Nel 2018 In viaggio con Adele apriva la Festa del Cinema di Roma e segnava l'esordio alla regia di Alessandro Capitani per la pima volta alle prese con un lungometraggio di finzione, dopo alcuni corti (uno dei quali Bellissima vinse un David di Donatello) e la partecipazione come autore e regista a diversi programmi tv. Il 2021 è l'anno della sua opera seconda, un film (come leggerete nella recensione di I nostri fantasmi in sala dal 30 settembre) che gioca con i generi, li mescola, li ribalta. Le tematiche messe a fuoco sono tante, forse troppe per essere risolte in novanta minuti di racconto: l'emergenza abitativa, la violenza sulle donne, il disagio sociale, le storture del presente. Ma dentro ci sono anche il fantasy, un pizzico di horror, la magia, la leggerezza della favola e una coppia di "fantasmi" sui generis.
La storia tra favola e realtà
C'è tutto il necessario insomma per farne "un fantasy neorealista" come ha voluto definirlo lo stesso regista, che iniziò a lavorare al soggetto del film partendo proprio dal reale, per la precisione da una puntata sugli sfratti esecutivi realizzata per il programma di Rai3 I dieci comandamenti di Domenico Iannacone. Alla fine di quell'esperienza cominciò a pensare ad una storia, a cosa cioè sarebbe successo se uno sfrattato avesse fatto semplicemente finta di abbandonare la propria casa. Così nasce l'umanità varia che popola il microcosmo abitativo de I nostri fantasmi, la cui scena d'apertura trae volutamente in inganno: la pioggia, i tuoni, le luci che si accendono a intermittenza, i tasti di un pianoforte che si animano nella penombra, una casa infestata da presenze sinistre ed una coppia che se la dà a gambe levate. Un inizio da film horror che serve solo da spunto ad una narrazione abile a capovolgere subito dopo il mondo a cui lo spettatore è stato introdotto e tutti i suoi codici di riferimento.
I fantasmi del titolo, che disturbano le notti dei malcapitati inquilini, sono infatti Valerio e suo figlio Carlo di sei anni, che vivono nella soffitta della casa da cui sono stati sfrattati. Terrorizzare gli affittuari che si avvicendano con rumori, travestimenti, giochi di luce e porte che scricchiolano, è solo uno stratagemma ideato da Valerio, padre vedovo e senza più un lavoro, per continuare a vivere da invisibili in quella casa, nella speranza un giorno di rientrarne in possesso. Ma è soprattutto una finzione messa in scena per proteggere Carlo dalla povertà che li circonda, rendendo quel mondo per quanto possibile accettabile e umano. Per il piccolo è tutto un gioco (ispirato dichiaratamente a La vita è bella): una chewing gum diventa l'arma speciale per essere invisibile agli altri, gli inquilini di turno sono "invasori" da scacciare, mentre la madre scomparsa è una viaggiatrice intergalattica. Il sottotetto è la quotidiana normalità fatta di poche regole: non piangere, non correre, parlare a bassa voce, non lasciare mai tracce di sotto. L'incanto funzionerà almeno fino a quando non arriverà Myriam, una donna con una bambina di pochi anni, Emma, in fuga da un marito violento. Con loro i tentativi di Valerio e Carlo falliranno miseramente, ma potrebbe essere l'occasione del riscatto e della rinascita.
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I personaggi: fantasmi della modernità
Le suggestioni favolistiche servono in realtà a raccontare aspetti ben più complessi e oscuri dell'oggi, dalla violenza domestica alla crisi abitativa e la narrazione oscilla costante tra la magia e il realismo. I fantasmi di Capitani sono - come lo spettatore scoprirà ben presto - gli invisibili della modernità: senza tetto, disoccupati, immigrati, gente che non più nulla da perdere. La dimensione brillante e sentimentale diventa strumento per raccontare la miseria umana, con momenti di poesia e commovente tenerezza; i riferimenti sono da ricercarsi nella commedia all'italiana degli anni '50, a detta dello stesso Capitani, che prova a guardare a quel cinema seppur con troppa ingenuità.
L'ambientazione claustrofobica e deprimente - quasi tutto si svolge all'interno della casa - illuminata dalla fotografia desaturata di Daniele Ciprì, restituisce al pubblico un universo livido, in cui spiccano come in un bassorilievo le figure dei protagonisti. La scelta del cast si rivela appropriata: alla coppia Michele Riondino e Orlando Forte (autentica rivelazione) il film affida i momenti più malinconici e decadenti, Alessandro Haber torna a collaborare con Capitani dopo In viaggio con Adele nei panni di un burbero vicino di casa dal cuore spezzato, mentre Hadas Yaron in quelli di Myriam dimostra una potenza espressiva di rara raffinatezza. Un dramedy crepuscolare, che paga lo scotto di voler affrontare troppi temi senza riuscire a creare il collante necessario per metterli bene a fuoco. Nel complesso si lascerà però a suo modo amare, per la meraviglia e l'amarezza, il riso e il pianto che saprà coniugare con grazia.
Conclusioni
Alla fine della recensione de I nostri fantasmi non possiamo non riconoscere il valore di un film che si lascia amare nonostante alcuni inciampi di sceneggiatura. Il regista Alessandro Capitani riesce a restituire bene le atmosfere di un microcosmo dove la meraviglia della favola si scontra con il dolore della miseria umana. Disoccupazione, emergenza abitativa e violenza sulle donne sono i temi su cui sceglie di concentrarsi, sfruttando un cast eccezionale e le suggestioni di una messa in scena illuminata dalla fotografia di Daniele Ciprì.
Perché ci piace
- Il gioco con i generi e un incipit da film horror ribaltato subito dopo da una narrazione che combina favola e realismo.
- Un’umanità varia che si adopera per mantenere l’incanto agli occhi dei bambini, in un universo dominato dalle storture del nostro tempo.
- La scoperta di Orlando Forte, il giovanissimo interprete del piccolo protagonista: un concentrato di grazia e naturalezza.
Cosa non va
- Troppi i temi messi a fuoco dall'emergenza abitativa alla violenza sulle donne. Il rischio è di liquidarli in maniera sbrigativa e superficiale.