È quel periodo dell'anno in cui in Italia si celebra il film designato a rappresentare il Bel Paese agli Academy Awards, meglio noti come gli Oscar. Questa volta tocca a Io Capitano di Matteo Garrone, già vincitore del Leone D'Argento alla Miglior Sceneggiatura e del Premio Mastroianni per l'attore emergente alla recente Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2023. Non siamo solo noi italiani a scegliere ovviamente il film di rappresentanza, ma qualsiasi paese abbia un titolo da proporre e atto a competere. E quest'anno anche il Marocco ha il suo campione.
Stiamo parlando del raffinato Il caftano blu di Maryam Touzani, presentato lo scorso maggio nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes e vincitore del premio FIPRESCI (della critica internazionale), primo lungometraggio marocchino a ricevere l'ambito riconoscimento artistico. Un'opera accolta dal plauso generale di pubblico e critica grazie a una delicatezza narrativa encomiabile e un tema ancora scottante nello stato africano, dove desiderio, amore e libertà non possono ancora convivere e il rispetto e il dovere tendono a fagocitare tutto il resto salvo quando è il resto a nutrirsi di loro.
Il sarto e la sua musa
La Touzani parte nuovamente dall'artigianato per costruire un dramma umano sensuale e toccante. Se in Adam del 2019 si intrecciavano le storie di un esperto fornaio e di una giovane donna incinta con un'innata passione per la gastronomia, qui la mano d'opera è quella sartoriale e il dramma più familiare, tra repressioni, passioni e difficoltà. Il racconto segue la vicenda di Halim (Saleh Bakri) e di sua moglie Mina (Lubna Azabel), lui sarto tradizionale e lei esperta venditrice, in grado di ammaliare il cliente quando serve ma anche di rimproverarlo quando deve, magari perché preferisce abiti meno costosi e cuciti a macchina, di tessuto mediocre, privi d'ispirazione e bellezza. Halim è specializzato in caftani, vestiti tradizionali marocchini, ma il peso della concorrenza comincia a farsi sentire. Quando Mina scopre di avere un tumore al seno, poi, le cose si complicano maggiormente, spingendo la coppia ad assumere un aiutante-apprendista, il giovane Youssef (Ayoub Missioui).
Solida coppia di mezza età, innamorata e senza figli, quella formata da Halim e Mina è una relazione dolce e chiassosa, fatta di piccoli gesti, accortezze spontanee, condivisione e divertimento. Con la sua industriosità, la sua gioventù e la sua bellezza, Youssef si inserisce lentamente nel loro rapporto in declino, non per mancanza di amore ma per mancanza di tempo, con la moglie sempre più consapevole della sua condizione terminale e il marito sempre più attratto dall'apprendista. Ciò che scopriranno di avere è però un affetto inscalfibile che neanche la morte può cancellare, intravedendo poi in Youssef non una minaccia ma una benedizione, maschera di cambiamento e realtà nonché prediletto portatore di un'eredità artigiana centenaria che va sempre più scomparendo, esattamente come la salute di Mina, diversamente dai pregiudizi che avvelenano ancora il Marocco.
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Sinuosa lussuria
Ne Il Filo Nascosto di Paul Thomas Anderson l'amore trascende la passione quando debole e nudo. Ha a che fare col bisogno e il cuore stesso del sentimento, fin troppo sedimentato al di sotto di un disarmante cinismo artistico e a un'inestinguibile sete di successo e ispirazione. Ne Il caftano blu c'è invece la seta a richiamare lussuria e desiderio, sempre toccata e maneggiata da Halim ma mai vissuta realmente. È un oggetto sinuoso e delicato che il sarto sa trasformare in qualcosa di unico e complesso ma che non ha mai indossato realmente. L'amore condiviso con Mina non lo ha mai reso necessario, lo ha sempre mantenuto forte e di quello si è vestito per decenni, offrendo la sua arte al cliente, respingendo quella lussuria accarezzata giorno dopo giorno. La scena iniziale mette al centro del discorso il desiderio, e lungo il corso del film la Touzani disvela il reale oggetto di questo desiderio con pacata visione autoriale, trasformandolo in soggetto e lasciandolo sbocciare davanti agli occhi dello spettatore. Nonostante l'evidente triangolo amoroso e l'inno alle molteplici forme di affetto e passione che possono esistere e convivere tra di loro, Il Caftano blu non si spinge mai oltre l'erotismo appena accennato, lavorando con estrema classicità e magnifica coerenza sull'anima dei protagonisti, la loro evoluzione, la loro rivelazione.
In un paese come il Marocco dove l'omosessualità è vista come sordida e peccaminosa, il messaggio della Touzani è invece terreno fertile d'intimità e riscoperta di sé, in grado di coesistere con l'amore eterosessuale, addirittura in grado di completarlo e migliorarlo. Ma questo vale solo quando dell'altro si accetta tutto, anche l'impossibile, persino l'indomabile. Per l'autrice l'amore è proprio come quel Caftano blu che Halim tenta di ultimare: senza data di scadenza, perfezionato in ogni suo dettaglio e anche quando terminato di bellezza fine e duratura, perché frutto di volontà e dedizione; e di quella seta blu petrolio così ammaliante apprezzare poi ogni piega e inclinazione, ogni cucitura con innesti dorati, sgargianti e differenti. Bellezza e desiderio insieme.
Conclusioni
In conclusione, Il caftano blu è un grande inno ai tanti volti dell'amore e ai tanti modi in cui viverlo, nutrirlo, trasformarlo. Un film intimo ed elegante, frutto di una visione classica ma raffinata di Maryam Touzani e con un messaggio forte e sovversivo per il Marocco, dove l'omosessualità è vista come qualcosa di sordido mentre l'autrice presenta la diversità come opportunità e benedizione, qualcosa da accogliere senza paura né pregiudizio.
Perché ci piace
- La sceneggiatura e la regia di Maryam Touzani.
- Le interpretazioni dei protagonisti, toccanti e straordinarie.
- Il modo in cui il film racconta e mostra l'artigianato come forma d'amore.
Cosa non va
- Non supera mai il limite, anche quando potrebbe e dovrebbe.