Dopo Sicilian Ghost Story (2017) i registi e sceneggiatori Fabio Grassadonia e Antonio Piazza tornano a raccontare una storia di fantasmi in Sicilia: Iddu - L'ultimo padrino, in sala dopo il concorso a Venezia 2024, mette in scena in modo romanzato un episodio accaduto durante la latitanza di Mattia Messina Denaro. Il boss è, in un certo senso, uno spettro: per conservare il proprio potere deve infatti sparire.
A interpretarlo è Elio Germano, confinato in un piccolo appartamento, con solo il personaggio di Barbora Bobuľová, Lucia Russo, come interlocutrice. E i pizzini ovviamente, di cui vediamo la meticolosa e complicata catena di comunicazione. Per cercare di catturarlo, una task force speciale contatta Catello Palumbo (Toni Servillo), ex professore, sindaco e massone, nonché padrino di Messina Denaro, appena uscito di galera per aiutare le indagini.
Siamo nei primi anni 2000 e, benché non tutto sia effettivamente accaduto, il film di Grassadonia e Piazza è l'occasione per riflettere sul potere e sulle forze che tengono in ostaggio non soltanto la Sicilia, ma tutto il nostro paese. Ne parliamo proprio con loro e con i protagonisti nella nostra intervista.
Iddu: intervista a Elio Germano e Toni Servillo
All'inizio di Iddu, parlano con la moglie appena uscito di prigione, Catello dice che in Sicilia il ridicolo uccide più delle pallottole. È così anche nella carriera di un attore? Servillo: "Il ridicolo uccide nella vita. In questo sono abbastanza d'accordo, anche se non completamente, con il mio personaggio. Ogni attore naturalmente ha questa preoccupazione. In questo caso il tono grottesco che i registi intendevano dare al film non doveva mai cadere nella dimensione caricaturale: perché di conseguenza sarebbe diventato innocuo rispetto al tema che si affronta. Noi abbiamo cercato di dare a questo tono grottesco il significato di una ridicola insensatezza, per ispessire la dimensione tragica di tutto ciò che accade".
"Io sarei molto soddisfatto se il nostro lavoro suscitasse nello spettatore una domanda molto semplice: come è possibile? Come è possibile che da questo mondo, da questa atmosfera, da questa concatenazione di fatti apparentemente assurdi, ma molto reali, si determinino poi tragedie che tengono in scacco da una vita una regione intera, per non parlare di questo paese".
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Il puzzle di Mattia Messina Denaro: tutto vero o tutto falso?
Nel film c'è un episodio indicativo: grande appassionato di puzzle, Mattia Messina Denaro si accorge che manca un pezzo per completare l'ultimo soggetto a cui sta lavorando. Inizialmente pensa che l'abbia preso Lucia, poi chiama la ditta che ha prodotto il puzzle per farsi mandare il pezzo mancante o una nuova scatola. In questa presunzione di poter controllare anche una cosa piccola come un pezzo di puzzle c'è il racconto di una figura precisa.
Come ci hanno detto i registi, questa storia non è inventata. Anzi. Che cosa significa per il suo interprete? Elio Germano: "Una delle patologie che colpiscono tutti i personaggi, che forse determina questo malaffare, questa difficoltà di muovere il nostro Paese in maniera limpida e pulita è il fatto che ogni persona si senta superiore agli altri. Anche il carteggio tra Catello e Denaro, questa ricerca di metafore ed esibizione di cultura è un po' un mostrare all'altra persona che noi due ci capiamo perché siamo superiori alla norma. È la patologia che affligge noi Italiani. Pensiamo di avere più diritto degli altri di essere curati, di avere un'istruzione migliore. Non riusciamo a fare nemmeno la fila! Ci affidiamo a scorciatoie, pensiamo sempre di essere più furbi degli altri. Questa è una patologia che, purtroppo, produce, in maniera tragica e ridicola, tutto quello che non va nel nostro paese. Ogni volta che anteponiamo il nostro interesse personale a quello della collettività le facciamo un danno. E quindi anche a noi stessi. Questo interesse personale è ciò che ha ritardato la cattura di Matteo Messina Denaro. Ci vogliono modelli culturali diversi".
Intervista a Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
Quindi per i registi Matteo Messina Denaro sullo schermo è davvero come un fantasma? Antonio Piazza: "Questa contraddizione di avere il potere ma essere invisibile ci piaceva. Comunque è un uomo che per continuare a vivere si deve sottrarre alla vista. Deve scomparire. E ci riesce particolarmente bene. Però in questo scomparire si auto condanna a una prigionia, a un isolamento. A una non vita. Quindi vive una perenne contraddizione. È come un topo in trappola. Che è un po' ciò che accade anche all'altro personaggio, che finisce anche lui per intrappolarsi. Quando abbiamo cominciato a lavorare su questa figura era un grande mistero. Quindi separare i pochi dati certi da tutta la mitologia costruita attorno a lui è stato difficile".
Sulla storia del pezzo di puzzle invece Fabio Grassadonia ci ha detto: "Questa idea, un po' come tutto il film, viene da aspetti che arrivano dalla vera storia di Mattia Messina Denaro. Era davvero un appassionato di puzzle. In ogni covo abbandonato, in cui gli agenti arrivavano sempre troppo tardi, sono stati trovati questi puzzle. La storia di una scatola in cui mancava un pezzo è successa davvero. Messina Denaro ha effettivamente scritto una lettera per lamentarsi. L'abbiamo messo nel film perché ci dava l'idea di un pazzo criminale dal narcisismo ipertrofico, che è comunque prigioniero in una casa in cui si rischia di impazzire per una cosa come un pezzo mancante. E poi perché quel pezzo mancante ci dice che, in fondo, neanche lui, che si sente il più intelligente di tutti ed è un potente boss, può controllare tutto. Anche il boss è una rotella di un ingranaggio mosso da sfere più grandi di lui".