Vogliamo vivere nel mondo delle fiabe, ma spesso ci inghiottisce il mondo degli orchi. Le notizie di cronaca nera si rincorrono, e le menti si pongono alla ricerca di un motivo, o di un colpevole. Documentari come Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio, scritto e diretto da Gianluca Neri (già ideatore e produttore di un'altra docu-serie dal forte impatto come Sanpa: Luci e tenebre di San Patrignano) non si arroga il diritto di fornire delle risposte, quanto gli strumenti per mettere in dubbio le proprie certezze, o dare conferma ai propri ideali.
Lo fa con dovizia di particolari, sfruttando quel potere di avvalorazione delle prove che un senso come la vista sta sempre più vantando nella società delle immagini. E così, alle parole di testimoni, esperti, giornalisti, famigliari e condannati (Massimo Bossetti in primis) si alternano, o si sovrappongono, materiali di repertorio, servizi giornalistici, filmati processuali. Quasi come se vedendo ciò che prima viene restituito verbalmente, siamo portati a credere, accettare ciò che ci viene proposto, e assimilare ogni respiro, ogni sguardo, così da capire, comprendere, un caso che forse tutto ha, meno che la giustizia assoluta.
Un caso compiuto a metà, come una ruota a mezz'aria
Per anni abbiamo sentito il nome di Yara Gambirasio affiancarsi a un aggettivo: "povera". E Yara - a livello simbolico - "povera" lo è stata davvero: ha incontrato il volto della morte troppo presto, senza un perché, senza un come. Povera nel destino e nella giustizia. Povera perché quel corpo ritrovato in un campo, quei sogni spezzati, quel talento della ginnastica rimasto a mezz'aria senza poter toccare di nuovo terra, pur trovando nella figura di Massimo Bossetti il suo omicida, pare brancolare ancora in un mare di incertezze, dubbi, indizi mancanti come una ruota realizzata a metà. Neri non prende posizioni; sa che ogni tassello di questo puzzle disordinato non basterà a dare giustizia, a fornire risposte. Sa che tutto deve essere narrato, ricomposto, per Yara, e per Yara soltanto.
Vige alla base dell'opera una necessità di raccogliere ogni informazione tralasciata, ogni fattore insolito, anche quello apparentemente poco inerente al caso, come il ruolo fedifrago della madre di Massimo, o i tradimenti della moglie Marita. Forte di un montaggio ricco di inserti provenienti da atti del processo, intercettazioni, interviste, programmi televisivi, e filmati degli agenti (di forte impatto quello dell'arresto di Bossetti) non vi è un momento in cui lo spettatore ha motivo di distrarsi. Il caso Yara è un vortice audiovisivo che prende il proprio pubblico, lo getta nuovamente al centro di un incubo collettivo, non per ipnotizzarlo, quanto per risvegliarlo nel suo spirito critico, stimolandogli un processo mentale senza suggerirgli risposte, ma limitandosi a fornirgli gli strumenti di giudizio personale.
Il buio glaciale dell'imparzilità
In un caso come quello di Yara non c'è luce; tutto è ingoiato dal buio delle tenebre, ammantato dall'abito del mortifero dolore. Un lutto costante che investe una fotografia dicotomica, dove la luce sfida le ombre, e l'oscurità giace sui volti degli intervistati. Il buio che avvolgeva quella notte del novembre del 2010 adesso riveste anche i visi di inquirenti, giornalisti, medici, avvocati, famigliari. Le parti accusatorie si alternano a quelle difensive, tra chi urla l'innocenza di Bossetti e chi lo accusa: una lotta intestina proiettata fotograficamente da quella lotta tra tonalità fredde, ombrose, e tenue, calde. Ma se visivamente è l'oscurità che pare soggiogare la luce, ne Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio non c'è nessun vincitore o vinto. Tutto vive sull'imparzialità. Quella compiuta da Neri, e i co-autori Carlo Gabardini ed Elena Grillone è una ricerca attenta tra gli archivi televisivi e personali degli intervistati, al fine di ritrovare quelle tessere mancanti da incastrare al centro di un puzzle mnemonico di vite a metà strada tra luci e ombre, abbracci e pugni, carezze e colpi inferti e subiti.
Guida oggettiva per spettatori giudicanti
Vuole compiere ciò per cui le docu-serie nascono, Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio: vuole accogliere a sé ogni informazione, ogni ricordo, ogni intercettazione per raccontare un fatto nella maniera più obiettiva possibile. Un punto d vista oggettivo, mai interferito da melensa retorica, o forzato sentimentalismo. Non sarebbe giusto, nei confronti di Yara, e nei confronti di un caso che ancora fa rabbrividire la pelle, drizzare i peli. La musica, fortemente empatica, è una rampa di lancio che spinge la narrazione verso la corsia di emergenza dell'apparato sentimentale dello spettatore, per poi spostarsi su quello razionale.
La colonna sonora, così potente, ma mai pressante o invasiva, fa da aggancio affettivo per il proprio pubblico; è un collegamento ulteriore verso una domino narrativo, dove caduto il primo tassello informativo (la scomparsa di Yara) ne susseguono a un ritmo dinamico e impattante tutti gli altri, senza tralasciare nulla, senza incappare in lacune inutili. Neri offre ai propri spettatori ogni strumento necessario per formulare un proprio giudizio; una sentenza che va a opporsi, o a confermare, quella precedentemente formulata. Non è una mano che indica il percorso da compiere, la docu-serie su Netflix, quanto una guida che accompagna a debita distanza i propri spettatori lungo le tappe fondamentali di un caso che ancora fa male, fa discutere, fa pensare.
Tra mostri e anime innocenti
Video inediti; registrazioni a opera degli agenti; uno studio rigoroso di tutti i 60 faldoni dei documenti che compongono l'inchiesta; fotogrammi di colpevoli in fuga, e di abitanti raccolti in fiaccolate: Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio non vuole essere pane per i denti di una società attratta dal voyeurismo macabro, o bulimica di casi di cronaca nera. È un'operazione compiuta in nome della verità, anche quella ricercata nella storia di colui che è considerato il mostro della storia. La raccolta di ogni informazione possibile può infatti far pensare a una svolta quasi innocentista della docu-serie di Netflix; ma è una sensazione che può generarsi proprio da quel desiderio di non lasciare nulla al caso, di sentire entrambe le parti in causa, senza puntare il dito, senza formulare o abrogare sentenze.
Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio lo dichiara forte e chiaro nel suo titolo. Non vuole elevarsi a giudice, a capo supremo di un processo mediatico, ma semplice organo informativo super-partes. È un archivio di dati, testimonianze, nozioni, offerte a un pubblico ora pronto a vestirsi di toga e martelletto e stabilire nella propria aula mentale colpevoli e innocenti, prove contraffatte e altre essenziali. Il tutto mentre Yara attende, aspetta, come ha fatto in quel campo di Brembate per due mesi, che ogni tassello trovi il proprio posto e la giustizia assoluta faccia il suo corso.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio sottolineando come la docu-serie in cinque episodi disponibile su Netflix riesce con dovizia di particolari, e un montaggio ricco di inserti inediti e interessanti, di seguire e restituire luci e ombre di un caso che ancora chiede giustizia assoluta. Sospinto da una colonna sonora fortemente empatica, il regista e ideatore Gianluca Neri fornisce con attenta obiettività di racconto tutti gli strumenti necessari affinché i propri spettatori possano formulare un proprio giudizio, senza influenze o suggerimenti esterni.
Perché ci piace
- L'oggettività di racconto.
- L'uso di una fotografia ombrosa e glaciale.
- Un montaggio ricco di inserti inediti, e innumerevoli filmati di repertorio, o intercettazioni telefoniche.
- Le interviste sia a Massimo Bossetti che agli inquirenti.
- Aver portato alla luce fatti prima ignorati.
Cosa non va
- Il rischio di indugiare su eventi, o rivelazioni, apparentemente poco inerenti allo sviluppo del caso.