La febbre del remake, nel 2013, non si è esaurita. Sembra, questo, un dato oggettivo nel cinema americano moderno, diviso tra rifacimenti in senso classico, reboot, reimagining, e tutto ciò che sta tra questi, spesso e volentieri non mutuamente esclusivi, termini. L'arrivo in sala di Oldboy di Spike Lee sembra aver rilanciato, in particolare, una tendenza che negli ultimi anni sembrava un po' accantonata: quella di proporre nuove versioni di film recenti provenienti da cinematografie lontane, in particolare quelle dell'estremo oriente. Una tendenza che ha attraversato, in lungo e in largo, tutto l'ultimo decennio di cinema americano, coinvolgendo registi più o meno dotati, star più o meno note, generi diversi (ma l'horror ha avuto finora un appeal particolare per i produttori) con alterne fortune: si va dai buoni risultati ottenuti da Gore Verbinski col suo The Ring alla piattezza di un Pulse, versione oltremodo banalizzata di Kairo di Kiyoshi Kurosawa, dalla confezione impeccabile, ma fin troppo debitrice del modello Infernal Affairs, del The Departed - Il bene e il male di Martin Scorsese, a quei registi che, approdati a Hollywood, hanno preferito curare personalmente le versioni statunitensi dei loro lavori (un esempio per tutti, Takashi Shimizu, per anni "incastrato" nella saga dei vari Ju-On, o The Grudge che dir si voglia).
Non è questa la sede per analizzare tale tendenza, da un lato connaturata a un'attitudine alla ripetizione da sempre propria del cinema americano (ma diremmo del cinema tout court); dall'altro risultato di un'innegabile intensificazione di detta attitudine, segno di una precisa strategia produttiva e culturale. Lasciando da parte, quindi, le considerazioni sui perché, ed eventuali giudizi di merito, ci siamo divertiti a viaggiare con l'immaginazione: provando ad esprimere qualche considerazione non sui remake fatti, ma su quelli possibili, ipotizzabili, o semplicemente da noi auspicati. Per parte dei titoli che seguono, una versione a stelle e strisce era stata effettivamente annunciata ma mai realizzata; per un'altra parte, questa è attualmente in piedi come ipotesi, ma senza alcuna certezza; e, infine, ci sono quei titoli per cui nessuno ha mai neanche ipotizzato una trasposizione in terra americana; la quale tuttavia, se realizzata, potrebbe (a nostro avviso) dare adito a risultati interessanti o quantomeno curiosi. Si tratta di un semplice gioco, ovviamente: proviamo a giocarlo e a fare qualche riflessione sui risultati.
10) The HostProgetto annunciato e (al momento) accantonato. A produrre dovevano esserci la Universal e Gore Verbinski, mentre il regista designato era un esordiente, Fredrik Bond (che ha poi invece esordito, per suo conto, con una action comedy, The Necessary Death of Charlie Countryman). In questo caso, la produzione ha forse scontato il lancio di Pacific Rim, blockbuster altrettanto (e forse più) debitore alla tradizione dei kaiju eiga a cui il film di Bong Joon-ho si ispirava. L'approccio di Bong alla materia, d'altronde, apparentemente sopra le righe, in realtà venato di amarezza e cinismo, era piuttosto difficile da replicare; e una versione americana di un progetto del genere sarebbe stata, senz'altro, a forte rischio di replica di un effetto-Cloverfield. Resta tuttavia un po' di curiosità, a quanto pare destinata a rimanere (per ora) inappagata.
9) Like Father, Like Son
Qui, ci troviamo forse di fronte al remake che ha più possibilità, concrete, di essere realizzato. Lo stesso regista Hirokazu Koreeda, nell'incontro con pubblico e stampa al Festival del Film di Roma, lo ha confermato: il progetto di un adattamento americano del suo dramma è in piedi, e ad occuparsene dovrebbe essere nientemeno che Steven Spielberg. Restano dubbi sull'opportunità (reale) di un progetto del genere (film presentato con successo a Cannes, di un autore già noto nel circuito festivaliero) nonché sulla sua adattabilità a un contesto americano: il fulcro della storia, la dialettica tra i legami di sangue e quelli affettivi, risente di un approccio che è tipicamente radicato nel contesto sociale nipponico. Spielberg, se davvero sarà il regista, dovrà giocoforza leggere la vicenda da un altro punto di vista. Il regista giapponese, nel suddetto incontro, ha poi ipotizzato scherzosamente (ma non troppo) che nella nuova versione il secondo dei due padri protagonisti potrebbe avere il volto di Jack Black: e questo, sicuramente, basterebbe per provocarci un moto di curiosità in più verso questo remake.
Duro e controverso, cult in Giappone, tra le ultime opere del maestro Kinji Fukasaku. I diritti per una sua versione statunitense erano stati acquistati dalla New Line, ma pare che il progetto sia stato definitivamente accantonato dopo l'arrivo degli Hunger Games: soggetto molto simile, declinato in un mood decisamente più adolescenziale, senza la carica eversiva che Fukasaku aveva impresso al suo film. Una eventuale riproposizione del progetto, a chi potrebbe essere destinata? Sicuramente non al pubblico che, solo poche settimane fa, ha affollato l'Auditorium Parco della Musica per l'anteprima del secondo episodio della citata saga. Ultimamente, il cinema americano ha provato a giocare "pesante" in questo senso, coinvolgendo anche personaggi adolescenti: il carpenteriano La notte del giudizio di James DeMonaco (con tutti i suoi limiti) ne è un esempio. L'eventuale versione americana del film di Fukasaku potrebbe avere contorni simili?
7) Thirst
Quando si parla di Park Chan-wook, si pensa subito alla "trilogia della vendetta", ma questo film, Premio della Giuria a Cannes nel 2009, resta quasi sempre in secondo piano. Eppure, la metafora del vampirismo come appropriazione dell'altro, il sottile confine tra atto caritatevole ed egoistica soddisfazione delle proprie pulsioni, l'annientamento e auto-annientamento nell'Amore, sono temi che rendono questo non-horror del regista sudcoreano un titolo di primo piano nella sua filmografia. Una versione occidentale era stata effettivamente ipotizzata tra il 2009 e il 2010, parallelamente a quella (che, a quanto pare, verrà infine realizzata) del più noto Mr. Vendetta - Sympathy for Mr. Vengeance. Il progetto, a quanto pare, è stato per ora accantonato. Se si facesse, il rischio di una banalizzazione dei suoi temi, di quello sguardo normalizzato che già ha affetto il remake di Old Boy, sarebbe senz'altro forte. Troppo ardito l'approccio di Park alla materia, troppo spinta, probabilmente, la sua commistione di registri. Eppure, un po' di curiosità rimane: se sia meglio che questa resti inappagata, in tutta sincerità non sappiamo dirlo.
Qui, siamo di fronte a un'ipotesi di remake tuttora più che concreta, visto che il progetto era stato da tempo annunciato (Leonardo DiCaprio risulta tra i produttori) poi bloccato a causa di dubbi sullo script e sul budget, poi di nuovo preso in considerazione, con nuove trattative (di cui per ora non si conosce l'esito) col regista designato Jaume Collet-Serra. Certo, fa un effetto un po' strano pensare a un onesto mestierante come quest'ultimo (autore comunque di solide pellicole di genere come Orphan e Unknown - Senza identità) al timone di un progetto del genere: chiunque abbia visto il classico animato di Katsuhiro Otomo, sa di cosa parliamo. Solo la parte finale, con quell'incredibile sequenza di distruzione e rigenerazione, consegna Akira alla storia del cinema: per un modello di sci-fi del genere, trasposto in live action, ci vorrebbe un James Cameron. Un Cameron pre-Avatar, azzardiamo, quello dalla personalità più strabordante e incline a imporsi con produttori e attori. Peccato che un'ipotesi del genere sia, al momento, fantascientifica (appunto).
5) Dog Bite Dog
Nel panorama della Hong Kong degli ultimi anni, Soi Cheang è tra quegli autori che hanno saputo emergere con un'idea di cinema tutta personale, riuscendo a dire coi suoi film qualcosa di veramente nuovo. Questo thriller d'azione, debitore com'è di un pessimismo radicale che viene dalla New Wave, ma così universale nei suoi temi, si adatterebbe particolarmente a una riproposizione in territorio americano (e non solo). La storia di un poliziotto che, nell'inseguire un killer pluriomicida, regredisce a uno stadio bestiale, macchiandosi lui stesso dei peggiori crimini, e quella parallela della sua preda, che mostra la sua natura irrevocabilmente umana, pur corrotta da una società che di civile ha solo la patina, non lascia indifferenti. La violenza colpisce duro, e non sappiamo quanti e quali compromessi gli studios hollywoodiani potrebbero fare per renderla presentabile al loro pubblico. Eppure, stupisce che nessuno abbia ancora adocchiato questo soggetto, così esportabile nell'idea di base, ma così difficile da riproporre nello svolgimento: anche in questo caso, non sappiamo se dispiacercene o rallegrarcene. In ogni caso, che goda o no di un clone hollywoodiano, Soi Cheang (in questo come in altri titoli) merita più che mai di essere (ri)scoperto.
Verso la metà del decennio scorso, parallelamente al progetto di remake di Kairo, si ipotizzò anche una versione americana di questo thriller, tra i più rappresentativi della filmografia di Kiyoshi Kurosawa. Il tema (il mesmerismo) è d'altronde universale e di grande fascino, mentre la storyline (una serie di omicidi compiuti sotto ipnosi, un detective tormentato che indaga e si lascia coinvolgere dalla personalità del colpevole) è facilmente adattabile a una pellicola di produzione hollywoodiana. Ciò che non è adattabile è l'approccio di Kurosawa alla materia, così essenziale e straniante, privo di orpelli, ricco di inquietudini che lavorano sottopelle. Tra i modelli dichiarati dal regista (ma in senso molto lato, diremmo noi) c'è Seven di David Fincher; e anche qui, a questo punto, azzarderemmo un'idea. Fincher, regista "nero" per eccellenza, ha già compiuto un ottimo lavoro su un soggetto altrui, nel suo Millennium - Uomini che odiano le donne. Un progetto come questo, riteniamo sarebbe molto nelle sue corde. Se, d'altronde, di remake si deve patire, molto meglio registi degni di tale nome, a un Jim Sonzero qualunque. O no?
3) Exiled
Altro progetto di cui si sono perse le tracce, annunciato dopo il trionfo dello scorsesiano The Departed. D'altronde, in questo noir d'azione (sicuramente tra i suoi più belli) Johnny To prende a prestito moltissimo dal cinema occidentale, specie dagli antieroi di Sam Peckinpah: rileggendone l'epica col suo approccio lucido, cinico e pessimista, appena nascosto dalla confezione sfavillante dell'action movie. Portare tali temi in terra americana poteva essere (per una volta) operazione interessante. Azzardiamo un nome: Michael Mann. Sappiamo che, anche in questo caso, parliamo di fantascienza (o giù di lì): un progetto del genere, il regista di Nemico pubblico - Public Enemies non lo realizzerebbe forse per pura tigna. Ricordiamo le sue parole quando, di fronte a chi aveva visto analogie tra il suo Heat - La sfida e l'hongkonghese Organised Crime & Triad Bureau, definì il cinema di Hong Kong "merda fumettistica". Poco conta, poi, che tutta la sua filmografia sia infarcita di riferimenti a quel cinema, e in particolare al suo periodo d'oro: caratteristica dei grandi artisti è, spesso, anche quella di avere un ego di una certa consistenza. Caratteristica in questo caso, invero, più che giustificata.
Tra gli horror coreani meno noti, e più ingiustamente sottovalutati, è il film che, in piena esplosione J-Horror e derivati, ha avvicinato molti appassionati a quella cinematografia. Era il 1999, i produttori volevano un sequel del precedente Whispering Corridors, una ghost story usa e getta: i registi Kim Tae-Yong e Min Kyu-Dong hanno invece creato un tenero e potente melodramma, che usa solo la patina horror per raccontare l'amore tra due ragazze adolescenti, in un contesto gretto e retrogrado come quello di un liceo della Corea del Sud. Narrazione stratificata, non lineare, fantasia visionaria ai massimi livelli, mood melò in primo piano. Difficile pensare a un'ambientazione occidentale moderna, per una storia del genere: ma basterebbe spostare la vicenda nell'America di qualche decennio fa, per renderla più che credibile. Anche qui avremmo un'idea per eventuale regista: non è americano, ma ormai è stato "prestato" in pianta stabile a Hollywood. Insomma, il Peter Jackson pre e post-Terra di Mezzo sembrerebbe avere sia l'attitudine, sia la fantasia per proporre un progetto del genere. Il mirabile Creature del cielo, e il meno riuscito ma affascinante Amabili resti, mostrano bene la capacità del regista di spaziare nei due registri (visionario e melò) che sarebbero necessari. Resterà un sogno, con ogni probabilità. Ma, per questo come per gli altri titoli che abbiamo citato, non dimentichiamo mai che l'originale è lì, a portata di mano. 1) Audition
Solo una volta il cinema di Takashi Miike è stato oggetto di remake: parliamo dell'orrido (e non nel senso buono) Chiamata senza risposta, versione americana del suo J-Horror The Call - Non rispondere. Se proprio si volesse rifare il cinema di Miike (termine che già suona, in sé, un po' paradossale: visto il suo carattere di oggetto a sé, non replicabile) perché non puntare in alto? Quello che vede protagonista la psicopatica Asami è senz'altro uno dei titoli più rappresentativi della sterminata, e variegatissima, filmografia del regista giapponese. Le sue inquietudini affondano in certa società nipponica, in un'idea patriarcale dei rapporti familiari e della figura femminile, ma anche in una dialettica tra ideale e concretezza (e più in genere tra sogno e realtà) che potrebbe essere replicata altrove. Non azzardiamo nomi, stavolta, per un ipotetico progetto come questo. Forse, neanche ce ne sono. Comunque, si dovrebbe trattare di qualcuno molto coraggioso: per ciò che dovrebbe mostrare, e soprattutto per come dovrebbe farlo.