Affascinante e letale. Ispirazione e condanna. Lo spazio profondo è un luogo infido. Paradiso o inferno per moderni Ulisse. Dentro ci puoi trovare rotte impensabili e scoprire nuove meraviglie oppure perdere la bussola, venire inghiottito dalla tua stessa ambizione. La fantascienza questo lo sa bene. Lei e il suo spingersi più lontano per andare più nel profondo. Lei e il suo testardo affidarsi a viaggi che puntano verso l'altro, sfidano stelle, pianeti, buchi neri solo per scavare nell'essere umano. High Life fa entrambe le cose, va avanti (nello spazio)e va dentro (le persone), perché il film di Claire Denis si iscrive con coraggio e raffinatezza nel club della grande fantascienza filosofica.
Nel tocco lieve, nelle immagini evocative, nella narrazione lenta e poi capace di irruenta violenza ci abbiamo ritrovato lo stesso stile paziente di Denis Villeneuve, che con Arrival e Blade Runner non ha fatto altro che parlarci di memoria, linguaggio e ricordi; la stessa ferocia con cui Ex Machina ha esplorato le contraddizioni dell'animo umano. Eppure High Life non segue nessuna scia, ma viaggia verso mete tutte sue. Come la navicella spaziale 7, diretta verso una missione suicida. A bordo ci sono solo reietti: criminali condannati all'ergastolo o alla pena di morte, feccia dell'umanità, carne fresca per disperati esperimenti sulla riproduzione umana. Però, descrivere High Life soffermandosi sulla trama sarebbe sprecato e limitativo. Perché il film di Claire Denis non trova certo nell'intreccio la sua forza.
Più suggestivo che narrativo, più evocativo che legato a una sceneggiatura dove non tutto viene spiegato e approfondito, High Life è un raffinato esperimento di fantascienza antropologica. Un saggio visivo che descrive l'umanità in maniera dolce e balorda, feroce e tenera. Un film che non si perde nello spazio profondo, ma trova una scintilla di speranza nel buio pesto dell'essere umano.
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Nel ventre della disperazione: una trama intimista
Un uomo e una bambina. La piccola Willow e Monte. Monte e la piccola Willow. Nessun altro a bordo delle navicella dei disperati. E tutto attorno il nulla. Silenzi, suoni ovattati e la frustrazione di un sopravvissuto condannato alla solitudine, costretto persino a badare a qualcun altro. Lento nell'incedere e paziente nel rivelarsi, High Life invita a bordo di un film avvolto da un'atmosfera claustrofobica e decadente. Non vi aspettate azione, perché rimarreste delusi. Anche se privo di reale tensione (manca una minaccia esterna vera e propria), questa distopia interstellare trova il Male più grande e imprevedibile dentro l'essere umano mentre assume le fattezze di un'esperienza immersiva. Grazie a una regia scrupolosa e attenta a ogni gesto, movimento e abitudine, High Life avvolge, disturba e inquieta grazie a una messa in scena asfissiante degli spazi.
Robert Pattinson, una performance centrale
Lo spazio che interessa lo sguardo acuto di Denis non è tanto quello infinito al di fuori della navicella, ma la prigione in cui sono condannati i suoi personaggi. Tra luci intermittenti, risorse minime e suoni ovattati, sembra di muoversi dentro placenta, dentro corridoi angusti che ci riportano alla Nostromo di Alien o nei luoghi del videogioco Dead Space. Questo vincolo spaziale fa sì che la performance di Robert Pattinson (quasi sempre in scena) diventi centrale, con l'attore londinese abilissimo nel vestire i panni di un uomo che prova a reprimere a oltranza sia le frustrazioni che gli istinti più bassi. Perché per High Life il sesso è un filtro attraverso cui provare a capire di che pasta siamo fatti.
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Odissea nel sesso e nell'amore
Padri, figlie e buchi neri. Se Interstellar era un'epopea sull'amore, High Life usa il sesso per raccontare il vuoto relazionale in cui galleggiamo. Sulla Terra o a bordo della navicella ogni persona è lontana anni luce dall'altra, e tutti costruiscono rapporti in cui tentare di dominare l'altro. Per questo il sesso più spinto e viscerale riesce a rappresentare bene tutta la violenza di cui siamo capaci. Ed è un sesso quasi privo di piacere, un sesso che sfocia in una masturbazione fredda e meccanica dove è possibile fare a meno di un'altra persona. In mezzo a questa anestesia d'amore, il voto di castità di Monte sembra quasi una cura per provare a trattenere un briciolo di empatia.
Attraverso un abuso di liquidi (saliva, sangue, sperma), High Life sembra quasi voler trovare un fluido che serva da collante. L'unico è la placenta, ovvero il vincolo di sangue che lega i genitori ai propri figli. Ed è proprio in questi momenti genitoriali che il film trova i suoi insperati sprazzi di luce attraverso poche parole e pochi gesti pieni di dolcezza. Disturbante, anarchico e respingente, High Life è un film che potrebbe rimanere indigesto. Un film che non accarezza lo spettatore, ma lo sfida ad esplorarlo per ricavarne il senso. Un film sullo spazio che chiede al pubblico di diventare impavidi astronauti.
Movieplayer.it
4.0/5