Dal punto di vista professionale, l'ultimo anno è stato senza dubbio un periodo d'oro, probabilmente quello più ricco di soddisfazioni, per la carriera di Amy Adams: una carriera solidissima, forse proprio perché costruita a piccoli passi, gradino dopo gradino, portandola ad accumulare fama e consensi e a guadagnarsi la stima sempre più ampia della critica e del pubblico. E oggi l'attrice americana, nata a Vicenza da genitori di fede mormone e cresciuta fra l'Italia e il Colorado, taglia un traguardo significativo: i quarant'anni, un'età fatidica per molte star hollywoodiane, considerata da sempre uno spartiacque fra la "scalata al successo" e l'ineluttabile declino verso ruoli sempre meno prestigiosi. Una regola che tuttavia ammette più di un'eccezione, in particolare per le attrici di maggior talento: e del resto la rossa Amy, che non si è mai accontentata della propria avvenenza per attirare l'attenzione degli spettatori, non è mai stata tanto popolare quanto adesso.
In un'epoca in cui molte sue colleghe costituiscono la prova vivente che a Hollywood si può rimanere sulla cresta dell'onda anche dopo i quaranta, i cinquanta o perfino i sessant'anni (basti chiedere alle varie Meryl Streep, Cate Blanchett e Sandra Bullock), Amy Adams ci appare come un'attrice in continua crescita, in sapiente equilibrio fra i blockbuster campioni d'incassi e i "film di cassetta" (L'uomo d'acciaio, Una notte al museo 2: la fuga, I Muppet), le produzioni indipendenti e i titoli da Oscar.
E se l'Academy spesso si rivela fin troppo generosa con le attrici impegnate in ruoli da graziosa ingénue, meglio ancora se giovane e di bella presenza, l'apprezzamento dimostrato nei confronti della Adams non si può certo definire una semplice infatuazione: d'altra parte, fra il 2005 e il 2013 la nostra Amy ha collezionato ben cinque candidature all'Oscar (nello stesso periodo un risultato del genere l'ha messo a segno soltanto la Streep, che però fa storia a sé). Proprio in occasione del suo quarantesimo compleanno, vale la pena provare ad indagare le ragioni del successo di questa carismatica diva neo-quarantenne che, prima ancora di essere una star, è innanzitutto un'attrice infaticabile ancora in grado di sorprenderci sfoderando sfumature inaspettate...
La gavetta
Dopo gli studi come ballerina e le prime esperienze teatrali, con relativo ingaggio in una compagnia del Minnesota fra il 1995 e il 1998, la ventiquattrenne Amy vince un provino ed ottiene il suo primo lavoro al cinema in una black-comedy con Kirstie Alley ed Ellen Barkin dal titolo Bella da morire. Decide quindi di tentare il grande salto e, nel 1999, si trasferisce a Los Angeles, sperando di farsi notare dalla "Hollywood che conta". E se il successo deriva da un complesso mix fra talento e fortuna, all'inizio è proprio quest'ultima a mancare ad Amy, che nel 2000 conquista una parte da co-protagonista nei primi due episodi di Manchester Prep, una serie televisiva ideata da Roger Kumble sull'onda del buon responso commerciale del suo Cruel Intentions, ispirato a sua volta al capolavoro letterario Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos rivisitato in chiave moderna. Amy ha modo di cimentarsi con un ruolo da villainess, la spregiudicata e machiavellica Kathryn Merteuil, ma il progetto nasce sotto una pessima stella: la Fox, infatti, non approva la serie, e i due episodi vengono rimontati insieme per un film direct-to-video, rititolato Cruel Intentions 2.
Alla povera Amy non va granché meglio con gli altri suoi progetti, ovvero la commedia Psycho Beach Party e brevi apparizioni in altri film che passano del tutto inosservati; la sua gavetta comprende anche qualche comparsata sul piccolo schermo come guest-star in serie quali That '70s Show, Streghe, Buffy - L'ammazzavampiri, Smallville e The West Wing. La prima volta in cui la giovane attrice riesce a farsi notare, a dispetto del minutaggio limitato del suo ruolo, è in Prova a prendermi, film di Steven Spielberg del 2002, in cui la Adams adotta un'immagine che le resterà a lungo "appiccicata" addosso: quella della ragazza timida, insicura e piuttosto ingenua, nel caso specifico l'infermiera Brenda, soggiogata - e raggirata - dal fascino del "truffatore" Leonardo DiCaprio.
Junebug e la benedizione dell'Academy
Benché perfino un regista come Spielberg abbia notato le sue potenzialità, Amy Adams oltrepassa i trent'anni senza ancora aver raccolto i consensi sperati, e in lei insorgono i primi dubbi. In seguito dichiarerà: "Ho pensato che forse avrei dovuto trasferirmi a New York, avrei dovuto fare qualcos'altro... forse non ero abbastanza brava". È nel 2005 che la situazione cambia all'improvviso, e in modo assai inaspettato: grazie ad un film indipendente, Junebug, diretto dall'esordiente Phil Morrison. Un dramedy a tema familiare in cui la Adams incontra il personaggio perfetto per lei: Ashley Johnsten, una donna incinta, dolce, gentile, molto loquace e teneramente naïve. Una parte in cui Amy Adams si cala con sensibilità e con un approccio molto credibile; e benché Junebug non vada al di là del circuito indie, i critici si accorgono di lei e di colpo arrivano gli ambiti riconoscimenti: il Broadcast Film Critics Award, l'Independent Spirit Award e diversi altri premi, fino alla candidatura all'Oscar come miglior attrice supporter. Ma a dispetto della visibilità offertale dall'Academy, l'autentica consacrazione dovrà aspettare ancora un paio d'anni, nel corso dei quali la Adams rimane confinata a piccoli ruoli (in questo periodo, il suo lavoro più "sostanzioso" è la partecipazione a tre episodi della sit-com The Office).
Come d'incanto: la consacrazione
Se c'è una grande attrice del passato alla quale Amy Adams potrebbe essere paragonata, si tratta forse di Julie Andrews. Se la Andrews, nel lontano 1964, è entrata nell'immaginario collettivo grazie all'intramontabile musical disneyano Mary Poppins, il trampolino di lancio della Adams verso lo stardom planetario è invece Come d'incanto di Kevin Lima, ironica rivisitazione degli archetipi delle fiabe ricollocati nella New York dei giorni nostri, pur mantenendo intatto il tono sognante e favolistico di chiara impronta disneyana. Accolto da uno strepitoso responso da parte del pubblico (ben 340 milioni di dollari al box-office mondiale), favorito dall'abile amalgama dei suoi vari ingredienti, Come d'incanto vede la Adams protagonista assoluta nel ruolo della Principessa Giselle, catapultata di colpo nel bel mezzo del traffico di Manhattan e in grado di far battere il cuore dell'avvocato Patrick Dempsey; il film lascia inoltre spazio alle capacità vocali di Amy, che forte dei suoi trascorsi nel musical teatrale si esibisce in varie performance canore, e durante la notte degli Oscar interpreta dal vivo uno dei brani candidati, Happy Working Song. Nello stesso anno, intanto, compare in un ruolo secondario nel film di Mike Nichols La guerra di Charlie Wilson, accanto a Tom Hanks, Julia Roberts e Philip Seymour Hoffman, mentre l'anno seguente divide lo schermo con Frances McDormand in Un giorno di gloria per Miss Pettigrew, piacevole riproposizione degli stilemi della sophisticated-comedy americana.
L'ingénue di Hollywood
Benché Amy Adams non manchi di riscuotere applausi ad ogni suo film, le sue scelte professionali - o semplicemente le proposte che le arrivano dai produttori - convergono più o meno tutte nella medesima direzione: prestare il volto a giovani donne dolci, sorridenti e mansuete, decisamente rassicuranti nei modi e nei gesti e dall'ingenuità talvolta quasi esasperata. Si tratta dei vantaggi - nonché dei rischi - del cosiddetto typecasting: così come prima di lei Julie Andrews, per molti anni, era stata identificata solo e soltanto per l'immagine di tenera ed amorevole bambinaia, allo stesso modo la Adams viene chiamata ad incarnare puntualmente personaggi caratterizzati dall'innocenza e dal candore, ai quali spesso si aggiunge un'intima fragilità. Ciò nonostante, l'attrice riesce a non adagiarsi sui cliché e a conferire la sufficiente dose di spessore e di credibilità alle sue interpretazioni in film quali Miss Pettigrew (2008), Sunshine Cleaning (2008) e Julie & Julia di Nora Ephron (2009), in cui impersona una blogger di cucina le cui insicurezze in ambito lavorativo e privato vengono "guarite" seguendo le orme della leggendaria chef Julia Child (una mimetica Meryl Streep).
La migliore performance della Adams in questo periodo resta però quella ne Il dubbio (2008), trasposizione cinematografica firmata da John Patrick Shanley dal suo applauditissimo dramma teatrale vincitore del premio Pulitzer, ambientato in una scuola cattolica nella New York del 1964. La Adams veste i panni di sorella James, una giovane e timida suora testimone - e occasionalmente pedina - dello scontro fra la rigida direttrice dell'istituto, sorella Aloysius Beauvier (una gigantesca Meryl Streep), e padre Brendan Flynn (Philip Seymour Hoffman), un sacerdote accusato di aver commesso abusi sessuali su un minorenne. Nella gara di bravura fra questi due mostri sacri, la Adams sa trasmettere con efficacia il senso di smarrimento di un personaggio che, sulla carta, rischiava di apparire quasi piatto, e si guadagna una seconda nomination all'Oscar come miglior attrice supporter.
Puntando all'Oscar: i film con Russell e Anderson
È però negli ultimi quattro anni che Amy Adams ha saputo stupire davvero il pubblico, dimostrando una versatilità che in pochi, fino ad allora, le avrebbero attribuito, in particolare grazie a due ruoli che le hanno permesso di allontanarsi dalla sua comfort zone e di cimentarsi con personaggi molto differenti rispetto a quelli impersonati in precedenza. Il primo è Charlene Fleming, moglie del pugile Micky Ward nel dramma sul mondo della boxe The Fighter, diretto da David O. Russell nel 2010 e accolto da eccellenti recensioni. La Adams, in questo caso, non rimane intrappolata negli stereotipi dell'affettuosa supporting wife, ma sfodera un'inedita grinta nel modo in cui la sua Charlene sa tenere testa alla famiglia di Micky; la sua prova le vale un'altra candidatura all'Oscar, benché alla cerimonia di premiazione l'Academy le preferisca la collega Melissa Leo, in lizza per la parte della madre del protagonista, Alice. A proposito della Adams, Russell dichiara: "Ci sono poche cose che un regista possa avere a disposizione migliori di un'attrice che non vede l'ora di rompere la propria immagine, e che è estremamente motivata a farlo; ed Amy era estremamente motivata ad interpretare una "dura" sexy, e questo corrispondeva al personaggio di Charlene".
L'altro film chiave nella "svolta" della Adams è The Master, presentato con calorosi applausi al Festival di Venezia 2012 e diretto da uno dei massimi cineasti del panorama contemporaneo, Paul Thomas Anderson. A dir la verità si tratta di un'altra supporting wife, ma in questo caso la connotazione del personaggio è del tutto diversa rispetto agli altri ruoli dell'attrice: la sua Peggy, moglie dell'ambiguo Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), leader spirituale di un culto denominato "la Causa", è una donna che dietro la sua apparente cordialità nasconde una determinazione e una freddezza tali da renderla priva di scrupoli. Tutt'altro che ingenua, Peggy mostra una piena consapevolezza della reale natura della Causa, ed Amy rende magistralmente la natura spregiudicata e manipolatrice del suo personaggio, affidandosi agli sguardi, alle intonazioni della voce e ad altre sottili notazioni: una performance dall'equilibrio impeccabile, che le vale numerosi premi assegnati dalla critica e la sua quarta nomination all'Oscar come miglior attrice supporter.
Da Lois Lane ad American Hustle, aspettando Big Eyes
Infaticabilmente attiva sul set, dopo The Master Amy Adams interpreta la figlia dell'anziano talent scout di baseball Clint Eastwood nel dramma sportivo Di nuovo in gioco (2012) e si aggiudica il contesissimo ruolo di Lois Lane, la cronista di punta del Daily Planet, nonché l'oggetto del desiderio del goffo Clark Kent, in uno dei progetti più attesi dello scorso anno: L'uomo d'acciaio, reboot delle avventure di Superman per la regia di Zack Snyder. Una scelta di casting tutt'altro che scontata: a trentotto anni, la Adams viene affiancata ad un attore, l'inglese Henry Cavill, che durante le riprese ne aveva appena ventinove, in netta controtendenza rispetto alle convenzioni hollywoodiane in merito. Nel frattempo, la rossa Amy torna a recitare accanto a Joaquin Phoenix (già suo comprimario in The Master) in Lei, acclamatissima commedia sentimentale scritta e diretta da Spike Jonze, nella quale impersona la malinconica Amy, amica (e forse qualcosa in più) del protagonista Theodore Twombly.
Ma il vero trionfo dell'attrice è rappresentato da American Hustle - L'apparenza inganna, sua seconda collaborazione con il regista David O. Russell: un avvincente crime-movie narrato con toni da commedia nera sullo sfondo dell'America patinata e sfavillante di fine anni Settanta, che entusiasma la critica e registra ben 250 milioni di dollari d'incasso al box-office. Per Amy, si tratta di una delle sfide più impegnative della sua carriera, ma anche del suo personaggio più memorabile: Sydney Prosser, affascinante socia di truffe dell'ingegnoso Irving Rosenfeld (un Christian Bale ingrassato e pressoché irriconoscibile), contesa sentimentalmente fra lo stesso Irving e l'agente dell'FBI Richie DiMaso (Bradley Cooper). Russell costruisce sulla Adams una femme fatale atipica: dotata di una sensualità aggressiva e magnetica, la sua Sydney è al contempo una donna inesorabilmente fragile, alla quale Amy sa conferire una sorprendente complessità. Il risultato è la sua performance più intensa e coinvolgente, che le fa vincere il Golden Globe come miglior attrice di commedia e le fa ottenere la sua prima nomination all'Oscar come miglior attrice protagonista. Attualmente impegnata sul set del già controverso Batman v Superman: Dawn of Justice, in uscita nel 2016, sempre nei panni di Lois Lane, e continuando a sognare il ruolo della mitica Janis Joplin in un biopic musicale più volte rinviato (e per il quale ormai potrebbe essere fuori tempo massimo, quantomeno per motivi anagrafici), a fine anno Amy Adams sarà di nuovo sul grande schermo nella parte biografica di Margaret Keane, pittrice americana che negli anni Cinquanta rivoluzionò il mondo dell'arte con i suoi dipinti in cui erano ritratti bambini dagli occhi giganteschi. Il film, intitolato non a caso Big Eyes, porta la firma di un regista del calibro di Tim Burton, e potrebbe addirittura rilanciare la talentuosa Amy nella corsa per quella preziosa statuetta che ancora manca alla sua bacheca...