Il braccio violento della legge: la nuova Hollywood di William Friedkin

Nel 1971, con Il braccio violento della legge, William Friedkin firmava uno dei più innovativi film polizieschi di sempre e si imponeva fra i grandi cineasti della New Hollywood.

Il braccio violento della legge: la nuova Hollywood di William Friedkin

L'America stava attraversando un esaurimento nervoso nazionale. Iniziò con l'assassinio di John F. Kennedy e poi l'assassinio di Martin Luther King, poi Robert F. Kennedy, poi lo scoppio della Guerra del Vietnam, in cui l'America inciampò malamente e da cui non si è mai davvero ripresa. (...) Noi riflettevamo ciò che potevamo percepire, ovvero una paranoia onnipresente e una paura irrazionale. Di certo, i miei film degli anni Settanta riflettevano proprio questo.

William Friedkin
Il braccio violento della legge: William Friedkin sul set

Lo smarrimento, la nevrosi, la paranoia, la paura: se esistono dei "fili rossi" che percorrono quasi per intero il cinema di William Friedkin, sono proprio quelli che il regista stesso ci ha indicato. Si tratta però di fili rossi che attraversano gran parte della società e della cultura americane a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, e che non a caso hanno contribuito alle istanze e alle suggestioni da cui avrebbe preso vita il movimento della New Hollywood. Nel 1967, quando il ribellismo e la controcultura stanno raggiungendo la loro acme, Gangster Story di Arthur Penn segna la prima, fragorosa manifestazione di un cambiamento radicale nel cinema americano: sarà l'inizio di una valanga che, da lì a breve, travolgerà il cosiddetto studio system e riscriverà le coordinate del linguaggio filmico. E che permetterà a William Friedkin di diventare uno dei più importanti cineasti di sempre.

Il cinema di Friedkin in un'America in fermento

French Hackman
Il braccio violento della legge: un primo piano di Gene Hackman

Del resto, quanti altri film sono riusciti a trasmetterci la "paranoia onnipresente" e la "paura irrazionale" con una forza paragonabile a quella de L'esorcista? Una pellicola che utilizzava i codici dell'horror con una vividezza pressoché inedita, sancendo così un 'prima' e un 'dopo' nella storia del genere. Eppure nel 1967, l'anno di nascita della New Hollywood (perlomeno nelle dimensioni di fenomeno di massa), il trentaduenne William Friedkin, reduce dalle esperienze con i documentari e sui set televisivi, faceva il suo esordio al cinema con un progetto totalmente agli antipodi della sua produzione successiva: Good Times, una commedia musicale a base di sketch comici realizzata come lavoro su commissione al servizio del duo Sonny & Cher. Difficile presagire che, da lì a quattro anni, lo stesso regista avrebbe scritto un capitolo fondamentale della New Hollywood con il suo primo capolavoro: Il braccio violento della legge.

Thefrenchconnection
Il braccio violento della legge: un'immagine del film

Eppure, che William Friedkin sapesse proporre uno sguardo nuovo sulla realtà ce lo aveva già dimostrato, con almeno un anno d'anticipo, con Festa per il compleanno del caro amico Harold, trasposizione della pièce teatrale di Matt Crowley The Boys in the Band: non solo per il soggetto narrativo in sé, ovvero le vite, le esperienze, i desideri e le frustrazioni di un gruppo di omosessuali di stanza a New York, ma anche per la lucidità e la schiettezza adottate, talvolta ai limiti del cinismo. Dal formato del tipico "dramma da camera" di Festa per il compleanno del caro amico Harold, ecco che gli spazi si allargano, la cinepresa scende nelle strade e il montaggio assume un ritmo dinamico, incalzante, a tratti addirittura forsennato: il 7 ottobre 1971 debutta nelle sale americane The French Connection, noto in Italia come Il braccio violento della legge, opera della consacrazione di Friedkin e fra i titoli più significativi nell'ambito della nuova Hollywood degli anni Settanta.

William Friedkin, i magnifici 7 film di uno dei più grandi registi di sempre

Una pietra miliare del poliziesco

French Connection
Il braccio violento della legge: un'immagine di Gene Hackman

Scritto da Ernest Tidyman sulla base di un libro-inchiesta di Robin Moore sul narcotraffico internazionale, Il braccio violento della legge afferisce a un genere dalla popolarità inossidabile come il poliziesco, ma con una sensibilità, un'energia e un realismo raramente rintracciabili nei suoi predecessori. Ma del resto i tempi sono cambiati, nella morale, nel linguaggio, nella rappresentazione della violenza, e William Friedkin coglie tale cambiamento con una puntualità formidabile. È uno dei motivi in grado di spiegare lo strepitoso responso del pubblico, con quasi trentacinque milioni di spettatori solo negli USA (dove si attesterà come il terzo maggior incasso del 1971), ma pure l'entusiasmo diffuso fra critici e addetti ai lavori, che porterà Il braccio violento della legge a riscuotere una pioggia di trofei, inclusi tre Golden Globe e cinque premi Oscar: miglior film, regia, attore, sceneggiatura e montaggio.

Roy Scheider
Il braccio violento della legge: un'immagine di Roy Scheider

L'essenzialità e l'asciuttezza del racconto, ma pure l'abilissima costruzione della suspense, che partendo da comuni ambientazioni urbane procede a una progressiva accelerazione del ritmo, e poi i picchi di brutalità e le pennellate di ironia: sono i tratti distintivi della messa in scena di Friedkin, già sintetizzati magistralmente nei due minuti del prologo, collocato nel placido e assolato paesaggio di Marsiglia. Un silenzioso pedinamento, i dettagli di vita quotidiana (i panni stesi ad asciugare) registrati da riprese in soggettiva, e poi di colpo l'inquadratura di una pistola, il campo/controcampo della vittima e del killer, che si allunga sul cadavere per strappare un pezzo della sua baguette: un saggio esemplare del cinema di Friedkin, che subito dopo ci trasporta a New York per allestire l'inseguimento da parte di una coppia di poliziotti, uno dei quali - il Popeye di Gene Hackman - con indosso un costume da Babbo Natale.

Il cinema di William Friedkin: il lato oscuro dell'America in 5 film cult

L'ossessione di Popeye

French Rey
Il braccio violento della legge: un'immagine di Fernando Rey

Jimmy Doyle, detto appunto Popeye (Braccio di Ferro) e ricalcato sull'archetipo del detective rude e impulsivo, sarà il ruolo-simbolo del quarantunenne Gene Hackman, che si era già fatto apprezzare l'anno prima per la sua toccante interpretazione in Anello di sangue e che per Il braccio violento della legge sarà insignito dell'Oscar come miglior attore. Al suo fianco il Buddy Russo di Roy Scheider, soprannominato Cloudy, lo supporta nell'indagine su un ingente carico di droga proveniente da Marsiglia, offrendo al contempo una sorta di baricentro morale per il suo spregiudicato collega. A incarnare invece la "connessione francese" del titolo è il trafficante Alain Charnier, che ha la compostezza, la disinvoltura e la sarcastica eleganza dell'attore spagnolo Fernando Rey: un avversario che innescherà con Popeye una partita fra il gatto e il topo combattuta fra le strade di New York e perfino sulla banchina della metropolitana, teatro di una sequenza di pedinamento da antologia del thriller.

The French Connection Popeye
Il braccio violento della legge: un'immagine di Gene Hackman

Se a ritagliarsi un posto d'onore negli annali del poliziesco sarà innanzitutto la frenetica corsa in auto di Popeye sotto il binario sopraelevato del treno, nel tentativo di impedire la fuga del gangster Pierre Nicoli (Marcel Bozzuffi), è nell'epilogo che emerge appieno la poetica di Friedkin: ancora un inseguimento, nel pieno della resa dei conti fra polizia e trafficanti, con Popeye pronto a lanciarsi in un fatiscente palazzo abbandonato per catturare Charnier. Fra ampie stanze vuote immerse in una semi-oscurità, Popeye ci appare come un cane rabbioso alle calcagna di un fantasma; Charnier ha la beffarda inconsistenza di un'ossessione, e l'ossessione è ciò che spingerà Popeye a oltrepassare i limiti. La scena finale, la corsa di Popeye fino a sparire dall'inquadratura e quel solitario colpo di pistola, ha una sinistra ambiguità che ritroveremo nel primo piano allo specchio di Al Pacino nella conclusione di Cruising; perché in fondo, per tutta la sua carriera Friedkin non ha mai smesso di instillarci il dubbio che dall'inquietudine non esista alcuna via di fuga.