Non c'è consolazione né in paradiso né in terra. Soltanto noi: piccoli, solitari, che lottiamo, combattiamo uno contro l'altro. Io prego sempre per me stesso, solo per me stesso.
Quando si dovrà tracciare un bilancio della cultura televisiva del decennio in corso, e magari esaminarne l'immaginario, possiamo essere sicuri di una cosa: Frank Underwood è uno di quei personaggi che resteranno nella memoria collettiva, perlomeno in quella della nostra generazione di spettatori. Moderno Riccardo III in una Casa Bianca 'alternativa' nei tempi di Barack Obama e Donald Trump, il protagonista di House of Cards è una di quelle figure grandiose e sinistre la cui fama ha già valicato il proprio contesto di riferimento per farsi paradigma di un'intera, precisa categoria di antieroi del piccolo schermo.
Ma quella di Frank Underwood è una fama che, oggi, ingloba al proprio interno gloria e scandali: con terrificante coerenza con la natura del personaggio, verrebbe da dire, alla luce di quanto accaduto lo scorso autunno e della mannaia che, con inattesa rapidità, si è abbattuta su una delle serie più acclamate dell'ultimo lustro. Infatti esattamente cinque anni fa, il 1° febbraio 2013, la prima stagione di House of Cards faceva il suo esordio sul catalogo Netflix, dando inizio a una parabola in procinto di concludersi da qui a breve. Una parabola che, in occasione di questo importante anniversario, proveremo ora a ripercorrere nelle sue fasi principali...
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L'era di Frank Underwood
Quando House of Cards, trasposizione dell'omonima miniserie britannica del 1990, viene lanciato su Netflix, per il servizio di streaming si tratta davvero della "prova del fuoco", almeno nell'ambito della sua produzione seriale: il fondamentale trampolino di lancio, la scommessa che è proibito fallire. Realizzato dalla penna del drammaturgo Beau Willimon, candidato all'Oscar per la sceneggiatura del film a sfondo politico Le idi di marzo, con i due episodi inaugurali affidati alla regia di un maestro quale David Fincher (anche produttore esecutivo), ma soprattutto con un attore della statura di Kevin Spacey nel ruolo principale, House of Cards è il titolo su cui Netflix punta tutto o quasi... e la sfida, visto l'immediato successo della serie, viene superata a pieni voti: entusiasmo diffuso fra critica e pubblico, una popolarità che si allarga a macchia d'olio e la vittoria, nel settembre 2013, di tre Emmy Award, incluso quello per la regia di Fincher.
Le ragioni di un tale trionfo sono da attribuire a vari elementi: l'eterna fascinazione per il dietro le quinte della politica, e in particolare per i corridoi del potere di Washington D.C.; il ritmo accattivante del racconto, con il canonico corredo di intrighi e colpi di scena conditi dai formidabili dialoghi di Willimon; e la performance, istrionica ma al tempo stesso perfettamente controllata, di un Kevin Spacey che domina implacabile la scena, costruendo puntata dopo puntata uno dei protagonisti più magnetici e adorabilmente 'odiosi' della TV odierna.
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Frank e Claire: un uomo e una donna alla Casa Bianca
Cinico, spregiudicato, machiavellico (nel senso più profondo del termine), del tutto privo di scrupoli, campione di doppiezza e alfiere di una propria etica fondata sull'affermazione individuale ("La storia è fatta di conquiste, fino alla morte. E non ti ricorderanno per le vittorie, ma perché non hai mai perso"): questo è Francis J. Underwood, detto Frank, capogruppo di maggioranza della Camera dei Rappresentanti sotto la direzione del Presidente degli Stati Uniti, il democratico Garrett Walker (Michael Gill), nonché sua eminenza grigia, ma con segreti propositi di rivalsa personale. E il ritratto offerto da Spacey, tra frequenti rotture della quarta parete e i superbi monologhi serviti dalle sceneggiature di Willimon e soci, è di quelli in grado di trasformare un semplice personaggio televisivo in un'icona immediatamente riconoscibile, oggetto di citazioni e parodie. Per House of Cards Kevin Spacey riceve cinque nomination all'Emmy come miglior attore, senza però mai riuscire ad agguantare la statuetta; in compenso, nel 2015 si aggiudica il primo Golden Globe della propria carriera grazie alla seconda stagione della serie.
Al suo fianco, a brillare è una Robin Wright a cui Beau Willimon regala uno dei suoi ruoli più importanti di sempre. Nella parte di Claire Underwood, donna gelida e calcolatrice quasi alla pari del marito, con il quale ha stretto un rapporto di reciproca collaborazione più simile a un'alleanza politica che non a un semplice matrimonio, la Wright ha modo di cimentarsi con una vasta gamma di sfumature: dalla fredda determinazione di una feroce business woman ai rari ma preziosi momenti di autentico sentimento, dalle incertezze abilmente mascherate alle logoranti crisi con Frank, sempre più frequenti con il trascorrere del tempo, fino a sfociare nella guerra aperta della quinta stagione. Proprio come Spacey, anche la Wright colleziona per House of Cards cinque nomination all'Emmy, mentre nel 2014 viene premiata con il Golden Globe come miglior attrice. In totale, le cinque stagioni di House of Cards raccolgono cinquantatré nomination agli Emmy Award e si portano a casa sette trofei, benché l'unico nelle categorie principali rimanga quello per Fincher nel 2013.
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Tutti gli uomini - e le donne - del Presidente
Da un anno all'altro, attorno a Frank e Claire Underwood gli autori assemblano una vasta galleria di comprimari che, fra rivalità, accordi, cambiamenti di fronte e pugnalate alle spalle, accompagnano i due protagonisti nella loro scalata al "trono di sangue", ovvero alla Presidenza degli Stati Uniti. Fra i personaggi che lasceranno il segno nelle varie tappe del percorso di House of Cards, vale la pena ricordare almeno alcuni dei più rilevanti: il solerte braccio destro di Underwood, Doug Stemper (Michael Kelly); la giovane reporter del fittizio Washington Herald, Zoe Barnes (Kate Mara), che stringerà con Frank un rapporto di collaborazione dal tragico esito; il deputato di belle speranze Peter Russo (Corey Stoll), una delle prime vittime di Underwood (in tutti i sensi).
E poi ancora, durante e dopo la prima stagione, il lobbista Remy Danton (Mahershala Ali, futuro attore da Oscar), l'ambigua deputata Jackie Sharp (Molly Parker), la senatrice e Segretario di Stato Cathy Durant (Jayne Atkinson) e le nuove "spine nel fianco" di Underwood: la sua rivale di partito Heather Dunbar (Elizabeth Marvel) e il giovane candidato repubblicano alla Presidenza Will Conway (Joel Kinnaman), fino ad arrivare alle new entry delle ultime stagioni, come la consulente LeAnn Harvey (Neve Campbell) e l'esperta di relazioni internazionali Jane Davis (Patricia Clarkson).
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Finale di partita: l'affaire Spacey
Dopo gli elogi unanimi dei suoi primi capitoli, House of Cards continua a raccogliere riconoscimenti e a godere di un solido seguito in termini di audience. Bisogna registrare, però, che il consenso di critica e appassionati mostra le prime tracce di cedimento: alla serie viene imputato sempre più spesso un netto sensazionalismo nella sua descrizione dei salotti di Washington D.C. e dei loschi meccanismi della politica, spesso a scapito della verosimiglianza o della coerenza narrativa. La serie, comunque, prosegue col vento in poppa fino alla sua quinta stagione, rilasciata nel marzo 2017, secondo un formato diventato un autentico marchio di fabbrica; e, a onor del vero, pur con qualche smagliatura continua a vantare innumerevoli punti di forza, in primis la capacità di intrattenere in maniera sopraffina il proprio pubblico muovendosi al confine fra dramma di alta classe e guilty pleasure.
Finché il 30 ottobre 2017, proprio quando il set della serie è appena stato riaperto per l'avvio delle riprese della sesta e definitiva stagione, ecco cadere la "tegola in testa" che di colpo assume la portata di una frana inarrestabile: la pioggia di accuse di molestie sessuali rivolte a Kevin Spacey, accuse che riguardano in particolare il suo ambiente di lavoro. Mentre lo "scandalo Spacey" assume dimensioni sempre più vaste, tanto da far emergere anche le passate lamentele di alcuni operatori della troupe di House of Cards, Netflix corre ai ripari in fretta e furia: nell'arco di poche ore arriva la conferma che la serie si fermerà con la sesta stagione. Una stagione in cui, tuttavia, a Frank Underwood sarà riservata probabilmente solo una fugace apparizione: il 3 novembre, infatti, Kevin Spacey viene licenziato in tronco da Netflix, lasciando sulle spalle di Robin Wright e della sua Claire il peso di una conclusione che, a questo punto, prenderà per forza di cose direzioni ben diverse rispetto al progetto originale.
In sostanza, un "finale di partita" a dir poco bizzarro, e di sicuro sorprendente, per una serie che ha segnato un capitolo importante di storia della TV; pure - un dato da non sottovalutare - per aver spianato la strada al successo mainstream di Netflix e di altri servizi di streaming nel panorama della serialità televisiva. E quando, di qui a qualche mese, House of Cards ci presenterà il suo epilogo, questo sesto e ultimo atto ci offrirà anche l'inevitabile canto del cigno di uno dei più talentuosi attori della nostra epoca: un attore di cui difficilmente, nel prossimo futuro, torneremo a sentir parlare in virtù del suo lavoro.