Difficile credere che siano passati già 10 anni dall'uscita in Italia di Hugo Cabret, unico film per ragazzi di Martin Scorsese, eppure è davvero così. Lo si nota da come il cinema sia cambiato in questo decennio, abbandonando la visione con gli occhiali 3D e trovando vitalità nelle saghe, nei grandi eventi e nello spettacolo. È cambiato anche il cinema dello stesso Scorsese, che in un decennio ha toccato il successo con The Wolf of Wall Street, il clamoroso flop con Silence e ha iniziato a realizzare film direttamente per le piattaforme streaming. Un cambiamento che il regista italoamericano ha pure criticato con le accese dichiarazioni che tanto hanno dato scalpore qualche anno fa. Sembra ieri quando Scorsese metteva in scena un romanzo illustrato di Brian Selznick e dava vita, proiettandola sullo schermo e invitandoci -grazie all'uso del 3D- a porci in mezzo a lei, alla gioia del cinema. Perché Hugo Cabret, dopo un decennio in cui il panorama è radicalmente cambiato, non ha perso nemmeno la minima parte di energia e magia che rappresenta.
Inizia tutto dal treno
Da un cineasta cinefilo come Martin Scorsese era lecito aspettarsi molto di più di un semplice film per famiglie. E, infatti, oltre all'avventura e il mistero che Hugo e Isabelle dovranno risolvere, questo piccolo capolavoro degno di 5 premi Oscar è anche un testo teorico di cinematografia. A partire dall'inizio e dalle primissime inquadrature. I meccanismi di un orologio si dissolvono tra le vie e le piazze della città di Parigi, meccanismi che si ritroveranno riferiti all'automa di Méliès, quindi alla macchina che rappresenta e riconosce il nome del celebre regista, evidenziando sin da subito il legame tra il mondo e la settima arte. Scorsese rende cinefilo il film dalla prima inquadratura: tutto è cinema, sembra dirci. Per questo la macchina da presa aerea, inizia a viaggiare, con una ripresa fisicamente impossibile all'interno della stazione ferroviaria. Non è passato nemmeno un minuto dall'inizio del film e subito Hugo Cabret mette in scena la macchina-cinema, portando lo sguardo dello spettatore all'interno di quella magia, di quel mondo possibile, di quella visione che solo l'artificio può donare. Ribaltando il celebre film dei fratelli Lumière, stavolta non è l'arrivo di un treno alla stazione che dà inizio alla storia cinematografica, ma l'arrivo del pubblico alla stazione dei treni.
Espandere lo sguardo
Hugo Cabret era un esperimento, o forse un naturale sviluppo di quella ricerca dell'esperienza collettiva che corrisponde all'azione di guardare lo schermo. Pensato e ragionato per essere visto in 3D (il che lo rendeva uno dei pochi film che valorizzava l'espediente), il film di Scorsese rifletteva anche su questo punto d'arrivo (per l'epoca) delle possibilità dello sguardo dello spettatore. La carrellata iniziale sorpassa i binari della stazione, procede sino all'atrio, obnubilando gli occhi del pubblico con un po' di fumo. Pone lo sguardo sul grande orologio dove, al suo interno, il giovane Hugo sta osservando quello che sta accadendo, con il viso racchiuso all'interno del numero. Hugo sta guardando la vita, il mondo della stazione, dal meccanismo stesso del tempo. Come un proiezionista controlla lo svolgersi del film. Come noi, anche lui è uno spettatore immerso nel cinema. Poco prima della comparsa del titolo, infatti, Hugo rimette in moto il meccanismo dell'orologio, così come, più avanti, rimetterà in moto l'anima cinefila di Méliès. Il tempo e il cinema: per Scorsese è tutto connesso (gli ingranaggi come strade della prima inquadratura). Il cinema evolve e con lui anche lo sguardo dello spettatore. Allo stesso tempo, quest'evoluzione è sempre fedele a sé stessa, perché, sotto la superficie, permane il solito elemento principale: la magia.
Viaggiare sulla luna
Qual è il ruolo del cinema nella nostra vita? È questa, alla fine, la domanda che Scorsese sembra porre, a noi e a sé stesso. La magia che tanto viene anelata nel corso del film trova finalmente espressione quando i due protagonisti ascoltano il suono di un vecchio proiettore (che funziona compiendo movimenti simili a quelli che compie Hugo quando si tratta di orologi). La meraviglia avviene con un vecchio film in bianco e nero, muto, dalla pellicola rovinata, ben distante dalla qualità audiovisiva del digitale del 2012. Il film è il Viaggio nella luna di Méliès, che lentamente si colora, attraverso i fotogrammi dipinti a mano. Non ce ne rendiamo ancora conto, ma Scorsese, in queste scene quasi didattiche, sta mostrando il meccanismo del cinema e come viene creata la magia. La scelta dei costumi, le scenografie, il montaggio, ma soprattutto l'immaginazione. Se i fratelli Lumière vedevano la loro invenzione destinata a morire, è il genio di Méliès a creare il cinema così come lo conosciamo oggi. E come continua ad essere. "Eravate bellissima" commenta Isabelle. "Lo è ancora" risponde Méliès. Il tempo finalmente si fonde, passato e presente si uniscono, non tanto per la nostalgia del personaggio, ma come dimostrazione che l'arte è senza tempo. E così è il fascino magnetico del cinematografo. A quel punto, la differenza tra un taglio di montaggio nel 1902 e una ripresa in piano-sequenza centodieci anni più tardi, tra pellicola e digitale, tra bianco e nero e colore, non esiste più. Martin Scorsese scrive una lettera d'amore che travalica il tempo e che, a dieci anni dall'uscita, rimane ancora intrisa di passione e sentimento. Perché, per ogni cinefilo che si rispetti, il viaggio nella Luna sta ancora proseguendo. Stiamo ancora sognando.