Si pensa generalmente che smascherare un'allegoria ne determini la sua fallacia, una certa semplicità. In verità, dipende dal modo in cui questa viene costruita. Se ad esempio la figura retorica è ben delineata e già evidente, utilizzata come fondamenta stessa dell'impianto narrativo di un'opera, paradossalmente si tratta di un metodo ricercato per raccontare qualcosa, per lasciare un messaggio, e ne Il Buco del 2019 questo era tanto chiaro quanto consistente: chi sta in alto deve immolarsi per il bene di chi sta in basso.
Riguarda l'assetto sociale e civile di un sistema consumistico destinato a fagocitare se stesso se nutrito soltanto con disinteresse, spietatezza e crudeltà. Compassione e sacrificio sono gli unici strumenti a disposizione per ripristinare un certo grado d'umanità ormai assente un po' ovunque, e ne Il Buco - Capitolo 2 - già disponibile su Netflix -, il regista non solo sottolinea nuovamente la sua posizione, rafforzando il messaggio, ma lo fa rendendo ancora più sanguinosa e brutale la sua allegoria, cristallizzando in concreto la sua critica astratta in un secondo capitolo curiosamente efficace al netto della sua ripetitiva retorica.
Quelli sopra, quelli sotto
L'ordine sociale andrebbe riformato, o per lo meno giustificato, inteso proprio nell'accezione etimologica del termine. Si canta così anche in Sweeney Todd: "La storia del mondo è che chi sta in basso serve chi sta in alto. Quanto sarebbe gratificante sapere, per una volta, che chi sta in alto serve chi sta in basso?". È un caso che anche nel capolavoro di Sondheim la giustizia più assurda e severa passi dall'allegoria culinaria? È un caso che la canzone da cui la citazione si intitoli "un piccolo prete"? Spoiler: per niente. Perché il cibo - per qualità e quantità - è da sempre sinonimo di ricchezza e salute, così come il sistema ecclesiastico e i suoi membri pasciono da secoli di piaceri e protezioni in nome di un Dio salvifico e misericordioso.
Galderz Gaztelu-Urrutia riprende queste due argomentazioni e ritorna nella sua prigione verticale in un intrigante more of the same, ampliando però lo schema della sua invettiva civile per toccare anche l'esasperazione dogmatica della fede, la contraddizione del fondamentalismo. Ne Il Buco - Capitolo 2 cambiano i protagonisti ed evolve il sistema: ci sono regole precise da rispettare, c'è un ordine prestabilito che non può essere infranto, pena un sistema inquisitorio che non conosce pietà. La produzione è spagnola, per altro, e conosciamo tutti i danni fatti dal cristianesimo alla fine del quindicesimo secolo per non cogliere il graffiante richiamo. Non è più una prigione, quella de Il Buco - Capitolo 2, ma un purgatorio (tanto per restare nell'analogia) dove espiare le proprie colpe.
Si parla di fedeli e infedeli, di barbari e lealisti, di traditori e pacificatori, di regole "che non vanno interpretate ma applicate", che diventano dogmi impossibili. L'unica strada funzionale sarebbe quella dell'auto-responsabilizzazione, della presa di coscienza che più stai in alto, più coscienziosità dovresti avere. E invece è sempre il contrario, in qualunque sistema si analizzi. Fa riflettere, perché se il primo capitolo puntava i riflettori sul consumismo utilitaristico e immorale, questo secondo atto scava nel torbido dello spirito di chi pensa di fare del bene rinunciando alla propria umanità. E quello non è sacrificio, ma opportunismo, paura, vigliaccheria.
La purezza del vero sacrificio si riscontra solo nel protagonista maschile del film, Zamiatin (un ottimo Hovik Keuchkerian), lì dentro per una serie di eventi scatenati da una scoperta per lui sconcertante: che persino la matematica è fallace. Come il Walter Sparrow di Jim Carrey in Number 23, anche Zamiatin perde il senno per un numero: la radice quadrata di -1, che non conosce soluzione. È chiamato "il numero immaginario", e per lui l'immaginario non ha valore. La verità ha valore, e la verità è che non c'è più valore in nulla, né in cielo né in Terra, figurarsi nel singolo e in chi sta sopra, sia uomo o Dio.
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Terrore o speranza
Come detto, Il Buco - Capitolo 2 si regge nuovamente su di una base volutamente allegorica, trovando in essa una certa stabilità ma anche un certo limite. La struttura narrativa non si muove di un passo da quanto già visto nel primo capitolo, con Urrutia che tenta qualche movimento in più all'interno della prigione e un'alternanza fotografica dell'immagine che cerca di scaldare un'estetica altrimenti troppo ferma e asettica (al di là del gore permea la visione). Un cast più internazionale - c'è anche Natalia Tena - e variopinto non cambia molto lo status quo cinematografico del progetto, anche se la protagonista principale interpretata da Milena Smit, Perempuan, dà una nuova prospettiva all'intera storia.
Sussiste per altro la stessa problematica del primo film: il terzo e ultimo atto parte per una tangente onirica superficialmente elaborata, che male si adatta al resto del prodotto. La novità più importante, quella più sensibile, è proprio questo richiamo alla fede e alle sue incongruenze che invece bene si adattano al contesto del racconto, nei suoi lati positivi ma soprattutto negativi. Il dettaglio dell'inquisizione spagnola è forse il più importante per decifrare l'operazione, specie guardando all'azione che si muove dall'alto verso il basso, dove la punizione scenda impietosa per mano di chi sta sopra a danno di "chi non si adegua alle parole del Messia", come ebrei e musulmani nel 1400.
Al di là di tutto, nel finale de Il Buco era Trimagasi a suggerire a Goreng che il bambino era il messaggio e che non aveva bisogno di portatori, a suggerire la fiducia nella future generazioni, comunque da proteggere e salvare. In un inferno-purgatorio come quello, dal punto più basso esistente e in chiave sociale e civile, la speranza puntava in alto, alle stelle, verso il paradiso. Ne Il Buco - Capitolo 2 quella speranza viene rigettata in termini spirituali e fondamentalisti verso il basso, suggerendo che "solo la paura può sottomettere le bestie" e che "il terrore è il messaggio". Il film vuole dirci di combattere ogni possibile sistema e ogni possibile credo, che nella ciclicità storica non hanno fatto altro che creare disuguaglianze e competizione. Non armati di speranza né di fede, comunque, ma di coscienza, conoscenza e umanità. Nessuno si salva da solo. Tutti si salvano insieme.
Conclusioni
In conclusione, Il Buco - Capitolo 2 evolve la critica sociale del primo capitolo muovendo invettiva contro le contraddizioni della fede e i pericoli di un'esasperazione fondamentalista, guardando in questo senso ai crimini dell'inquisizione spagnola. Un film viscerale, drammatico, alimentato e sorretto da una chiara e forte allegoria che è vita e limite del prodotto, incapace di discostarsi dalla cinematografia precedente ma in grado di sovvertire l'ordine degli addendi e la prospettiva del messaggio, senza necessariamente cambiare il risultato.
Perché ci piace
- La critica alla base di tutto, che qui si fa quasi invettiva sapientemente nascosta nell'allegoria.
- Le interpretazioni di Milena Smit e Hovik Keuchkerian.
- Il villain.
Cosa non va
- Non si muove di un passo dall'obiettivo cinematografico del primo capitolo.
- Il terzo atto verte su di un'onirismo confusionario.
- Poche novità in regia.