"Ogni donna è una bambina che ha perduto la grazia, un mostro che un tempo era umano." Questa frase che senza contesto può sembrare assurdamente provocatoria descrive in pieno quel fenomeno che nelle ultime settimane ha investito l'attrice Millie Bobby Brown. La citazione è di Jude Ellison Sady Doyle che nel suo saggio Il mostruoso femminile analizza quanto le fasi della vita di una donna abbiano turbato (e turbino) una narrazione cinematografica che per molto tempo è stata appannaggio maschile. Tutti guardiamo la televisione, tutti ascoltiamo musica, tutti abbiamo, almeno una volta nella nostra vita, guardato un film o una serie affezionandoci inevitabilmente a quei personaggi (e di conseguenza ai loro interpreti) che riempivano le nostre serate di vicende immaginifiche e appassionanti. Ma fino a che punto può spingersi questa affezione? Entro quale soglia questo sentimento si tramuta in qualcosa di morboso?

Tutti abbiamo amato Undici, la ragazzina con poteri straordinari che in Stranger Things, insieme ai suoi amici nerd, si ergeva contro il terribile Demogorgone attraverso capacità telecinetiche. La ricordiamo sparuta e incerta mentre cerca di prendere gli Eggo's dal Mini Market. Ma quella bambina dallo sguardo determinato che per ottenere la parte nella serie Netflix si è rasata i capelli a dieci anni, è ora una ventunenne che cerca di affermarsi come attrice in uno degli ambienti più misogini del pianeta: Hollywood.
Il mito della star bambina

Dopo la premiere di The Electric State durante la quale ha ricevuto tantissimi commenti sprezzanti sul suo aspetto fisico, che secondo alcuni non rispecchierebbe l'età anagrafica, Millie Bobby Brown ha condiviso sui suoi social un video dove risponde a quelle critiche che in questi giorni hanno indagato il suo corpo mettendolo sotto la gigantesca lente dell'opinione pubblica. -"Questo non è giornalismo. Questo è bullismo" dice l'attrice per poi aggiungere: "Non mi metterò in un angolo per adattarmi alle aspettative irrealistiche di chi non sopporta di vedere una ragazza diventare una donna." Ha centrato il punto: da sempre l'industria cinematografica, e non solo, ha proposto al pubblico giovani donne o bambine promuovendone la freschezza, esaltandone una vivacità propria della giovinezza ed ergendole a modelli aspirazionali, oltre che a corpi a cui purtroppo guardare. Da Shirley Temple a Judy Garland, da Britney Spears a Miley Cyrus, tutte hanno visto le loro carriere tremare o, nel peggiore dei casi, infrangersi contro quel muro invalicabile che era l'età adulta.
Il caso più sconcertante, ma ce ne sarebbero decine di cui parlare, è di sicuro quello di Shirley Temple, bambina prodigio del cinema americano nei primi decenni del Novecento che, dopo aver partecipato ad un numero spropositato di pellicole durante l'infanzia, ha visto la sua carriera di attrice andare a rotoli all'arrivo dell'adolescenza. Dopo essere stata sfruttata, molestata e fatta lavorare per quasi tutti i suoi primi dieci anni di vita, è stata poi abbandonata da pubblico e major quando il suo aspetto ha iniziato a cambiare e i ruoli di bimba prodigio e responsabile a stargli inevitabilmente stretti.
La perdita dell'infanzia

Proprio come Mogol e Battisti non perdonavano alla ragazza dalle lunghe trecce e gli occhi azzurri di non essere più quell'adolescente timorosa che ricordavano, anche il pubblico non riesce a perdonare a Millie Bobby Brown di essere diventata qualcosa di diverso, qualcosa di sicuramente meno rassicurante: una donna che, nel bene e nel male, sta costruendo consapevolezze che passano per la carriera così come per il senso estetico.
La ferocia dei commenti e delle parole rivoltagli può essere letta come un tentativo inconscio di riportare questa strana e mutevole creatura ad una forma che non faccia così paura? Non ci intendiamo di psicologia, ma non ne saremmo poi così tanto stupiti. In una società dove i canoni estetici sono un mezzo di controllo e un business allo stesso tempo tutto questo è possibile e noi, abituati da sempre al mito della purezza ci ergiamo a integerrimi paladini in sua difesa.
Quello che però dimentichiamo è che oltre i riflettori, oltre gli archetipi e i nostri retaggi culturali ci sono persone, giovani donne che stanno gettando le basi per il futuro, un futuro che ci auguriamo sarà diverso dal tempo presente, un futuro dove l'influenza dell'estetica sia ridimensionata ad ambiti specifici e nel quale promuovere canoni più sani e realistici, ma sopratutto dove il rispetto per le scelte di ogni individuo sia dovuto e primario.