L'immagine di un treno che arriva alla stazione. Così si apre il nuovo film di Antonio Capuano, il regista ottantenne presente nel Fuori Concorso del Torino Film Festival con Il buco in testa. La stessa immagine che, in qualche modo, è riconosciuta come l'inizio del cinema stesso, quello dei fratelli Lumiere al cui film è dedicato insieme al produttore storico del regista, Gianni Minervini. Un'immagine che simboleggia non solo il viaggio della protagonista Maria, interpretata da Teresa Saponangelo, ma anche il semplice fascino del racconto primigenio. Tratto da una storia vera, il film racconta il viaggio della protagonista alla ricerca di Guido Mandelli, l'uomo che durante gli anni di piombo e una manifestazione ha assassinato con un colpo di pistola il padre di Maria.
Un buco in testa che non è solo quello del proiettile, ma anche un vuoto esistenziale che la protagonista non riesce a riempire. Rabbiosa, incapace di amare e di trovare una stabilità, Maria vive con sua madre, colpita da uno shock che non la fa parlare, presenza silenziosa e ingombrante, in una casa dove il fantasma del padre aleggia costantemente nelle fotografie che infestano le stanze. L'arrivo e la partenza del treno sono quindi metafora della vita di Maria, costretta a chiudere un capitolo della propria e trovare la forza di ripartire con una nuova consapevolezza.
Tutto su una protagonista
"Maria è il cuore del film". Non ha dubbi il regista Antonio Capuano nel descrivere la centralità del personaggio principale nell'economia del film. E non potrebbe essere altrimenti visto che la storia narrata nel film è basata su una persona realmente esistita: "Un giorno stavo ascoltando la radio e mi è capitato di sentire il racconto di questa donna di nome Antonia che aveva viaggiato tra Torino e Milano per incontrare l'uomo che le aveva ucciso il padre nel maggio del 1977. Raccontava che chi sparò era un militante del gruppo di Autonomia Operaia e l'evento avvenne in Via De Amicis, in uno di quegli scontri che poi è stato testimoniato da fotografie divenute iconiche, perfette nel raccontare quegli anni". Una storia che ha colpito il regista tanto da decidere di svilupparne un film, nato anche grazie a varie conversazioni che Capuano ha intavolato con la signora Antonia per meglio capire lo spettro emotivo della vicenda. Antonia, nel film, è diventata Maria Serra, interpretata da Teresa Saponangelo, che ha saputo portare tutto il peso del film sulle proprie spalle. "La cosa più profonda che mi ha avvicinata al personaggio è questa perdita enorme - dice l'attrice - Anch'io ho perso mio padre, anche se in circostanze diverse, quando ero bambina e questo dolore comune mi ha permesso di esprimere le emozioni che anch'io ho provato. Perché queste tragedie ci pongono di fronte a un nodo affettivo e sentimentale che bisogna sciogliere per ricostruire la fiducia verso la vita".
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Questione di sensibilità
La vita messa nel quadro cinematografico in tutte le sue imperfezioni. Il cinema di Antonio Capuano è composto dall'imprevedibilità della natura e della realtà che trascende il carattere di finzione. "Con Antonio si vive una vera esperienza sul set - continua Teresa Saponangelo - Oltre al gusto tipicamente pittorico e visivo, Antonio predilige un approccio al cinema molto più emotivo. Prima viene il ritmo della vita e solo in un secondo momento seguono le parole scritte". Un lavoro che si mette in mostra con un'impronta stilistica diretta dove il movimento dei corpi e la loro rappresentazione predomina. Un approccio alla cinematografia che sfida lo spettatore a mettere da parte le regole prestabilite per abbracciare un punto di vista più immediato e immersivo. Solo così si palesa il messaggio del film al cambiamento, trasformando il viaggio di Maria alla ricerca di una pace interiore con quello dello spettatore al ritrovamento di una sensibilità che sembra perduta. "È un discorso che va oltre le divisioni politiche. Noi uomini siamo meravigliosi e pessimi ed è così da sempre, da ben prima degli anni di piombo" afferma il regista "_Ci hanno mai insegnato qualcosa gli eventi gravissimi e atroci del passato? Purtroppo no. Stiamo di nuovo ripetendo gli stessi errori. Il problema è che bisogna avere voglia e possibilità di cambiare, bisogna avere e riscoprire la sensibilità verso ciò che ci circonda altrimenti non si impara mai".
Il fascino del cambiamento è il fascino del cinema
Simbolo di movimento e di incontro, il treno acquista un valore particolare all'interno del film. La dedica ai fratelli Lumiere è un ringraziamento alle origini del cinema, al piacere del racconto: "È un omaggio proprio al cinema che nasce. Ci sono storie che è proprio un piacere semplicemente raccontarle. Dentro di noi c'è la voglia di raccontare le storie, fossero anche barzellette, e di far parte dell'ascolto di una storia. È il fascino vero del cinema". Un sentimento sincero che il regista condivideva con il suo produttore storico, Gianni Minervini, recentemente scomparso, e a cui il film è dedicato subito dopo l'omaggio ai registi francesi: "Era un produttore unico a cui volevo bene. Ora è morto e con lui sembra essere morto un modo particolare di fare film, quello di fare cinema per il piacere di raccontare mentre invece tutto ormai tende verso il lato puramente economico. Che va bene, ma non è abbastanza". C'è tempo anche per un pensiero verso l'anno che stiamo vivendo: "Ora le sale sono chiuse, ma sicuramente riapriranno. Certo, quel modo più "vecchio" di guardare un film dovrà convivere per forza di cose con altri metodi di fruizione, ma il cinema vivrà sempre".