dalla critica, tanto a Cannes quanto in Italia) vede protagonista la giovanissima attrice e modella Marine Vacth, mentre nel cast si distingue, in un breve ma intenso ruolo, l'intramontabile Charlotte Rampling, una fra le interpreti predilette da Ozon; il quale, attraverso questo film, prosegue un itinerario cinematografico variegato e decisamente stimolante, in cui uno dei principali fil rouge è proprio l'analisi dei sentimenti e del desiderio, descritti in tutta la loro complessità e, in molti casi, ambiguità. L'uscita di Giovane e bella ci offre dunque l'occasione per ripercorrere la carriera del regista parigino, che nel 2013 ha festeggiato i suoi primi quindici anni di attività ed il suo quattordicesimo film - il quindicesimo se si conta anche il mediometraggio del 1997 Regarde la mer (un ritmo produttivo da far invidia a Woody Allen!).
Gli esordi da enfant terrible
Difficile racchiudere il cinema di François Ozon in una definizione, o tentare di catalogarlo legandolo ad un genere: a partire dal suo esordio, nel 1998, il regista e sceneggiatore (che il prossimo 15 novembre compirà 46 anni) si è divertito a variare stili, registri e soggetti narrativi, pur mantenendosi sostanzialmente fedele ad un'idea di cinema che, ciò nonostante, appare da allora in continua ed irrefrenabile evoluzione. Sicuramente ad Ozon non manca il coraggio, come dimostrano già i suoi primi passi in ambito professionale: per esempio in Sitcom - La famiglia è simpatica, opera d'esordio datata 1998, non esitava a premere sui pedali della trasgressione e del grottesco demolendo dall'interno le convenzioni della famiglia borghese, raffigurata come un sepolcro imbiancato che celava dietro un velo di ipocrisia storture e perversioni di ogni tipo (si arriva perfino all'incesto). Da un lato, Ozon guardava con sarcasmo ai cliché delle sit-com televisive (come indicato dal titolo stesso); dall'altro sembrava rifarsi all'umorismo nero e alla corrosiva satira dei primissimi film di Pedro Almodóvar, regista al quale è stato spesso accomunato (e non a torto). Il discreto successo dello scandaloso Sitcom non verrà bissato, l'anno successivo, dal suo secondo lungometraggio, Amanti criminali, noir cupissimo che rivisita in chiave dark il modello drammaturgico della fiaba Hansel e Gretel, con una coppia di giovani studenti assassini braccati da un eremita sadico e cannibale.
Sulle orme di Fassbinder
Assai più apprezzato, perlomeno dalla critica, è invece Gocce d'acqua su pietre roventi, che nel 2000 riceve il Teddy Award come miglior film a tematica gay al Festival di Berlino. Questa volta François Ozon prende a modello l'altro suo nume tutelare, il compianto regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, di cui decide di adattare una vecchia pièce teatrale, Tropfen auf heisse Steine. Il tema è uno dei leitmotiv della poetica fassbinderiana: la passione amorosa - ed erotica - come strumento di esercizio del potere nell'ambito delle relazioni umane, messe in scena come inesorabili giochi al massacro. Rispetto a Fassbinder, tuttavia, Ozon stempera il dramma attraverso quell'ironia e quel gusto per il camp che, all'occorrenza, saprà sfoderare più volte nei suoi film successivi. Ma la consacrazione definitiva arriva, quello stesso anno, grazie ad un'altra pellicola, lo straziante Sotto la sabbia, in cui per la prima volta il regista rinuncia agli eccessi kitsch e grotteschi degli esordi per mostrare la seconda anima del proprio cinema: quella più rigorosa e drammatica, in grado di scavare con profonda pietas negli angoli più reconditi delle emozioni e della sofferenza. Come accade per il personaggio di Marie Drillon, piacente cinquantenne alle prese con il rifiuto del lutto per l'improvvisa scomparsa del marito Jean durante una vacanza al mare (un espediente che si richiama all'incipit del classico L'avventura di Michelangelo Antonioni).
Fra lutto e maternità: la fase intimista
Con uno spiazzante cambiamento di registro, grazie a Sotto la sabbia Ozon conquista la critica e rilancia la carriera di una Charlotte Rampling forse mai così brava come in questo film. Il tema del lutto, insieme alla difficoltà di riaccostarsi alla vita nel momento in cui dobbiamo fronteggiare il dolore di una perdita, si rivelerà un'altra costante dell'opera di Ozon, che tornerà a sviluppare i medesimi argomenti in altre due pellicole: Il tempo che resta (2005) e Il rifugio (2009), caratterizzati dallo stesso approccio intimista di Sotto la sabbia. Nel commovente Il tempo che resta la storia ruota attorno al personaggio di Romain, un giovane fotografo omosessuale interpretato dall'affascinante Melvil Poupaud, il quale scopre di avere una malattia terminale che gli lascia solo tre mesi di vita: tre mesi per riconciliarsi con le persone a lui più vicine e, forse, per dare un nuovo significato alla propria esistenza. Meno convincente Il rifugio, in cui l'attrice Isabelle Carré (realmente incinta durante le riprese) interpreta Mousse, scampata a un'overdose di eroina che ha provocato la morte del suo compagno e costretta a gestire una gravidanza con la sola compagnia del fratello del defunto fidanzato. La maternità è anche il focus di Ricky - Una storia d'amore e libertà, del 2009, uno dei film più originali, bizzarri ed insospettabilmente teneri di Ozon, il quale adotta i toni della fiaba surreale per imprimere al proprio racconto - la storia di un bambino al quale spuntano un paio di ali - uno spiccato valore metaforico.
Otto dive alla corte di Ozon
Uno stile diametralmente opposto è quello adottato invece, nel 2002, per il film più famoso nella carriera del regista: 8 donne e un mistero, trasposizione in chiave postmoderna (e sottilmente camp) di una pièce teatrale di Robert Thomas, che amalgama con disinvoltura gli ingredienti del murder-mystery alla Agatha Christie, della commedia grottesca e del musical - le scenografie coloratissime e vistosamente artificiali, alla Vincente Minnelli, ma con echi dello straniamento di un altro film musicale come Parole, parole, parole... di Alain Resnais. E per l'occasione Ozon ha il merito di riunire, fra le otto interpreti (premiate al Festival di Berlino con un riconoscimento complessivo per il cast), almeno cinque indiscusse primedonne del cinema francese: dalla regale Catherine Deneuve alla veterana 85enne Danielle Darrieux, passando per star sfrontate e sensuali del calibro di Fanny Ardant (protagonista con la Deneuve di una gustosissima sequenza saffica) ed Emmanuelle Béart; fino ad una sublime interprete drammatica quale Isabelle Huppert, in grado di far scendere le lacrime con la sua struggente interpretazione di Message personnel di Françoise Hardy. Miscelando un'irresistibile ironia, l'abilità nella destrutturazione e ricomposizione dei generi ed una marcata sensibilità gay, Ozon mette a segno un successo strepitoso: sia in termini di critica (una valanga di candidature ai César, la nomina a rappresentante della Francia agli Oscar), sia a livello commerciale, con oltre tre milioni e mezzo di spettatori solo in patria e un totale da record di sette milioni di spettatori al box office internazionale.
Thriller e melodramma, tra realtà e finzione
Reduce dal trionfo di 8 donne e un mistero, un anno più tardi Ozon ritrova l'attrice Charlotte Rampling per un film in cui, per la prima volta, si cimenta con il genere del thriller psicologico: Swimming pool. La Rampling (che per la sua interpretazione riceve lo European Film Award) è Sarah Morton, scrittrice di romanzi gialli in cerca di ispirazione, mentre Ludivine Sagnier (la più giovane tra le 8 femmes del film precedente) è la conturbante ninfetta Julie, che prima disturba la quiete di Sarah nella villa con piscina in cui si era rifugiata, poi ne stimola la fantasia in un pericoloso gioco al confine fra realtà e finzione. In questo caso, Ozon alza il tiro: la duplicazione e la disgregazione dell'identità femminile, con tanto di inserti onirici, rimandano addirittura al cinema di Ingmar Bergman, oltre che al più recente Mulholland Drive di David Lynch. E il risultato replica in parte il successo di 8 donne e un mistero, con ottimi incassi soprattutto negli USA. Divide la critica, invece, CinquePerDue - Frammenti di vita amorosa, del 2004: le "scene di un matrimonio" fra Gilles e Marion, interpretati da Stéphane Freiss e Valeria Bruni Tedeschi, mediante un percorso narrativo in cinque capitoli incasellati a ritroso (come nel classico di Harold Pinter Tradimenti). Per il regista si apre un periodo produttivo ma dagli esiti altalenanti, che nel 2007 lo porta ad 'inciampare' nell'immeritato flop di Angel - La vita, il romanzo: un ambizioso e sottovalutato melodramma in costume in cui Ozon torna ad analizzare la dicotomia spesso crudele fra la creazione artistica e la "vita vissuta", come già avvenuto per Swimming pool e come farà poi in Nella casa. Il film, l'unico diretto da Ozon in lingua inglese, accanto ai veterani Sam Neill e Charlotte Rampling vede protagonisti l'emergente Romola Garai e un ancora sconosciuto Michael Fassbender.
Il ritorno al successo: Potiche e Nella casa
Dopo un periodo segnato da film poco fortunati e non sempre riuscitissimi, negli ultimi tre anni la carriera di Ozon ha subito una clamorosa impennata che lo ha ricollocato sulla cresta dell'onda e gli ha restituito in pieno i favori di critica e pubblico. La svolta arriva nel 2010 con Potiche - La bella statuina ed il provvidenziale contributo della sua protagonista: una folgorante Catherine Deneuve, qui nel ruolo di Suzanne Pujol, mansueta casalinga borghese che, nella Francia degli Anni '70, si prende una sferzante rivincita sul dispotico marito imprenditore (Fabrice Luchini) e nel frattempo rispolvera l'antica passione per un agguerrito sindacalista (Gérard Depardieu). Con il suo spirito ironico e gioiosamente progressista, Potiche (che con 8 donne e un mistero condivide la derivazione teatrale) riporta Ozon sul campo della commedia brillante, un terreno su cui il regista risulta perfettamente a proprio agio; e la pellicola, condita da diversi brani della musica pop francese, oltrepassa i due milioni di spettatori in patria, rivelandosi il suo secondo maggior incasso sul territorio nazionale.
È però nel 2012 che Ozon torna a sfiorare il capolavoro, dirigendo quello che, insieme a 8 donne e un mistero, può essere considerato il suo miglior film: Nella casa, trasposizione di un racconto dell'autore spagnolo Juan Mayorga, Il ragazzo dell'ultimo banco. L'interesse del regista verso le infinite possibilità dell'invenzione letteraria come strumento di (ri)lettura della realtà è qui declinato in un plot estremamente intrigante che assume i contorni del thriller psicologico. Al centro della vicenda, il rapporto tra il professor Germain, insegnante di letteratura interpretato da un sopraffino Fabrice Luchini, e il suo allievo più dotato, Claude (Ernst Umhauer); il ragazzo rincorre l'ispirazione narrativa insinuandosi all'interno della famiglia di un suo compagno di classe e improvvisandosi demiurgo dei loro destini, in un gioco ambiguo e pericoloso che finirà per coinvolgere anche il professore e sua moglie Jeanne (Kristin Scott Thomas). Una formidabile mise en abîme che si propone al contempo come un'acuta, personalissima - e forse autoironica? - riflessione sul vampirismo insito nella figura dell'artista (e quindi del cineasta).