Da qualche anno uno dei prodotti di punta di Netflix, per quanto riguarda l'animazione dal target adulto, è Big Mouth, esilarante racconto degli orrori della pubertà che si basa liberamente sulle vere esperienze degli autori, tra cui il comico Nick Kroll (che presta anche la voce al proprio alter ego giovanile). Un successo dovuto in non piccola parte alla componente surreale, con gli ormoni e gli scombussolamenti emotivi rappresentati fisicamente da creature di vario genere. E proprio lì si va a parare con il nuovo spin-off dello show, di cui parliamo in questa recensione di Human Resources: dieci episodi ambientati per lo più nel mondo di queste strambe, esilaranti entità, un modo efficace per ingannare l'attesa mentre si aspetta il ritorno della serie madre. N.B. La recensione, senza spoiler, si basa sulla visione in anteprima della stagione completa.
L'ufficio dei mostri
Come indica il titolo (con accezione ironica), Human Resources si svolge principalmente all'interno dell'azienda che coordina le attività dei vari Hormone Monsters, Shame Wizards e altri. Qui ritroviamo alcuni dei popolari comprimari di Big Mouth, in particolare Maury (Nick Kroll) e Connie (Maya Rudolph), il cui rapporto di amore-odio è ai massimi livelli in un posto dove le emozioni non hanno filtri. Tra i nuovi personaggi ci sono Peter (Randall Park), una roccia antropomorfa che incarna la logica, e Dante (Hugh Jackman), un angelo che rappresenta le dipendenze. E poi c'è Emmy (Aidy Bryant, da dieci anni una delle colonne portanti del cast di Saturday Night Live), nuova recluta nel reparto dei lovebugs, che deve occuparsi di una neomamma di nome Becca. Solo che lei non è mai stata particolarmente attratta da incarichi che richiedono grandi responsabilità, e questo potrebbe avere conseguenze in tutto l'ufficio, dove i comportamenti scorretti sono talmente contagiosi che ai mostri ormonali è stato espressamente vietato di fare sesso sul posto di lavoro.
Big Mouth 5, recensione: l'anno dell'amore e dell'odio su Netflix
Un lavoro dall'altro mondo
Laddove Big Mouth è un coming of age dove il pathos e la sincerità vanno di pari passo con lo humour scatologico e sessuale, lo spin-off si avvicina maggiormente all'ambito della workplace comedy, caposaldo del piccolo schermo statunitense. Pertanto, rispetto alla serie madre c'è un canovaccio più riconoscibile, per quanto condito dalle solite trovate surreali e a volte anche metatelevisive (Walter, uno dei protagonisti, a un certo punto esclama "Spero che gli sceneggiatori vi facciano morire tutti, voglio un cast nuovo nella prossima stagione!"). Praticamente un The Office ad alto tasso di "That's what she said!", con la differenza che oltre al dire c'è anche il fare. Un meccanismo efficace, ma penalizzato dalla decisione di avere comunque un arco narrativo nel mondo umano, perché le problematiche degli adulti sono generalmente meno interessanti da approfondire rispetto ai corrispettivi adolescenziali dello show principale. Fa eccezione il magnifico episodio sul lutto, che è duplice: i titoli di coda iniziano con una dedica alla memoria del compianto attore comico Willie Garson, che un paio d'anni fa era tra gli ospiti vocali della serie madre.
The Office: i 10 migliori episodi
Rimane la forza dirompente del mondo dei mostri, con nuovi territori da esplorare sul versante dell'animazione, da sempre al suo meglio all'interno del franchise quando si concede viaggi in altri universi. E rimane il grande impatto satirico misto a occasionali, mirate parodie che lasciano il segno. Nella fattispecie, sfruttando le abilità imitatorie di Kroll, gli autori ne approfittano per regalarci uno sfottò di Rocky III (con piccoli sprazzi del quarto capitolo) che è già una delle gag più belle dell'intero universo di Big Mouth. Perché anche se non ha per forza qualcosa di propriamente nuovo da dire, la serie lo dice con brio e irriverenza, ponendosi come un titolo che può attirare spettatori nuovi oltre ai fan di vecchia data, dal momento che l'impostazione umoristica non è esattamente la stessa. E quando si arriva al termine di ciascuno dei dieci capitoli, la tentazione di divorare immediatamente quello successivo è davvero irresistibile. Come recita la canzone di Janelle Monae che funge da sigla, it's just the way you make me feel. Un feeling molto positivo, all'insegna del bingewatching di qualità.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Human Resources, sottolineando come lo spin-off di Big Mouth approfondisca il mondo dei mostri e arricchisce con la solita irriverenza il catalogo di Netflix nell'ambito dell'animazione per un pubblico adulto.
Perché ci piace
- I personaggi mostruosi funzionano anche in dosi maggiori.
- L'animazione rimane di altissimo livello.
- Le gag sono micidiali.
Cosa non va
- Le storyline umane sono un po' meno efficaci.