I segugi, la recensione: violenza e disperazione nella nuova serie Netflix coreana

Dopo Squid Game, Netflix propone nel suo catalogo streaming un nuovo drama action a tinte forti, in cui due giovani pugili sono costretti ad affrontare un pericoloso usuraio. Scritta e diretta dallo specialista Kim Joo-hwan, la serie è un solido action noir moderno che, pur con qualche difetto strutturale, racconta un lato oscuro e crudele della Corea. Ecco la nostra recensione.

I segugi, la recensione: violenza e disperazione nella nuova serie Netflix coreana

Ancora alla ricerca di un titolo che possa conquistare il pubblico come Squid Game, Netflix presenta una nuova serie coreana, I segugi, in originale Sanyanggaedeul. Anche qui, come in Squid Game, sono i debiti la causa scatenante della violenza: debiti spaventosi contratti con strozzini e usurai che approfittano delle difficoltà per arricchirsi ignobilmente, per poi scatenare i loro "segugi", gli addetti alla riscossione dei crediti (spesso individui senza troppi scrupoli), contro chiunque non sia in grado di pagare gli esorbitanti interessi. In questo caso però la storia prende un taglio decisamente più realistico e noir, con un villain mefistofelico e una coppia di giovani eroi che dovranno rischiare il tutto per tutto pur di fermarlo.

Malvagità e responsabilità

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I segugi: una scena della serie

In una Seoul alle prese con il Covid facciamo la conoscenza di Kim Geon-woo (Woo do-hwan) e Hong Woo-jin (Lee Sang-yi). I ragazzi sono due pugili, tanto diversi nella tecnica quanto nel carattere: Woo-jin è esuberante e spavaldo, mentre Geon-woo è posato e riflessivo, ma capace di sprigionare una potenza devastante. Dopo un incontro sul ring i due iniziano a stringere una profonda amicizia, rafforzata dal fatto di aver entrambi servito sotto lo stesso corpo militare durante il servizio di leva. Ma su Geon-woo pesa un pesante fardello: la madre è stata costretta a chiedere un prestito per mantenere aperta l'attività di famiglia, solo per ritrovarsi sommersa di debiti e nella trappola tesa da una società di truffatori e usurai, la Smile Capital, con a capo il terribile Kim Myeong-gil (Park Sung-wong). Lo scopo di questo criminale è aprire un casinò che gli consenta una sostanziosa e costante entrata di capitale e, al tempo stesso, che faccia aumentare il numero di disperati indotti a contrarre debiti sempre più consistenti. Per raggiungere il suo scopo Myeong-gil non esita a minacciare, ricattare o eliminare chiunque sia sulla sua strada.
Geon-woo prova a difendere la madre ma deve arrendersi alla forza di Myeong-gil e dei suoi uomini, che lo sfigura dopo un violento scontro.
A questo punto Geon-woo e Woo-jin iniziano una personale crociata contro la Smile Capital, finendo per incrociare il loro destino con il vecchio e invalido Choi Tae-ho, un ex usuraio che si è pentito e ha deciso di dedicare la sua vita ad aiutare le persone in difficoltà, con l'aiuto della nipote adottiva e di un gruppo di fedelissimi aiutanti.

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I segugi: un'immagine della serie

Il destino vuole che proprio il signor Choi sia stato il mentore di Kim Myeong-gil, e che proprio le azioni disumane di quest'ultimo abbiano spinto Choi a opporsi a un sistema criminale di cui lui stesso ha fatto parte, seppur senza mai arrivare agli eccessi di avidità e malvagità del suo sottoposto. Tra le due fazioni restano coinvolti poliziotti, altri usurai, politici corrotti, oltre che un malcapitato affarista, Hong Min-beon (Choi Si-won), ricattato dalla Smile Capital per ottenere i permessi di costruzione del casinò.
La violenza dello scontro tra la gang di Myeong-gil da un lato e il gruppo di Choi, Geon-woo e Woo-jin dall'altro aumenta costantemente, con continui colpi di scena e repentini capovolgimenti di fronte, in un crescendo di tragedie e tensione, fino a che i due ragazzi non saranno obbligati a diventare essi stessi Segugi per dare la caccia al gangster e chiudere i conti una volta per tutte. Ma a quale prezzo?

Non è finita fino a che non è finita

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I segugi: una scena

I segugi è una solida e intensa crime story scritta e diretta dallo specialista action Kim Joo-hwan, aka Jason Kim, che si era già fatto notare per Midnight Runers e The Divine Fury (da cui ha ripreso l'attore protagonista, Woo Do-hwan). La sua regia si mantiene su un discreto livello, con sporadici tocchi di classe durante le concitate scene d'azione, che rappresentano la sua.
Otto episodi di un'ora circa ciascuno per raccontare, con gli stilemi dell'action e del noir, una storia fatta di profonde e probabilmente insanabili contraddizioni. Da una parte la patina di ricchezza e modernità di un paese sempre più proiettato, almeno apparentemente, verso l'Occidente, con paesaggi urbani fatti di luci al neon e macchine di lusso. Dall'altra parte una realtà fatta di miseria e disperazione, di vicoli sporchi e negozi abbandonati, della tragedia del trovarsi tagliati fuori dal sistema e costretti a scendere a qualunque compromesso pur di tentare di sopravvivere.
Purtroppo è la storia a non reggere sempre: ci sono diverse lungaggini nel corso degli 8 episodi, e spesso si ha la sensazione di uno sfilacciamento della storia, a tratti portata avanti faticosamente per poi esplodere, all'improvviso, in episodi di violenza distruttiva che sovvertono quanto visto in precedenza. Anche la progressione degli eventi non è sempre chiarissima, soprattutto a causa dei riferimenti, per noi abbastanza poco comprensibili, ai passaggi dell'alta finanza, o alle tradizioni e allo status quo della Corea contemporanea.

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I segugi: una foto di scena

Discorso a parte merita la carica di violenza nella serie che, pur non oltrepassando (quasi) mai i confini del gore, resta comunque sempre un elemento costante della narrazione. Ma il vero problema, in questo caso, non è tanto la rappresentazione della violenza in sé, quanto piuttosto il messaggio che la storia porta avanti: apparentemente, la lotta, anche con messi estremi, è l'unico per opporsi alla sopraffazione dei criminali. Un'etica da Far West che sembra tornata tristemente valida nelle produzioni coreane (e non solo) contemporanee. Poco incisiva la colonna sonora, che si limita ad accompagnare le scene senza mai farsi notare particolarmente. Altro elemento poco piacevole è il ruolo, sempre di secondo piano, riservato alle (poche) protagoniste femminili. Vero è che la produzione ha avuto diverse difficoltà con la star Kim Sae-ron, a cui era stato affidato un ruolo importante, per poi essere rimossa dalle riprese (e, in maniera abbastanza artificiosa, dalla storia) dopo lo scandalo in cui è rimasta coinvolta a seguito di un incidente d'auto causato mentre era stato d'ebbrezza.

Il bene e il male, il ricco e il povero

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I segugi: una foto di scena della serie

Dopo un periodo di fortissimo sviluppo economico, la Corea del Sud ha conosciuto una momentanea battuta d'arresto, e non solo a causa del Covid. Negli ultimi anni sono diventate evidenti tutte le problematiche di un paese che ha sacrificato tutele, uguaglianza e welfare sull'altare del capitalismo più sfrenato, e che ha prodotto una classe di cittadini benestanti, agiati e ossessionati dall'apparenza (la Corea detiene il record di interventi di chirurgia plastica), mentre, nei sobborghi e nelle periferie, la classe media si è vista diventare sempre più povera e incapace di reggere il ritmo imposto dalla società. Se nel magnifico Parasite di Bong Joon-ho questo divario veniva raccontato attraverso una - neanche tanto metaforica - home invasion, Jason Kim decide per un approccio più... diretto. Il focus, in questo caso, è la descrizione di un sottobosco criminale, o semi-criminale, che vive di aggressioni, pestaggi e ricatti, e che prospera sulla disperazione della povera gente che, all'improvviso, si vede senza più supporto da parte delle istituzioni. Le forze dell'ordine sono praticamente assenti, e non intervengono mai se non per un interesse diretto: l'unica figura "positiva" delle forze dell'ordine è un parente di Hong Min-beon, il ricco rampollo di una famiglia altolocata che finisce implicato nei traffici dei gangster (e interpretato dalla star del K-Pop Choi Si-won).
Non c'è difesa per i più deboli di fronte alla soverchiante forza della criminalità, se non affidarsi al senso di giustizia e responsabilità di pochi valorosi che sono disposti a immolarsi o, peggio ancora, a sporcarsi le mani usando gli stessi metodi dei criminali pur di fermarli.

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I segugi: un momento della serie

In questo mondo fatto di oscurità, lusso ostentato e violenza, i due giovani protagonisti si muovo spaesati, fuori luogo, capaci di rimanere - faticosamente - a galla solo grazie alla loro forza fisica e, almeno nel caso di Geon-woo, a un incrollabile quanto idealistico senso morale. Peccato solo che Woo Do-hwan non sempre riesca a dare una performance convincente, affidandosi più al suo (notevolissimo!) fisico che all'espressività del volto. Dalla parte opposta è Kim Myeong-gil a rubare la scienza: Park Sung-woong, che non è nuovo ai ruoli da gangster, si diverte a tratteggiare un cattivo senza mezze misure, tanto freddo quanto spietato, incapace di qualunque empatia, riuscendo al tempo stesso a non risultare macchiettistico. Uno di quei cattivi che si ama odiare, insomma.

Conclusioni

Il giudizio finale della nostra recensione di I segugi è tutto sommato positivo. Nonostante una trama che si dilunga un po' troppo e che non sempre mantiene un ritmo avvincente, questa storia di delitti e vendetta offre comunque diversi spunti interessanti e un nuovo sguardo su un lato oscuro e criminale della società coreana che, evidentemente, rappresenta per loro un serio problema. L'azione la fa comunque da padrona, con scene di lotta ben coreografate e ben dirette.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.7/5

Perché ci piace

  • Un buon action crime, tosto e sanguigno.
  • Un interessante spaccato sul fenomeno dell'usura in Corea, vera piaga sociale.
  • Scene di combattimento ben realizzate.

Cosa non va

  • La trama a volte si perde un po'.
  • Non sempre le interpretazioni sono all'altezza.
  • Alcune volte, sembra veramente difficile uccidere un coreano...