C'è stato un tempo in cui non contava solo il calcio, ma bastava anche un pallone. Molto prima che insopportabili termini come top player e offerta monstre popolassero le nostre vite, c'è stato un tempo in cui gli scarpini erano solo bianchi e neri senza colori psichedelici, dove nessuno guardava al look e pensava tanto al danaro, dove i calciatori non avevano canali social dove vantare vittorie e ricchezze, un periodo in cui il bello era semplicemente giocare insieme ai propri amici. Spesso il campo in erba era pura utopia, così come il pallone in cuoio ed era quasi naturale accontentarsi di terrenti sterrati, asfalti e di qualsiasi oggetto di forma sferica da prendere a calci. Bene, in questo malinconico lasso di tempo, coinciso con l'infanzia dei nati negli anni Ottanta, molti di noi sono cresciuti con i propri idoli. Mentre sua maestà Platini lasciava orfana la Juventus, Napoli godeva con Maradona, il Milan scopriva i tre tulipani olandesi e l'Inter tornava grande con Trapattoni, i cuori di molti si tingevano di bianco e blu (o rosso), i colori sociali della mitica New Team, l'unica squadra che metteva tutti d'accordo.
Il tifo si trasformava in entusiasmo collettivo, passione sana da condividere di pomeriggio davanti alla tv, con i bambini pronti a imitare le gesta di Oliver Hutton, per gli amici Holly, e Benji Price per poi scoprire che le loro partite erano assolutamente impossibili da riprodurre in cortile. Ma il fascino era proprio lì, in quelle corse sterminate e in quei ragionamenti infiniti poco prima di un tiro, mentre alle spalle di Mark Lenders prendeva forma un'enorme tigre. La grande intuizione di Holly e Benji è stata di quella di trattare i calciatori come supereroi con superpoteri, ma anche di avvicinarli ai piccoli spettatori attraverso la storia di ragazzini come loro. Tutto nasce agli inizi degli anni Ottanta quando dalla mano del giovane fumettista giapponese Yoichi Takahashi, da sempre appassionato di calcio e folgorato dai Mondiali di Calcio del 1978, nasce un piccolo albo di 30 pagine. Il titolo è Capitan Tsubasa ed è il nome di un fenomeno globale. Il volume si trasforma in una serie di manga pubblicata a partire dal 1981 e nel 1983 il cartone animato è quasi una tappa obbligata. Il successo dell'anime è tale da ritenerla responsabile della nascita del movimento calcistico nipponico, fino ad allora assente, culminato con i Mondiali del 2002 celebrati dalla serie Holly e Benji Forever.
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Ma l'influenza culturale di Holly e Benji non si limita al travolgente impatto su noi spettatori, perchè grandi campioni come Zidane, Del Piero e Neymar hanno ammesso di essersi avvicinati al calcio grazie agli infiniti match tra la New Team e la Muppet, merito ammesso anche da tanti calciatori della nostra attuale Serie A. Insomma mito del cartone non conosce il triplice fischio finale. Oggi, a trent'anni dalla sua ultima trasmissione giapponese e dalla prima italiana, vogliamo riaprire l'armadietto dei ricordi e riassaporare i campi calcati anche da Philip Callaghan e Johnny Mason. La prima cosa che troviamo è il suono un po' usurato della mitica sigla, con quella frase "questa sfida senza vincenti, fa i due ragazzi felici e contenti" a fare da morale. Ovvero tutto quello che il gioco del calcio dovrebbe insegnare e magari essere.
1. Prima di Leo e Cristiano
Passino pure i messaggi costruttivi, ma la verità è che a tutti piace vincere, tutti sognano di alzare trofei e coppe. E a tutti piacere tifare per qualcuno, adottando un proprio idolo personale in cui riconoscersi. Per questo Holly e Benji infonde in ogni giocatore e in ogni squadra una personalità diversa. Certo la tattica con interi gruppi di ragazzi che corrono uno vicino all'altro rimane ancora oggi un mistero irrisolto, ma quello che conta è forgiare il carattere dei nostri idoli. Così nascono dei veri e propri modelli opposti in cui identificarsi, delle dicotomie calcistiche che trovano riscontro anche nella realtà. Da una parte c'è la classe pura di Holly (faccia pulita da bravo ragazzo, talento cristallino, bontà d'animo) dall'altra la sua nemesi con le immancabili maniche arrotolate a favore di bicipite: Mark Lenders. La stella della Muppet, storica rivale della New Team, è arrogante, sfrontato, sicuro di sè, forte del suo strapotere fisico.
Insomma Holly è una via di mezzo tra Kakà e Messi (non a caso arriverà a giocare in una specie di Barcellona), mentre Mark è il più credibile pioniere dei Cristiano Ronaldo e degli Ibrahimovic che verranno. La dicotomia si ripete anche tra i pali, dove all'iperturbabile sicurezza di Benji Price, quasi inviolabile e forte anche con i piedi (segnerà anche un gol), si oppone l'esuberanza del saltellante Ed Warner. I due sono accomunati solo dal fedele cappello, che anche dopo voli stenta a cadere. Ma questo è un problema che stiamo per affrontare subito.
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2. La fisica: questa sconosciuta
La cosa bella è rendersene conto solo anni e anni dopo, perché quando vedevi il cartone da piccolo ti sembrava tutto a posto, tutto perfettamente verosimile. Rivedere oggi anche un solo minuto di Holly e Benji significa sorridere di continuo davanti alle più assurde e improbabili dinamiche calcistiche mai viste nella storia dell'essere umano, uno sberleffo continuo alle inutili leggi della fisica. Partiamo dal pallone, ridefinito nella sua forma sferica, perché continuamente allungato verso l'ellisse, attraversato da luci accecanti, trasformato in arma semi-nucleare in grado di perforare guanti, reti, muri, stadi. Passiamo poi all'indimenticabile catapulta infernale dei gemelli Derrick o ai pali utilizzati come trampolini da Warner, probabile figlio illegittimo di Higuita. Anche le regole dello spazio-tempo erano ridefinite di torneo in torneo. La preparazione di un tiro poteva durare qualche puntata e percorrere il campo (di evidente forma collinare) era un'impresa assai impegnativa. Insomma, questi teneri ma indomiti ragazzini non erano calciatori, erano maratoneti.
3. Fiumi di parole
Passino pure il calcio ragionato, il tatticismo e le indicazioni a bordo campo, ma Holly e Benji hanno scritto nuove pagine di vera e propria arte oratoria. Ogni partita prevedeva valanghe di ragionamenti, monologhi interiori e intere discussioni imbastite nel bel mezzo di un dribbling o di un cross. Uno dei più grandi misteri di sempre resta l'incredibile seguito ottenuto da questi tornei giovanili tra bambini delle scuole elementari o ragazzini delle medie. Infatti, oltre ad enormi stadi puntualmente gremiti, con tanto di tifosi a seguito (Patty, va detto, la sopportavano in pochi), ricordiamo l'assurda figura del telecronista, costretto a narrare (per chissà quale emittente e quali spettatori) le gesta sportive di 22 bimbi. Ma oltre al puntuale resoconto giornalistico è impossibile dimenticare i lunghi dialoghi avvenuti in campo, con i giocatori intenti a sproloquiare su un'azione o a schernire l'avversario a suon di "tu non passerai" e "prova a prendere questo". Note di merito anche per i flussi di coscienza di Mark, straziato dopo un inaspettato errore, e di Holly, sempre pronto a dare manforte ai suoi compagni. Il tutto condito da una colonna sonora che sottolineava sempre i momenti di sconforto e di entusiasmo. Se non la ricordate, non dovreste essere qui a leggere questo articolo.
4. L'importanza dei comprimari
I cartoni animati giapponesi si fanno portatori di valori spesso ricorrenti: lealtà, coraggio, abnegazione e soprattutto gioco di squadra. Se altrove il gruppo sconfiggeva il male grazie alla cooperazione di capacità complementari (pensiamo a I cavalieri dello zodiaco, I cinque samurai e Sailor Moon), qui la metafora sportiva si presta alla perfezione a rendere inclusivo il gioco del calcio. Tra campioni e stelle indiscusse ci sono anche ragazzi non proprio dotati di talento. Il migliore degli ultimi è Bruce Harper, difensore dai piedi a ferro da stiro, tutta testardaggine e simpatia. Così come in Mila e Shiro due cuori nella pallavolo ritornano sia personaggi in sovrappeso che le spalle dei leader. Ogni squadra ha la sua stella, vero, ma anche il comprimario silenzioso, prezioso e mai toccato da invidia, perché sempre al servizio degli altri. Sì, Danny Mellow e Tom Becker, stiamo parlando proprio di voi.
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5. Un altro minuto per Julian Ross
Anche senza la fresca perdita del grande Johan Cruijff, avremmo comunque inserito questo paragrafo dedicato al personaggio più poetico, coraggioso e romantico di tutto il cartone. Abbiamo citato il campione olandese, perché lo stesso Takahashi ha ammesso di aver creato Julian Ross ispirandosi all'ex stella dell'Ajax. Se tutti gli altri giocatori di Holly e Benji avevano un ruolo ben definito, Ross era il più grande esponente del calcio totale, un regista dall'invidiabile visione di gioco, dotato di grande senso tattico (ha innate doti da allenatore) e un senso della posizione tale da renderlo anche un valido libero a carriera avanzata. Capitano della Mambo, leader carismatico e leale, Ross era però affetto da un problema cardiaco che ne limitava l'impiego a soli dieci minuti a partita. Questo contagocce forzato lo ha reso di fatto un personaggio mitico, di cui apprezzavamo ogni fugace apparizione, soprattutto per l'indomito coraggio di scendere in campo sfidando prima di tutto i propri limiti fisici. Un talento di cristallo, una figura eroica, che il cuore lo ha fatto salire in gola a noi quando ha realmente rischiato di morire in campo. Se oggi tornasse a giocare, saprebbe anche a chi dedicare un suo gol. Magari segnato allo scoccare di quel fatidico decimo minuto.
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