Presentando il recente I fiumi di porpora 2 - Gli angeli dell'apocalisse alla stampa, un Jean Reno affabile e simpatico, con un'inedita capigliatura color platino, ha risposto alle tante domande dei giornalisti presenti all'hotel De Russie di Roma, parlando anche dei suoi futuri progetti.
E' la seconda volta che lei interpreta il ruolo del commissario Niemans, dopo molti ruoli simili nella sua carriera. Non ha paura di restare intrappolato in un cliché?
No, non ho questa preoccupazione: penso anzi di essere in grado di interpretare personaggi molto diversi, dal poliziotto al postino all'impiegato. Non mi faccio problemi a ripetere un ruolo, inoltre mi piace lavorare con attori e registi giovani, e i cast dei due episodi di I fiumi di porpora sono l'ideale da questo punto di vista. Il produttore mi ha già proposto di interpretare il terzo episodio, ma per ora devo dire che non mi interessa, attualmente preferisco dedicarmi alla commedia e al teatro.
Lei è uno degli attori più richiesti ad Hollywood. Qual è il suo rapporto con l'industria cinematografica americana?
Dopo l'11 settembre c'è stato in effetti un rallentamento in questo rapporto, e la stessa posizione della Francia nei confronti della politica internazionale statunitense ha fatto sì che a Hollywood non ci fosse molta voglia di scegliere un attore francese, che magari dovesse baciare un'attrice americana in un film americano. Comunque adesso le cose stanno un po' cambiando, visto che nella politica americana si stanno facendo strada personaggi che non condividono la politica di Bush. Prossimamente lavorerò con Steve Martin per il remake de La pantera rosa, e ho anche un progetto futuro per il Sundance Institute di Robert Redford; fortunatamente, ora, da parte di Hollywood c'è un po' più di apertura nei nostri confronti.
A suo tempo lei rifiutò il primo Matrix per interpretare il Godzilla di Roland Emmerich. Si è pentito di questa scelta?
Non è vero che ho rinunciato a Matrix per Godzilla, le riprese di quest'ultimo erano già terminate prima che si iniziasse a girare il film dei fratelli Wachowski. Il problema è che avevo passato due mesi e mezzo in Australia dopo averne trascorsi altri quattro e mezzo a Los Angeles; tutto questo lavoro mi aveva un po' ubriacato e non me la sentivo di ricominciare subito. Volevo semplicemente riposarmi e trascorrere un po' di tempo con la mia famiglia.
Lei ha affermato che sia Mathieu Kassovitz, regista del primo I fiumi di porpora, che Olivier Dahan, che ha firmato questo sequel, sono due grandi registi, seppur molto diversi tra di loro. Da che punto di vista sono diversi?
Sono entrambi registi che si concentrano più sui movimenti della macchina da presa che sul lavoro degli attori. Posso dire forse che Kassovitz si basa più sull'improvvisazione, mentre Dahan è più metodico nel preparare le scene; inoltre Mathieu parla un po' più di Olivier, anche se in realtà entrambi non parlano molto sul set. Appartengono comunque alla stessa generazione, sono registi giovani che amano immagini rapide: non si può certo accostare l'uno a Jean-Luc Godard e l'altro a Woody Allen. Entrambi sanno comunque fare bene il loro lavoro, sono gentili, non sono rompiscatole e con loro si lavora bene.
Lei ha partecipato al terzo episodio di Onimusha, una serie di videogiochi della Capcom, di cui probabilmente sarà realizzata una trasposizione cinematografica. Le è stata per caso proposta una parte?
Non ne so nulla, nessuno me ne ha parlato e non mi è arrivata nessuna sceneggiatura. In linea di principio non sono interessato a un progetto del genere, anche se non si può mai dire nella vita... magari un giorno compro un purosangue, mi ritrovo sommerso dai debiti e sono costretto ad accettare anche una proposta di questo tipo!
Comunque so che il gioco è uscito da poco in Giappone e che sta andando molto bene. Ci ho lavorato per due giorni, era la prima volta che lavoravo per un videogioco e devo dire che è un'esperienza che non ripeterò: non c'è niente di interessante, devi solo muovere le braccia e fare tre passi e tutti ti dicono "bravo!". E' un'esperienza che sconsiglio a qualsiasi attore. So comunque che il gioco è venuto molto bene, e che sta piacendo.
A cosa dobbiamo questa capigliatura platino? E' per caso legata al suo prossimo progetto?
Sì, si tratta del film che sto girando attualmente, intitolato L'impero dei lupi. Il film è scritto da Jean-Christophe Grangé, già autore del romanzo da cui era stato tratto I fiumi di porpora; si tratterà di un poliziesco ambientato a Parigi incentrato sulla mafia turca, una realtà molto presente in un particolare quartiere della capitale francese.
Parlando di Grangé, sappiamo che ha collaborato alla sceneggiatura del primo I fiumi di porpora, mentre a quanto pare, per questo sequel ci sono stati contatti che poi non sono andati avanti. Come mai? Grangé ha almeno visto il film?
Sinceramente non so. Non so se Grangé abbia visto o meno il film, e in caso affermativo cosa ne pensi. Non ho idea del perché lui non abbia partecipato alla stesura dello script, forse è stata una scelta della produzione, che ha deciso di rivolgersi a Luc Besson. Credo comunque che il concetto, l'idea di base (una coppia di poliziotti che collaborano ad un'indagine un po' "esoterica") provenisse da Grangé, e che Besson se ne sia in seguito interessato. E' da dire comunque che Grangé è un tipo che spesso "lancia" un concetto e poi passa subito ad altro, quindi anche stavolta potrebbe essere accaduto qualcosa di simile.
Ha parlato di Kasovitz e Dahan, cosa può dirci ora delle sue due "spalle" Vincent Cassel e Benoît Magimel? Molti di questi giovani attori francesi si caratterizzano per un grosso lavoro sul lato "fisico" dell'interpretazione, mentre nel resto dell'Europa l'attore resta soprattutto attore "di volto", di tipo classico.
A dire il vero Magimel viene da un cinema più "letterario", quindi ha un'origine forse un po' diversa da quella degli attori più "fisici". In realtà, anche in Francia ci sono pochi attori di quest'ultimo tipo, disposti a osare puntando sul proprio fisico, invece di continuare ad apparire in questi film sull'anima, intospettivi, in cui ci si chiede come si fa ad entrare in quattro in un letto o cose del genere. Film di questo tipo sono da sempre preferiti ai film d'azione. Parlando di fisicità, è da ricordare Jean-Paul Belmondo in La ciociara: è una capacità, questa di sfruttare il proprio fisico, che non è dato a tutti avere, anche se a mio parere un attore, per essere completo, deve saper fare tutto, essere in grado di calarsi nei panni di una vasta gamma di personaggi. Cassel e Magimel sono in effetti tra i pochi, in Francia, ad essere in grado di puntare anche sul proprio fisico. Comunque alla fine si tratta di scelte personali: un attore fa quello che si sente pronto a fare, bisogna ricordare che in fin dei conti siamo tutti dei saltimbanchi, e io non sono nessuno per dire quello che i miei colleghi dovrebbero o non dovrebbero fare. Io, ad esempio, mi sono trovato benissimo con un maestro come Michelangelo Antonioni: lui era già paralizzato, ma io ero felicissimo di lavorare con lui, non solo perché è un grande del cinema, ma perché ci trovavamo bene: scherzavamo insieme, ridevamo, avevamo un bellissimo rapporto.
Qual è il fascino, dal punto di vista cinematografico, di avere ancora una volta a che fare, sessant'anni dopo, coi tedeschi cattivi?
Non so, è una domanda che andrebbe fatta più che altro a chi ha scritto il soggetto. Magari è un'allegoria per indicare il pericolo rappresentato da qualcuno che vuole sovvertire l'ordine europeo, ma sto solo ipotizzando.
Nel film il personaggio interpretato da Christopher Lee si chiama di cognome Emmerich, come il regista di Independence Day. Si dice che quest'ultimo abbia a avuto a che ridire con Luc Besson per la faccenda Il quinto elemento/Stargate: che sia per caso una "rivincita" da parte di Besson?
No (sorridendo, ndr), non credo proprio che Luc abbia pensato a questo quando ha scelto il nome per il personaggio.
L'attore deve saper fare tutto, d'accordo. Ma lei, dal punto di vista personale, preferisce ruoli come quelli dei due I fiumi di porpora o Leon, oppure quelli da commedia, come il personaggio che ha interpretato in Sta zitto... non rompere?
Personalmente ho una preferenza per le commedie, in quanto trovo sia il genere più difficile da interpretare: parlo soprattutto della commedia accanto a un vero attore comico, poiché ci sono dei cambi continui di ritmo, una difficoltà maggiore derivata da una componente di "inaspettato" a cui l'attore deve continuamente adeguarsi. Al secondo posto della mia personale classifica ci sono le storie d'amore: mi piace recitare accanto a una donna, ma purtroppo è difficile, ora come ora, trovare delle storie di questo tipo che siano valide. La piece teatrale in cui sono impegnato attualmente, tra l'altro, è proprio una storia d'amore. Al terzo posto ci sono proprio i film come I fiumi di porpora, i ruoli di tipo poliziesco: ne ho fatti già molti, e proprio per questo nel prossimo futuro vorrei cambiare, magari dedicandomi di più al teatro.
Può dirci qualcosa di più su questo prossimo remake de La pantera rosa?
Cominceremo a girarlo in maggio, e sarà diretto da Shawn Levy, che recentemente ha già lavorato con Steve Martin. E' prodotto dalla MGM, che aveva già prodotto i film "storici" della Pantera Rosa. Io interpreterò la parte dell'autista.
Il vostro film non appartiene propriamente alla "cultura" cinematografica francese, e attualmente in Francia è in corso un dibattito su una certa tendenza, anche da parte di registi bravi, a "scimmiottare" certo cinema hollywoodiano. Cosa ne pensa lei di questo argomento?
Per me non esistono film "d'autore" e film "commerciali": è una distinzione che non mi va di fare. E' chi guarda che decide cosa premiare, cosa è d'autore e cosa è commerciale, cosa gli piace o non gli piace: io non do etichette, io nel cinema ci lavoro e non voglio classificarlo. Non sono un critico cinematografico e non voglio esserlo, so quali film mi piace fare e quali mi piace vedere, da spettatore: ma non voglio giudicare i registi, classificarli in base a chi è più o meno "intellettuale". Posso trovare un film o un autore "intelligenti", certo, ma sarebbe solo un mio punto di vista: il cinema per me è una faccenda personale, e il rapporto che si instaura con un film è in realtà qualcosa di intimo.
Non credo poi si possa scimmiottare un genere o una cultura cinematografica altrui: è una cosa che non ha senso. Come potrei io, ad esempio, scimmiottare Vittorio Gassman? Non sarei in grado, innanzitutto, non lo saprei mai fare e sarebbe una cosa insensata. I film possono piacere o non piacere, ma ognuno ha il suo approccio al cinema, imitare gli altri non ha senso.
A quale personaggio, tra quelli che ha interpretato, è rimasto più legato?
A dire il vero non c'è nessun personaggio che mi sia rimasto "attaccato" alla pelle; ogni personaggio, per me, rappresenta un "attimo", un momento vissuto e passato. Quello che vorrei evitare è fossilizzarmi su un singolo personaggio: sarebbe pericoloso.
C'è invece qualche personaggio che vorrebbe ma non ha ancora avuto modo di interpretare?
Non c'è un ruolo in particolare che vorrei interpretare, nulla di preciso; in modo molto vago, penso alla parte un direttore d'orchestra, è una tipologia di personaggio che mi affascina perché vive completamente immerso nel mondo della musica, un mondo che io trovo molto misterioso.
Normalmente, comunque, non penso a quello che vorrei fare dopo, appena ho finito un film: anzi, di solito in quei momenti tendo ad allontanarmi dall'ambiente, a distaccarmene: nella mia vita privata non frequento nessun attore. Sia chiaro, non ho niente contro gli attori in sé, ma credo che non sia da loro che si impari a vivere.
Recentemente lei ha detto che le piace la commedia d'autore, in particolare quella francese: si tratta di un genere che attualmente va scomparendo, sopraffatto da un cinema sempre più basato sugli effetti speciali. Lei è quindi contro il moderno cinema hollywoodiano?
No. A parte che nessuno può prevedere il futuro, nessuno può dire che tipo di film andremo a vedere da qui a dieci, vent'anni, io ripeto che non sono "contro" niente: una cosa piace o non piace, se piace la si va a vedere, se non piace si resta a casa. Il resto sono distinzioni che a me non interessano. Se il cinema hollywoodiano è più diffuso degli altri, poi, è anche per un problema linguistico: la lingua ormai più parlata, a livello mondiale, è l'inglese, quindi è normale che i film recitati in inglese abbiano una diffusione maggiore.
Prima lei ha citato Antonioni. Parlando di cinema italiano, cosa ne pensa dei film diretti dai nostri "giovani" registi? Sarebbe disposto a recitare in qualcuno di questi film?
In realtà io sto premendo da tempo per fare un film con Roberto Benigni, cosa che finora, per un motivo o per l'altro, non è stato possibile fare. Per quanto riguarda i giovani registi italiani, sinceramente non li conosco, ma non avrei nulla in contrario a lavorare con loro, anche se il budget fosse limitato. Non è certo l'entità del compenso che mi interessa, ma la possibilità di lavorare nelle condizioni migliori.
Tornando al film, cosa può dirci del suo aspetto religioso? Nel recente La passione di Cristo, tra l'altro, c'è qualche punto di contatto con il vostro film, specialmente nella rappresentazione della violenza. Mel Gibson ha avuto diversi problemi per questo aspetto del suo film: è un problema che vi siete posti anche voi?
Fortunatamente non abbiamo avuto nessun problema con la distribuzione per questo aspetto del film, a differenza di quanto è accaduto a Gibson. Da parte di Luc Besson c'era in effetti un interesse per questo lato del soggetto, forse la sua è stata volontà di raccontare un fanatismo religioso di matrice cristiana in un periodo in cui tutti sono portati a identificare il fanatismo con l'Islam.
Cosa può dirci del suo rapporto con Besson? Avete lavorato insieme moltissime volte, siete amici?
Sì, anche se prima eravamo molto più vicini; ora lui è molto più occupato, tra il lavoro e la famiglia, quindi logicamente ci vediamo un po' meno. Una cosa che comunque bisogna tenere a mente, quando si ha un amico, è che meno ci si appoggia a lui e meglio è; quello che invece bisogna cercare di rendere possibile, è che lui possa appoggiarsi su di noi, quando vuole. Questo discorso vale ancora di più tra un attore e un regista.
Si parla di un nuovo film di Besson, con lei che dovrebbe avere la parte di un maggiordomo francese. C'è qualcosa di vero?
Sì, si tratta di una mia idea. Il soggetto è incentrato su un maggiordomo francese negli Stati Uniti, quindi il film mostrerà un clash di culture, e tra l'altro nella storia entrerà in gioco anche un lord inglese. Besson è d'accordo, ma ancora non sappiamo di preciso quando realizzeremo il film. Potrebbe essere anche un progetto da realizzare molto più avanti nel tempo.
Lei continua comunque a vedere i film di Besson? In Francia, da un po', lui è considerato l'equivalente del regista americano che realizza solo pop-corn movie.
Purtroppo ora ho poco tempo per andare al cinema, molti dei film più recenti, come 21 Grammi - Il peso dell'anima o Lost in translation - L'amore tradotto, non li ho nemmeno visti. A dire il vero, spesso i film di Besson finisco per vederli in aereo! Comunque alcuni dei suoi film mi piacciono molto, altri meno; lui tra l'altro ha una casa di produzione enorme, quindi è obbligato a produrre molto, non può certo limitarsi a un film all'anno.
Lei ha sempre espresso una grande ironia nella sua recitazione, anche solo con lo sguardo. Quanto conta l'ironia nell'affrontare la sua vita, non solo di attore?
Secondo me quello che conta è lavorare seriamente senza prendersi mai troppo sul serio. Può sembrare banale, ma per me è esattamente così. Sul set capita spesso che più gli altri tendono ad essere seri, e più io tendo a giocare, a buttare tutto sull'ironia; secondo me non ci si può prendere troppo sul serio quando si fa un film, non si può pensare sempre che stiamo facendo Charlie Chaplin o Federico Fellini. Eventualmente sarà il tempo a dare un giudizio di questo tipo sul film, se lo merita, ma intanto prendersi troppo sul serio secondo me è sbagliato.
Un altro motivo per cui tendo ad usare l'ironia è il fatto che secondo me le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere: a me piace cercare qualcosa che stia in mezzo alle due, e così tendo a buttare lì questi spunti di ironia, proprio per cercare di abbattere queste semplificazioni.
Lei nei suoi film lavora spesso in coppia con qualcuno, ed è sempre molto "generoso", nel senso che lascia sempre grandi spazi di recitazione agli altri attori. E' una sua normale caratteristica, questa?
Il cinema è prima di tutto lavoro di gruppo, e questo lo tengo sempre presente nel mio lavoro. Certo, il "peso" e la celebrità che ho raggiunto attualmente potrebbero permettermi di fare un film tutto accentrato su di me, in cui io sono l'eroe che difende la vedova e l'orfano, un paese, o un'idea: ma io credo che l'epoca in cui c'è un singolo eroe, nel cinema, sia finita. Inoltre la mia predisposizione per l'aspetto umoristico del cinema fa in modo che ci sia spesso un gioco simile a quello tra due clown: per questo lavoro spesso in coppia. Poi c'è da ricordare che io vengo dal lavoro teatrale, e il teatro è il per eccellenza il luogo dove si lavora in gruppo; inoltre io sono un immigrato, e l'immigrato è per definizione una persona che cerca di integrarsi in un gruppo. E' un po' paradossale, se ci si pensa, in un mestiere che ti impone di metterti in mostra.
Lei dal vivo parla molto di più che nei suoi film. E' una sua scelta, questa di parlare poco, il risultato di una sua influenza sui copioni?
No, non è una mia scelta, anzi, non ho idea del perché mi affidino spesso queste parti di personaggi taciturni. Potrebbe essere scarsa originalità da parte dei registi, o forse una questione legata alla mia presenza fisica, che in qualche modo mi fa adattare meglio a personaggi che hanno poche battute ed esprimono il resto col fisico.
Lei si formò in un laboratorio teatrale che si ispirava al metodo dell'Actor's Studio di New York, che è poi quello di Stanislavski. Quanto le è rimasto, adesso, di quel modo di recitare?
Con quell'esperienza imparai a interrogarmi, a chiedermi sempre "Perché?" Perché fai un'azione in un determinato modo e non in un altro, perché, leggendo un testo, decidi di interpretarlo in un modo piuttosto che in un altro, perché fai un gesto in una maniera e non in un'altra: è questo che mi è rimasto della formazione che ebbi all'inizio, ed è qualcosa che serve sempre. Alla fine della giornata, per esempio, quando magari sei stanco perché hai girato la stessa scena diverse volte: anche in quei casi, devi fermarti a riflettere, chiedendoti: "Chi è il mio personaggio? Da dove viene? Con chi interagisce?" E' questo che mi ha insegnò il mio maestro Andreas Voutsinas. Questo continuo chiederti "Perché?" è una cosa che ti resta dentro sempre, e quando poi riesci ad unirlo all'istinto, puoi davvero interpretare qualsiasi personaggio.
Prima ha dichiarato che il suo secondo genere preferito sono le commedie sentimentali: eppure, se andiamo a guardare la sua filmografia ce ne sono poche. C'è un'idea specifica di commedia sentimentale che le piacerebbe interpretare?
Quello che mi interessa è recitare in una semplice storia di un uomo e di una donna, una storia che sia buona, ovviamente. Purtroppo è una cosa che sono riuscito a fare molto di rado, è vero: è difficile in questo periodo trovare soggetti di questo genere che siano davvero buoni, anche perché in effetti è un genere già ampiamente esplorato, quindi è difficile fare qualcosa di nuovo, di originale.
Ci racconta un film che l'ha emozionata, da spettatore? Non necessariamente il suo preferito, ma un film che le abbia regalato grandi emozioni.
Ci sono film di tutte le epoche che mi sono piaciuti, d'altronde io ho una certa età! (ride, ndr). Uno che mi viene in mente è I sequestrati di Altona di Vittorio De Sica, tratto da Jean-Paul Sartre; un altro è Hud il selvaggio di Martin Ritt con Paul Newman, film sulla fine del west e sull'inizio della "nuova epoca". Mi vengono in mente poi film italiani come Il sorpasso, o un film francese come La traversata di Parigi, che mostra un certo tipo di vigliaccheria durante la Seconda Guerra Mondiale, o anche Guerre Stellari, con la prima astronave che mi è passata sopra la testa, o ancora tutti i film di Stanley Kubrick: si ama un po' tutto il cinema, così come nella musica un giorno senti il jazz, il giorno dopo Mozart, e via dicendo. Non ho mai voluto avere un rapporto elitario col cinema, può piacermi di tutto, anche perché mi considero un operaio del cinema; fare una regia invece è una sorta di "chiamata", qualcosa che ti mette in gioco completamente.
Un'ultima cosa: può dirci come mai ha modificato il suo nome, da Juan Moreno a Jean Reno?
Una ragione è che, quando arrivai al conservatorio a Casablanca (città in cui sono nato), il mio insegnante mi disse: "Lei avrà lo stesso destino di Marguerite Moreno". Io non sapevo chi fosse la Moreno, all'epoca, e pensai che non volevo avere il destino di qualcun'altro. Inoltre, quando ero ragazzino notai che Marlon Brando aveva lo stesso numero di lettere nel nome e nel cognome: pensai che una cosa del genere sarebbe piaciuta anche a me, e in seguito me ne sono ricordato.