Una coincidenza, un caso fortuito, oppure un indizio con un significato ben preciso. Nel 2008, sul grande schermo, assistiamo a due conferenze stampa molto diverse. In Iron Man l'istrionico Tony Stark, sfrontato e fiero, ammette senza troppi problemi di essere l'eroe di ferro. Ne Il cavaliere oscuro, invece, Harvey Dent spiazza gli astanti dichiarando di essere Batman, prendendosi la responsabilità di azioni non sue. Bruce Wayne rimane in disparte, dietro le quinte, in un gioco della parte in cui la persona e il simbolo dovevano rimanere separati. Involontariamente queste due scene opposte sono diventate due manifesti, due dichiarazioni di intenti. Da una parte la Marvel dava il via al suo universo votato ad un intrattenimento sfacciato, sovraesposto e orgoglioso. Dall'altra Christopher Nolan toccava l'apice della sua trilogia impregnata di dolore, paura, caos, epica ed etica. Una trilogia impermeabile, meravigliosamente autosufficiente e chiusa in se stessa. La storia di un uomo, di una città e di un emblema in cui il senso dei paladini va cercato negli anfratti più oscuri, negli angoli più sporchi e fangosi, nel non detto più che nelle parole pronunciate.
Per questo non c'è spazio per universi condivisi dietro la maschera del Cavaliere Oscuro. Per questo non c'è bisogno di convivenze tra eroi sotto il mantello del Batman di Nolan. Laddove il cinecomic si riscopriva grande evento corale e interconnesso grazie al grande lavoro in casa Marvel, Il cavaliere oscuro urlava a gran voce il suo bisogno di autonomia. Perché quella delineata da Nolan è una parabola personale e intima, un racconto che scava sottopelle sino a toccare il nervo scoperto di un uomo e il punto debole di un eroe riluttante. Lontano da qualsiasi forma di glorificazione pubblica, Batman viene messo alle strette, ferito nel corpo e violentato nella psiche. Tra lutti, sacrifici, sensi di colpa e menzogne a fin di bene, Il cavaliere oscuro assomiglia a una sala operatoria in cui l'anima di Gotham City e di Bruce Wayne vengono sondate, vivisezionate, spremute sino a ricavare una morale assoluta.
Calato in un contesto di estremo realismo in cui ogni singolo elemento ha una sua spiegazione plausibile, il sesto film di Christopher Nolan riesce nell'impresa di farci capire che peso avrebbero davvero gli eroi nel mondo contemporaneo, che cosa accadrebbe se le nostre città fossero scrutate dall'occhio vigile di un paladino che si pone al di sopra della legge. Pochi film come Il cavaliere oscuro sono riusciti a conciliare la sofisticata visione d'autore, grande intrattenimento e adorazione collettiva. Perché il Batman di Nolan, osteggiato soprattutto da chi ritiene tradita e bistrattata la visionaria fonte fumettistica, è amato dalle persone. Ed è per questo che oggi, esattamente dieci anni dopo la sua uscita americana (in Italia arrivò il 23 luglio), siamo qui a celebrare la pietra miliare di un genere ridefinito grazie a una profonda riflessione sul senso dell'eroismo e a un antagonista tanto maledetto quanto memorabile. Perché non moriremo da eroi, ma abbiamo vissuto abbastanza a lungo da goderci Il cavaliere oscuro. Ce lo faremo bastare.
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L'uomo, l'eroe, il simbolo
Dividere l'uomo dalla maschera, scindere l'eroe dal simbolo, staccare il paladino dalla persona. Armato di coraggio e bisturi, Nolan ha preso Batman e lo ha fatto a pezzi. Letteralmente. Scomposto in tante parti, l'Uomo Pipistrello gioca a un logorante braccio di ferro con il suo regista lungo tutto il film. Come se mettere in difficoltà l'eroe sia la condizione migliore per tirarne fuori l'essenza. In questo accurato lavoro di sottrazione, l'autore londinese mette subito le cose in chiaro sin dal titolo. Per la prima volta il nome "Batman" non compare. Troppo altisonante per i subdoli intenti del film, il nome pubblico dell'eroe viene omesso per una ragione ben precisa: Nolan punta a ribaltare il punto di vista dell'icona. Batman, svestito del prefisso super, non viene guardato dalla gente dal basso verso l'alto, non viene innalzato a paladino senza macchia, ma calato in un contesto sociale e politico talmente balordo da intaccarne ogni percezione immacolata. Se Batman Begins era stato un faticoso viatico personale, in cui un uomo fronteggiava e dominava le proprie paure, Il cavaliere oscuro allarga i suoi orizzonti per diventare un affresco cittadino.
Per una volta l'eroe non ispira il bene, ma ispira il Male. Così la criminalità di una Gotham City condannata alla perdizione genera un anticorpo instabile di nome Joker. Ed ecco che il cinecomic nolaniano ci mostra le più inaspettate e scomode conseguenze dell'essere Batman, dell'aver creato un simbolo intimidatorio per i criminali ma in cui è difficile identificarsi per le persone. Da qui la scelta di eleggere Harvey Dent a simbolo accessibile per la gente, da qui la sottile differenza tra ciò che è giusto e quello di cui c'è bisogno. Spaziando tra il privato e il pubblico con equilibrio invidiabile, in sole due ore e mezza Il cavaliere oscuro riesce a mettere in scena tante facce di Bruce Wayne e di Batman. Del primo vediamo il rampollo dall'aria superficiale che si circonda di belle donne e si addormenta alle riunioni, il figlio putativo protetto dall'immancabile figura paterna di Alfred, l'innamorato costretto a dire addio alla sua Rachel. Dell'uomo mascherato apprezziamo le entrate in scena inaspettate, la furia spaventosa riversata sulle fecce di Gotham e persino le doti da investigatore troppo spesso dimenticate dal cinema. Tutti elementi che fanno de Il cavaliere oscuro un film sui supereroi, non con i supereroi. Sull'esempio del suo protagonista che si ricuce da solo per imparare dai propri errori, Nolan solleva per sempre un'icona e le insegna a rimettersi in piedi.
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O muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo
L'equità del caos nel ghigno del Joker
Una figura inquietante se ne sta immobile all'angolo di una strada, ripresa di spalle. L'inquadratura si avvicina lentamente. Scorgiamo soltanto pochi dettagli: dei lunghi capelli oleosi, un grande borsone e poi una maschera da clown. Dieci anni dopo, possiamo dire che la prima immagine del mellifluo, straordinario e indimenticabile Joker di Heath Ledger è entrata nell'immaginario collettivo. Perché, in realtà, quell'anima in pena che ama leccarsi le labbra e ridere senza contegno delle disgrazie altrui non aveva bisogno né di quella maschera, né di quel borsone pieno di soldi. Il Joker non ha bisogno di nascondersi, perché è fiero di essere una disturbante eccezione alla regola. Al Joker non servono soldi, perché lui non è un semplice criminale. La storia ci ha insegnato che la gente del crimine non è complicata. Loro vogliono danaro, potere, controllo, libertà assoluta. Il Joker è diverso, perché irride con gusto il tessuto criminale di Gotham, così vincolato ai suoi riti e alle sue abitudini, per elevarsi a inquietante agente del caos. Mina vagante dal ghigno largo e slabbrato, peccatore che vive ogni attentato come un orgasmo libidinoso, l'immenso Joker di Ledger è senza dubbio uno degli antagonisti più inquietanti e complessi della storia del cinema.
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Pura essenza del male, il pagliaccio di Gotham è astuto, imprevedibile, portatore di una filosofia di vita tutta sua, ma capace di minare le certezze di Batman. La sua vocazione per il caos, equo e giusto nella sua anarchia, è il credo destabilizzante di un terrorista dotato di grande abilità manipolatorie. Deridendo l'iconografia di Batman attraverso i mass media e imponendo la sua tappezzando Gotham di carte da gioco, Joker non si accontenta di seminare dubbi e rabbia nel Cavaliere Oscuro, ma utilizza il prossimo come cartina al tornasole della sua visione distorta del mondo. Da bravo parassita qual è, Joker usa Harvey Dent per dimostrare a tutta Gotham che non esistono incorruttibili, mette in scena quel sottile gioco di società tra le due navi per urlare in faccia a Batman che la gente si nutre di egoismo, diffidenza e pregiudizi. E come dimenticare le storie incoerenti sull'origine delle sue cicatrici? Un padre troppo odiato o una moglie troppo amata? L'impossibilità di scovare un'origine a quest'uomo è la chiave della sua stessa maledizione. Una condanna resa ancora più beffarda dalla morte prematura di Heath Ledger il cui sorriso gentile, purtroppo, verrà spesso offuscato da un'atroce risata.
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Quello che non ti uccide ti rende più strano
La nobile arte del compromesso
Schiacciato dal senso del dovere nei confronti della sua stessa icona. Dilaniato dal senso di appartenenza a una città da salvare a tutti i costi. Il Batman di Christian Bale verrà ricordato come quello più tormentato di sempre, perché costretto a fronteggiare conflitti su più piani. Dall'amore alla famiglia, da un'azienda da gestire a una comunità di cui si è autoeletto salvatore. Ne Il cavaliere oscuro Batman viene messo davanti a due specchi, stretto tra due figure che è costretta a fronteggiare. Da una parte il caos, dall'altra il caso. Da una parte l'anarchico Joker, dall'altra Harvey Dent, l'uomo che affidava ogni sua scelta al lancio di una moneta. Il Joker, come detto, è la nemesi perfetta di Batman, un germe che si insinua dentro l'eroe per minarne ogni certezza e ogni principio. Subdolo nel cercare punti di contatto tra due freaks, due reietti messi in modo diversi ai bordi della società, il criminale dai capelli rancidi deride l'etica batmaniana piena di regole e gode nel martellare il Cavaliere Oscuro a suon di sensi di colpa. Se Joker è tutto quello che un uomo disilluso ha paura di diventare, Harvey Dent è tutto ciò che Bruce Wayne non può essere, ovvero una figura pubblica che vive alla luce del sole i suoi successi e il suo impegno civile, un uomo straordinariamente normale che ha conquistato la stima e il cuore della sua Rachel, stanca di aspettare il giorno in cui Gotham non avrà più bisogno di Batman. Messo in discussione da questo duplice confronto, Batman trova finalmente la sua apoteosi eroica nel meraviglioso epilogo del film.
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Il Cavaliere Oscuro comprende che alcuni eroi non sono destinati alla gloria, ma costretti a scoprire la nobile arte del compromesso. Stretto di un abbraccio notturno, Nolan ci dice che l'eroismo può essere anche un fardello, una scelta scomoda, un vincolo all'ombra e all'oblio in grado di tradire persino la verità. Batman si prende la colpa di azioni non sue. Perché lui può sopportarlo, perché lui ha capito che c'è un abisso sottile ma profondo tra quello che la gente merita e quello di cui la gente ha bisogno. Sostenuto da un Hans Zimmer in vena di note poetiche, enfatiche e trascinanti, Il cavaliere oscuro si chiude con un gesto di meraviglioso altruismo. Ovvero con la presa di coscienza di un uomo che implode nel suo stesso simbolo, di un eroe più umano dell'umano che si sporca la coscienza per ripulire l'anima di una città intera. Dieci anni dopo, siamo ancora lì, alle spalle di quel tunnel con uno spiraglio di luce, ad applaudire con gli occhi lucidi e la pelle d'oca. O di pipistrello. Fate voi.
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