Aveva incantato all'ultima Berlinale, il regista tedesco Christian Petzold, vincendo il Gran Premio della Giuria con Afire, secondo capitolo della trilogia sugli elementi, iniziata, sempre al Festival di Berlino, nel 2020 con Undine. A distanza di 9 mesi, il cineasta famoso per prediligere le protagoniste femminili, presenta Afire al 41° Torino Film Festival con il titolo italiano Il cielo brucia (qui la nostra recensione) che richiama all'originale Rotter himmel, che in tedesco significa appunto "cielo rosso".
Avevamo incontrato Christian Petzold a Berlino, facendoci descrivere le origini di questo film su di un giovane scrittore in crisi che, in una stranamente afosa e circondata di incendi estate tedesca, si ritrova a condividere una casa di vacanza con un amico e una misteriosa ospite, la cui anima spensierata e libertina andrà a distruggere tutte le sue, finte, certezze. Al Torino Film Festival, abbiamo arricchito quel primo incontro alla Berlinale conservato in un cassetto digitale, con qualche curiosità in più su Il cielo brucia, il destino di questa trilogia e quella futura.
L'estate al cinema
La genesi di questo decimo lavoro cinematografico ha radici che vanno oltre la trilogia e la necessità di trovare un secondo elemento su cui basare un nuovo film dopo Undine - Un amore per sempre. Quest'ultimo infatti fu presentato proprio alla Berlinale del 2020, quella che si concluse pochi giorni prima che in Italia fossimo messi tutti in quarantena e che poi il resto dell'Europa e del mondo cadessero sotto i colpi del Covid-19. Paula Beer e Christian Petzold furono tra i primi ad ammalarsi, proprio contagiandosi durante la promozione del film. In preda a deliri febbrili, senza riuscirsi a muovere e con quella paura della prima ondata dove non si poteva neanche andare in ospedale, Petzold doveva distrarsi, trovare un progetto per occupare la mente. "Ho iniziato a interrogarmi sui film estivi, vedendo che gli americani, i francesi, gli italiani e gli svedesi li hanno da sempre e noi in Germania no". In collegamento a Undine, di Il cielo brucia il regista premette: "Questo film è per me una versione femminista di Undine ma entrambi condividono una visione delle cose dal punto di vista maschile. Anche in questo caso, guardiamo alle cose attraverso la soggettività di un uomo. Io ho inserito questo sguardo maschilista dentro la realtà di un'estate che è sinonimo di vento, acqua, insetti, prati, odori, profumi, il ballare, liberarsi. I film ambientati d'estate sono quelli in cui i giovani si abbandonano, si ubriacano, in cui ci si apre all'amore, alla sofferenza, si cede ai tradimenti". Petzold contrappone la stagione estiva e il suo significato più liberatorio al suo "pessimo" protagonista: "Il mio protagonista rappresenta tutto il contrario di quei sentimenti estivi, lui chiude ogni porta, si chiude ad ogni possibilità. È quasi un cliché: bruttino, non balla mai, è quello che sta sempre in cucina, in disparte, durante le feste e sembra sempre che il suo scrivere sia una forma di vendetta verso non si sa chi. Più che essere uno scrittore, fa finta di esserlo, interpreta la parte di uno scrittore e, aggiungerei, di uno scrittore misogino".
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Ritratti femminili
Come capitò anche a Chabrol, confessa orgoglioso, Christian Petzold è stato spesso elogiato per la predilezione per i ritratti femminili nei suoi film. A confermare ciò, questa nuova trilogia degli elementi iniziata con l'acqua e un'attrice, Paula Beer, che da La donna dello scrittore ( 2018) in poi si è sostituita a Nina Hoss come musa per il regista tedesco. Nadja, il suo personaggio in Il cielo brucia, è meno onirica e più piantata a terra di Undine e il suo confronto e danza di attrazione/repulsione con il protagonista Leon (Thomas Schubert) è il cuore del film. "Ciò che mi piace tanto di questo film è che vediamo questo ragazzo, Leon, che non fa niente dalla mattina alla sera. Non lo vediamo mai lavorare, procrastina continuamente, non cucina, non pulisce, non aiuta. Al tempo stesso, Paula non solo è organizzatissima, ma cucina come una chef, lavora tantissimo e trova anche il tempo di uscire e fare sesso. Per uno scrittore misogino anni '90, una donna che lavora è spiacevole mentre una stesa sul letto a non fare nulla, è l'immagine della bellezza. Lei è totalmente l'opposto di questa visione antica della donna, così la prospettiva maschilista con cui questo ragazzo guarda alle cose fa sì che lui vada in confusione. Ricordo che questo aspetto del suo personaggio è piaciuto molto a Paula sin da quando gliene parlai la prima volta".
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Le trilogie
Il cinema di Petzold è costellato di trilogie, prima di quella degli elementi che inizia con Undine, sull'acqua, e continua con Il cielo brucia, sul fuoco, c'è stato il trittico di film sull'amore ai tempi di regimi oppressivi, La scelta di Barbara (2012), Il segreto del suo volto (2014) e La donna dello scrittore (2018). Perché strutturare la propria filmografia con percorsi di tre in tre? "Questa idea di lavorare con le trilogie mi è venuta in mente alla fine degli anni '80/inizi anni '90, quando ero ancora uno studente alla German Film Academy. Con un mio amico abbiamo pensato che strutturare il lavoro dentro delle trilogie comunicasse al pubblico l'idea che ci sono strade da percorrere. Per me il cinema ha a che fare con le città, i posti, i mercati, la vita sociale. Non mi piace l'idea di creare arte, io voglio piuttosto essere parte, scusate la rima, di qualcosa. Credo che questo mio approccio abbia a che fare con i film che amo ed ho amato nella mia vita. Il Neorealismo in Italia, la Nouvelle Vague in Francia, film che raccontano gruppi, costruiscono città di cinema e non musei. Forse per questa ragione, ad un film come Citizen Kane, preferisco L'orgoglio degli Amberson di Orson Welles". Arriva poi la domanda che a Petzold abbiamo fatto due volte: quale sarà l'elemento che guiderà il film di chiusura della trilogia degli elementi? L'aria o la terra?
Alla Berlinale 2023 Petzold ha dichiarato: "Ho sempre lavorato con le trilogie ma un po' come Thomas e Paula nel film che non si sentono del tutto a proprio agio, né con l'aria né con la terra, non ho proprio idea di quale potrebbe essere il terzo elemento per chiudere questa trilogia iniziata con Undine. Credo che l'abbandonerò, visto che questa 'città filmica' è stata già costruita. Voglio fare film sui gruppi sotto pressione. Il primo sarà su una famiglia che vive sotto pressione, il secondo invece su di un gruppo di giovani attivisti politici che lavorano sottobanco per la causa climatica". Non contenti di una risposta indecisa, il Torino Film Festival è stato il terreno perfetto per rifare la domanda: il terzo elemento? Non ci sarà un terzo film? "È arrivato il momento per me di smetterla di raccontare e raccontarvi bugie, ero vago sul terzo film perché in realtà, per mesi, ho cercato di acquisire i diritti di un romanzo scritto da un autore inglese in cui c'era un palloncino, ovviamente pieno d'aria, quindi perfetto per il terzo elemento. Purtroppo il budget a mia disposizione per opzionare questo romanzo non è stato abbastanza ed un'altra casa di produzione se l'è accaparrato. Dunque, questa trilogia è definitivamente finita, mi dispiace".