Pronti, partenza, via. Sarà una banalità, ma non si può vedere tutto, non si può conoscere tutto. Anzi, rivendichiamo anche il diritto a non conoscere ciò che conoscono tutti. Del resto, per scoprire le cose - un film, un libro, un album - c'è sempre tempo. Figuriamoci oggi, quando il cinema, con lo streaming, vive una vita pressoché infinita. Così, prima di assistere ad Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente entriamo in sala con la consapevolezza di essere un caso abbastanza raro, e lo ammettiamo: chi scrive non ha mai guardato la saga di Hunger Games, tantomeno letti i libri da cui è tratta. A grandi linee, però, conosciamo la vicenda di Katniss Everdeen che, oltre a lanciare Jennifer Lawrence, ha anticipato una certa poetica riguardante le eroine femminili.
Conosciamo anche diversi frammenti del contesto: un mondo distopico pericolosamente diviso. I ricchi sono cattivi, i poveri sono vessati. Di più, non sappiamo. Dunque, l'idea stuzzica: affrontare una saga con dieci anni (o quasi) di ritardo da Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 2, gustando quella che si rivelerà una storia sull'origine del male, e di quanto il male stesso non sia indotto, ma piuttosto acquisito tramite scelte, esperienze, traumi. Perché, oltre essere l'origin story del cattivone Coriolanus Snow (interpretato da Tom Blyth), Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente diretto da Francis Lawrence, e tratto dal romanzo di Suzanne Collins, è un ottimo esempio di cinema pop, ben girato, ben interpretato, ben scritto.
Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente: altro che young-adult, questo è un film maturo
Fin da subito, superando la sensazione posticcia tipica di certe pellicole fantasy, entriamo nel vivo dell'atmosfera, venendo colpiti dall'indole anarchica che si scontra con un mondo forgiato da un grande conflitto, che ha generato una realtà - appunto distopica - dominata dal forte squilibrio. Prestando una capillare attenzione, consci di essere dei novelli, eccoci in questa grigia nazione chiamata Panem, in cui svetta la megalopoli Capitol City, che tanto ricorda per struttura e atmosfera le capitali sovietiche, anche se poi i riverberi sociali e politici appartengono ad un immaginario universale, e purtroppo attuale. Attorno a Capitol City, ci sono tredici distretti, abitati dal popolo riottoso, in quanto soggiogato dal dominio delle classi più ricche, che detengono il potere sociale - e qui c'è una connessione con la contemporaneità degli USA post-Trump, segnata da divisioni, minoranze, ingiustizie.
E, via via che Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente prende forma, anche grazie all'introduzione dei personaggi, restiamo profondamente colpiti. Non tanto per l'originalità della vicenda, quanto per i suoi riverberi politici, che incontrano una certa riconoscibilità. Restiamo sorpresi perché credevamo di assistere ad un racconto young-adult (senza nulla togliere), e invece eccoci davanti un film mainstream che non ha paura di essere politico, e anche decisamente drammatico nelle sue svolte e nei suoi pretesti.
Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente, recensione: dalla parte del villain
La parte giusta della Storia
Suddiviso in tre atti, La ballata dell'usignolo e del serpente, segue le corde emotive e sociali di una Nazione spaccata in due: l'ideologia dominante, relativa allo status quo, alla dittatura, al capitalismo, viene riversata nell'annuale Mietitura messa in scena durante gli Hunger Games, facendo scontrare fino alla morte una dozzina di 'tributi' provenienti dai distretti. Tra loro, ecco Lucy Gray Baird, con il volto di Rachel Zegler. Personaggio eccezionale nella concezione, capace di portare avanti la giusta rivoluzione intonando ballate country, diventando simbolo di una rivoluzione che sposiamo in pieno. Comprendiamo che Lucy, al contrario di Coriolanus, presente nella saga di Katniss, sia un personaggio istantaneo, e in qualche modo frutto dell'attualità: del resto, il prequel di Hunger Games pare uscito dalle cronache di un'epoca segnata dall'oscurità, dalle divisioni, dalle guerre e dai drammi. Un popolo, fuori da Capitol City, ghettizzato e svilito, reso succube e delegittimato del proprio territorio. Un popolo che in qualche modo prova a resistere, opponendosi alla dittatura, alle armi, all'egemonia del potere.
Una trovata narrativa folgorante, se pensiamo al contesto contemporaneo, a cui si unisce la messa in scena di Francis Lawrence. Il regista osserva dal basso la scena, ampliando l'immagine con il grandangolo, senza mai edulcorare l'inquadratura, anzi spingendo, quando serve, sulla violenza e la crudezza. È questo, più dello spettacolo, più dell'epica o della costruzione malvagia di Coriolanus Snow, la vera indole inattesa di Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente. Perché, anche senza conoscere nulla del franchise - e magari perdendo qua e là qualche i riferimenti e le citazioni - siamo rimasti davvero esterrefatti e coinvolti, lasciandoci in eredità il valore di un racconto che, esplorando il male, illumina invece la parte giusta della Storia. Più attuale di così...