I cavalli della morte
Quella del giovanissimo Yachine è una famiglia problematica, e non solo perché tirare avanti, in un sobborgo povero di Casablanca, non è facile per nessuno; il padre del ragazzo soffre infatti di depressione ed è incapace di provvedere alla famiglia, uno dei suoi due fratelli si è arruolato nell'esercito, un altro è quasi autistico e l'ultimo, Hamid, si mette sempre nei guai tra le piccole risse di quartiere e i suoi tentativi di proteggere lo stesso Yachine dai bulli locali. Quando Hamid finisce infine in carcere, il mondo sembra crollare addosso alla famiglia, e specie alla madre Yemma, l'unica che cerca di provvedere al benessere dei figli; ma, al suo ritorno, Hamid sembra cambiato, apparentemente in meglio. Il ragazzo è entrato infatti in contatto con un gruppo integralista islamico, che lo ha distolto dalle sue attività criminali avvicinandolo alla religione musulmana; ma ben peggiore si rivelerà il crimine progettato dal gruppo, un crimine in cui verranno coinvolti sia Hamid che Yachine.
Ispirato ai tragici attentati suicidi che colpirono Casablanca nel 2003, Horses of God segna l'approdo sulla Croisette (nella sezione Un Certain Regard) del regista francese, di origini marocchine, Nabil Ayouch. La caratteristica principale del film di Ayouch, che ha l'indubbio merito di gettare luce su un drammatico evento della storia recente del Marocco, è l'estremo realismo della messa in scena. E' molto cruda la rappresentazione del degradato ambiente sociale in cui vivono i due fratelli protagonisti, con una forte insistenza sulla miseria e sulla divisione tra la baraccopoli, in cui vivono i reietti, e la metropoli poco distante, regno (apparente) della ricchezza e del benessere. Un contesto sociale difficile e destabilizzante come quello in cui crescono i due giovani fratelli si rivela terreno di coltura ideale per il reclutamento di manovalanza terroristica, da parte di gruppi ben inseriti nel tessuto sociale; la notizia, il cui arrivo vediamo in una delle prime sequenze, degli attentati di New York dell'11 settembre 2001 non fa che alimentare una malcelata, quasi inevitabile ammirazione per le capacità operative di un'organizzazione come Al Qaeda. Il personaggio di Hamid è uno dei più forti e ben delineati dalla sceneggiatura, con il suo fare iniziale da bullo che si trasforma, in seguito, in una calma e quasi innaturale dedizione alla causa, che presto scopriamo costellata in realtà di dubbi e insicurezze; mentre a seguire, in modo irrazionale e quasi cieco, il carismatico imam a capo del gruppo integralista, sarà inaspettatamente proprio Yachine, che si confermerà come il personaggio più debole e vulnerabile dell'intera vicenda. L'elemento che maggiormente caratterizza (in positivo) il film, in effetti, oltre al già ricordato realismo della messa in scena, è proprio l'accuratezza della descrizione dei diversi personaggi (e dei loro background) con il mortale abbraccio di una causa a cui sacrificare la vita, che finisce per passare in primo piano rispetto agli affetti, all'amicizia, allo stesso amore. La regia di Ayouch si affida alla credibilità della ricostruzione scenografica, ma non disdegna un taglio classico, quasi occidentale, in alcune delle sue soluzioni (come l'efficace sequenza conclusiva) e fa conto soprattutto sulla solidità della sceneggiatura e sull'abilità degli interpreti, tutti molto intensi nei rispettivi ruoli.Horses of God, così, si rivela un buon esempio di cinema di cronaca e impegno civile, che non disdegna un occhio attento al pubblico e ai più classici meccanismi del coinvolgimento emotivo; riuscendo a risultare duro e realistico, nella sua urgenza di raccontare un evento evidentemente ancora molto sentito da un popolo (e dallo stesso regista) senza alienarsi l'interesse di chi, di quell'evento, avesse avuto solo informazioni scarse. Un equilibrio raggiunto in modo sicuro, per un'opera che ha sicuramente una sua intrinseca importanza.
Movieplayer.it
3.0/5