L’IA creativa e il cinema secondo Simone Arcagni: “La cultura digitale? Matrix aveva anticipato i tempi"

L'intelligenza artificiale è l'argomento del momento, ma è veramente una novità? Ne abbiamo parlato con Simone Arcagni, che ne discuterà in un panel al Fantasticon di Milano, per guardare insieme anche alle incarnazioni cinematografiche dell'IA.

Neo nella saga di Matrix

Si parla tanto (forse troppo o male?) di Intelligenza Artificiale ed è evidente che si tratta dell'argomento del momento, quello che incuriosisce e forse spaventa gran parte del pubblico. Un tema che appassiona e affascina anche noi, sia in senso generale per quel che è e comporta nel mondo di oggi, sia nello specifico del nostro lavoro per la sua rappresentazione in ambito audiovisivo. Per questo ci siamo confrontati con chi ne sa più di noi, perché se ne occupa praticamente da sempre, con chi ne discuterà anche nell'interessante panel di apertura del Fantasticon, manifestazione dedicata al cinema fantastico che si terrà dal 21 al 25 novembre nell'ambito della Milan Games Week.

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The Beast: George MacKay, Léa Seydoux in una foto

Un panel dal titolo intrigante, "Le rocambolesche avventure di un'Intelligenza Artificiale creativa", che introdurrà anche la proiezione di The Beast di Bertrand Bonello (potete iscrivervi gratuitamente per seguire la serata a questo indirizzo o mandando una mail a a echo@echogroup.it fino al 21 novembre alle 12 indicando nome, cognome, email ed evento - nel caso specifico The Beast -, specificando se per 1 o per 2 persone), un film già visto a Venezia dello scorso anno che sul tema ricama con intelligenza. Ci siamo fatti anticipare da Simone Arcagni alcuni degli spunti di cui parlerà al Fantasticon, partendo da un dettaglio che da subito ci ha incuriositi: l'attributo "rocambolesco" presente nel titolo dell'incontro.

Perché parliamo di avventure "rocambolesche"?

"Mi occupo di tecnologie digitali in generale da trent'anni" ci dice Simone Arcagni, "e di intelligenza artificiale praticamente da quasi trent'anni, perché il digitale è sempre stato connesso con l'intelligenza artificiale. E rocambolesca perché ogni tanto emerge con più o meno forza. Qualche anno fa era assunta alle cronache per i famosi algoritmi di segnalazione, quelli di Netflix, di Google, di Amazon, precedentemente se ne parlava tanto per le cosiddette utopie dell'intelligenza artificiale generale, cioè quella che doveva fare tutto, quella che poi aveva animato tanti film di fantascienza. Adesso, giustamente, è emersa questa nuova, che è un'intelligenza artificiale cosiddetta debole, nel senso che è specifica, sono i large scale models dell'intelligenza artificiale generativa."

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The Beast: Léa Seydoux e George MacKay in una scena

Un andamento ciclico, con continui ritorni di interessa da parte del pubblico per un'applicazione o l'altra, che non può non incuriosire chi, come Simone Arcagni, la segue da sempre, avendo dedicato anche un libro alla Computer Vision, ovvero un campo dell'intelligenza artificiale che punta a insegnare ai computer a ricavare informazioni significative da immagini digitali, video e altri input visivi. "Dal mio punto di vista di osservatore dell'intelligenza artificiale è rocambolesca perché ogni tanto emerge, poi ritorna sotto la superficie, magari dando spazio ad altre tecnologie digitali come la virtual reality, il metaverso, gli nft, poi riemerge. Ha un andamento che non è lineare, che è fatto di epifanie tanto accelerate quanto eclatanti e quindi rocambolesche, dal mio punto di vista."

Il punto sull'IA

Gary Lockwood e Keir Dullea in una sequenza di 2001: Odissea nello spazio (1968)
Gary Lockwood e Keir Dullea in una sequenza di 2001: Odissea nello spazio (1968)

Insomma l'intelligenza artificiale è con noi da tanto e spesso tendiamo a dimenticarlo, anche se "il successo di Google come motore di ricerca negli anni 2000 è dovuto a un algoritmo di predizione e organizzazione dei contenuti che è un algoritmo di intelligenza artificiale". Ma non solo, anche il successo di un altro grande brand a noi caro è legato a qualcosa di simile: "l'imporsi di Netflix sulle altre piattaforme è stato dovuto a un algoritmo che aveva previsto il successo di House of Cards, o meglio che ne aveva indirizzato la produzione con determinati input su attore, regista, tipo di sceneggiatura."

Qual è quindi la differenza? "In questo momento ne è emersa una talmente spettacolare anche nelle sue forme, la generativa intendo, che ovviamente ci ha fatto un po' dimenticare le altre e ci ha fatto focalizzare l'attenzione sulle sue mirabolanti possibilità." Ma l'IA è con noi da tanto, come Simone Arcagni racconterà anche nel suo speech al Fantasticon, andando indietro al Test di Turing, "il famoso Imitation Game" per capire se un computer è abbastanza intelligente, oggetto anche di un film, o ad HAL 9000 e 2001: Odissea nello spazio" che oltre a essere una delle incarnazioni più celebri e suggestive è anche datato 1968.

E facendo ancora un passo indietro, Simone Arcagni ricorda che Stanley Kubrick si avvalse della consulenza di John McCarthy per scrivere in modo compiuto il suo HAL 9000, colui che insieme a Marvin Minsky diedero vita nel 1956 alla prima conferenza, quella di Darmouth, in cui si parla di Intelligenza Artificiale.

L'IA, tra fascino e paura

L'IA è tra noi da molto tempo, tutti ne usiamo una incarnazione o l'altra quotidianamente, eppure in tanti ne sono spaventati. "È ovunque, in quasi tutti i software, nei nostri smartphone ce n'è, nei social che usiamo ce n'è a bizzeffe, le piattaforme, da Netflix a Prime Video e Disney+, sono ormai sostenute da intelligenze artificiali di diversi modelli. Alcune sono predittive, altre sono semplicemente di tipo organizzativo, altre sono generative, quindi hanno quella capacità creativa che stiamo imparando a conoscere. Però è già nella vita di tutti i giorni", usata dalle aziende per archivi, logistica dei prodotti, marketing.

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Indiana Jones e il Quadrante del Destino: Harrison Ford ringiovanito in una scena

E ovviamente nel cinema. "Vent'anni fa, all'inizio degli anni 2000, ci fu il primo scandalo legato all'IA nel cinema, perché comparvero dei brevi filmati pornografici in cui erano protagoniste alcune dive di Hollywood." Non si trattava di trucchi fotografici, ma veri e propri deepfake, che poi sono diventati più comuni e popolari negli anni successivi. "Sono diventati anche più leciti, nel senso che sono stati usati in modo autorizzato, come per Harrison Ford tornato giovane in Star Wars o Indiana Jones, per Luke Skywalker o Leia. Mille casi, appunto, leciti. Però vuol dire che l'intelligenza artificiale c'è veramente da tanto tempo e ci sarà sempre di più, insisterà sempre di più sui nostri oggetti tecnologici, quelli della nostra quotidianità."

La paura, figlia dell'immaginario, figlia di noi stessi

Parlavamo però dei timori. "La cosa bella delle paure, che tra l'altro spesso sono anche giustificate, diciamocelo, è che nascono dagli immaginari e quindi c'è, nei confronti delle tecnologie in generale e nello specifico dell'intelligenza artificiale, un rincorrersi tra quanto noi proiettiamo e ci immaginiamo e quanto poi noi realizziamo. Quando poi realizziamo qualcosa, questa diventa a sua volta un oggetto per proiettare nuovi immaginari in un ciclo continuo dialettico che è quello che noi siamo."

Uno spunto che ci fa riflettere e che Arcagni ricollega al suo libro appena pubblicato, scritto insieme ad Andrea Colamedici, L'algoritmo di Babele: "Analizziamo, studiamo, interroghiamo l'intelligenza artificiale di oggi attraverso quei testi del passato che l'hanno preimmaginata. Parlo di Omero, Kafka, Italo Calvino, ma anche Jonathan Swift nel 1700, addirittura Cicerone. Abbiamo dei modelli di immagini, di immaginari in cui abbiamo delle previsioni d'intelligenza artificiale, ma l'interessante non è la previsione in sé, è il fatto che questo ci dimostra che le tecnologie siamo noi, siamo i nostri costrutti immaginari, i nostri costrutti culturali. Prima di farle le abbiamo pensate, le abbiamo immaginate, le abbiamo trasposte su uno schermo, sulla carta, le abbiamo in qualche modo davvero incorporate dentro di noi. Poi, come tutte le cose che noi esseri umani facciamo, una volta che le vediamo all'esterno ci fanno paura."

Matrix, il più rappresentativo

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Pillola rossa o azzurra?

In tale ottica, "il film emblematico degli ultimi decenni è davvero Matrix, perché è quello in cui più che in altri si è giocato con le paure fondamentali della cultura digitale, la reale virtuale, l'intelligenza artificiale e l'intelligenza umana, la connessione e la non connessione. È riuscito a creare un immaginario perfetto, pauroso, distopico, di quelle che sono gli elementi centrali della cultura digitale a noi contemporanei." E aggiungiamo che anticipava anche un certo tipo di complottismo che sarebbe arrivato dopo. "Nella storia della letteratura di fantascienza ci sono dei grandi precedenti di storie ambientate in mondi allucinati, addirittura Primo Levi ha scritto un racconto su una realtà virtuale. Quello che ha reso Matrix più emblematico di tutti gli altri è che ha colto anche questa dimensione complottistica che fa parte del nostro tempo."

Il cinema che evoca l'IA

Abbiamo già citato HAL 9000, ma ci sono altri esempi di cinema che hanno saputo evocare nel modo giusto l'intelligenza artificiale come la intendiamo oggi? "C'è Artificial Intelligence di Steven Spielberg scritto da Stanley Kubrick, che è un film che io non amo, ma che accoglie una cosa che a mio parere con cui ci scontreremo nei prossimi anni, cioè l'intelligenza artificiale che si incarna in un corpo robotico. Questo porterà a dei processi di identificazione, di antropomorfizzazione, di empatizzazione con la macchina su cui bisognerà molto lavorare."

Haley Joel Osment in A.I. Intelligenza artificiale
Haley Joel Osment in A.I. Intelligenza artificiale

Un altro aspetto problematico è quello del deepfake, che oltre al caso citato prima ha anche causato uno sciopero lo scorso anno: "Un film formidabile nel trattare il tema è The Congress di Ari Folman. Nel film si prospetta la possibilità che una casa di produzione hollywoodiana sottragga a un'attrice la propria voce, il proprio corpo, la propria forma visiva, e lo usi per fare cinema.Questo mette in campo non solo dei problemi legati al copyright, ma anche il fatto che in questo modo un attore non invecchia mai, non muore mai, e in qualche modo viene espropriato della sua umanità."

Una scena di SOLARIS
Una scena di SOLARIS

E poi c'è Solaris di Andrej Tarkovskij, "uno dei capolavori della storia del cinema, tra l'altro tratto da un romanzo altrettanto incredibile, bellissimo, dello scrittore polacco Stanislaw Lem. In entrambi i casi c'è l'incontro dell'essere umano con un'intelligenza altra, questo mare che non parla ma che in qualche modo entra in contatto con noi, è un'intelligenza aliena ma nello stesso tempo si capisce che è vicina a noi. Ecco, questo lo rende secondo me un film davvero emblematico di che cosa andremo noi incontro, forse non è giusto il termine intelligenza ma di mimesi di intelligenza, cioè forme che sono in grado di mimare l'intelligenza, che partono evidentemente da noi, dai nostri ricordi, dai nostri dati, dalle nostre informazioni, ma che si rendono in qualche modo indipendenti, con cui noi dovremmo avere a che fare."

Restando su Solaris c'è un ulteriore punto che il professor Arcagni tiene a sottolineare: "La cosa stupenda di questo incontro tra l'essere umano e questo oceano vivente avviene attraverso una forma di comunicazione che sono le allucinazioni, ed è incredibile perché allucinazione è il termine tecnico con cui si definiscono gli errori di dialogo tra l'essere umano e l'intelligenza artificiale, quindi veramente Stanislaw Lem, che era comunque uno scienziato di formazione e uno studioso di cibernetica, aveva visto lontanissimo. E Tarkovskij, pur facendo un film che è diverso dal romanzo perché è concentrato sull'intimo dell'essere umano, è riuscito a cogliere la dimensione di un dialogo con un altro, con cui si riconosce una familiarità e nello stesso tempo una distanza."

La giocosità anni '80

Wargames: Matthew Broderick in una scena
Wargames: Matthew Broderick in una scena

Questi sono i film, questi gli spunti principali, ma il discorso cade anche su alcune incarnazioni più giocose degli anni '80, come War Games, "interessante perché innervava l'idea di un'intelligenza artificiale con i videogame, ma nella tecnologia di allora con questi computeroni ancora tutti da programmare. È interessante perché negli anni Ottanta tutti noi ci siamo scontrati contro questi nuovi oggetti che in effetti mimavano in qualche modo la realtà. Un videogame era qualcosa di più di un semplice schermo su cui scrivere, faceva delle cose. Si agiva con qualche cosa che aveva delle movenze che potevano sembrare intelligenti" e che ai tempi lo sembravano ancor più di quanto possano apparirci ora.

Terminator - una scena del film di James Cameron
Terminator - una scena del film di James Cameron

E poi c'è Terminator, che trasmetteva la paura delle macchine, "alle quali veniva messa un'intelligenza alle spalle per giustificare il fatto che si muovessero in maniera autonoma." In questo confronto è chiaro anche il modo differente in cui le percepiamo: "oggi siamo abituati a pensare all'intelligenza artificiale come un software, un algoritmo, quindi uno schema matematico se vogliamo, qualcosa che può essere ovunque. Là invece c'era un groviglio di fili, c'era ancora il ferro, mentre oggi è tutto immateriale. Il trionfo del software sull'hardware è il grande passaggio tra la fine dello scorso secolo e l'inizio di questo secolo."

L'esigenza di una norma

Più volte nel corso della chiacchierata Simone Arcagni ha accennato a sviluppi futuri, da accogliere "senza paure", ma di certo ci sarà bisogno di alcune regole. D'altra parte lo stesso Asimov aveva immaginato sin da subito delle Leggi della Robotica. "Più le macchine diventano autonome, più c'è l'idea che ci debba essere qualche cosa, non solo una legislazione." La stessa automobile è l'esempio più interessante in tal senso: Prima abbiamo creato l'automobile, poi abbiamo fatto le strade, i cartelli, i semafori." La differenza, sottolinea il professor Arcagni, è che una macchina, che sia quella a vapore o quella delle fabbriche, è un qualcosa che svolge un numero limitato di funzioni che basta normare.

Bridget Moynahan con Will Smith in una scena di Io, Robot
Bridget Moynahan con Will Smith in una scena di Io, Robot

Con l'intelligenza artificiale è necessario un atteggiamento che "non è solo normativo, ma anche di tipo etico. Questa è la grande differenza, perché si riconosce a queste macchine autonome una capacità di muoversi in un ampio raggio, in maniera sistemica e complessa. Io continuo a pensare che noi siamo le tecnologie che facciamo e le tecnologie sono in qualche modo anche il nostro riflesso: non è soltanto una questione di come mi comporto usando la macchina, ma è proprio il perché queste macchine sono qui adesso. Essendo la tecnologia un'amplificazione della mia capacità, di una mia funzione sensoriale nei confronti del mondo, il processo è sempre chiedersi io chi sono, che cosa ci faccio, perché le faccio, perché le immagino, perché le costruisco. Quindi è sempre un problema dell'essere umano e temo che spesso il dare troppa importanza alla tecnologia sia anche un modo per scaricarsi la coscienza."