La storia d'amore perversa tra cinema e serial killer è ormai divenuta una delle più longeve della vita della Settima Arte, eppure non è nata, come si pensa, con un colpo di fulmine o con un'intesa immediata. C'è infatti voluto un cortocircuito, un trauma inizialmente respingente, prima di lasciarsi andare ad una sbornia che dura tutt'ora e, come nelle "storie che contano davvero", è alimentata da accorgimenti e piccole attenzioni quotidiane.

Heretic, la pellicola di Scott Beck e Bryan Woods con protagonista il mefistofelico Signor Reed portato sapientemente in scena da Hugh Grant (al cinema dal 27 febbraio con Eagle Pictures), non è solo l'ultimo tassello di questo grandissimo mosaico in espansione, ma ci permette di parlare anche dell'elemento che più di tutti ha permesso il successo di questo legame: l'introduzione dell'analisi della patologia mentale. Introduzione talmente decisiva da diversificare il "genere con il serial killer", cominciando a crearne di subalterni.
Il più famoso è probabilmente quello relativo a protagonisti con doppia personalità o, per dirla in modo scientifico, disturbo dissociativo dell'identità (precedentemente chiamato disturbo di personalità multipla). Una patologia attrattiva dal punto di vista immaginativo perché utile a creare un ponte identificativo tra lo psicopatico e il pubblico e, parallelamente, sconvolgerlo per il suo sfuggire alle logiche razionali, creando nella narrazione quell'idea di caos così significativa da un punto di vista semantico, ma anche efficace per creare intrattenimento.
Perché il cinema ama i serial killer con DID

Secondo il DSM-5-TR, ovvero l'ultima versione del "Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders", il disturbo dissociativo dell'identità (DID) è definito, aggiornando la vecchia visione presente nella Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (o ICD-10), come una "disgregazione dell'identità caratterizzata da due o più stati di personalità distinti, che in alcune culture può essere descritta come un'esperienza di possessione. La disgregazione dell'identità comprende una marcata discontinuità del senso di sé e della consapevolezza delle proprie azioni, accompagnata da correlate alterazioni dell'affettività, del comportamento, della coscienza, della memoria, della percezione, della cognitività e/o del funzionamento sensomotorio".
Una definizione che nel corso del tempo è stata ovviamente dibattuta e che ancora oggi evoca notevoli perplessità, segno di una patologia talmente complessa, variegata e, purtroppo, facilmente equivocabile, soprattutto nella fase diagnostica. Una sola cosa è certa ed è centrale in ogni descrizione: la presenza del caos esistenziale nell'individuo, dovuto all'alternarsi delle varie identità e le amnesie che ne conseguono. Che è poi ciò che, come detto sopra, ha attratto tutti i vari narratori che si sono imbattuti nella patologia, anche prima di una sua reale codificazione o riconoscimento reale, ufficializzato in un certo senso solo nel 1978 con la sentenza del processo a William Stanley Milligan, autore del rapimento e stupro di tre studentesse universitarie, giudicato non colpevole per infermità mentale dovuta proprio al disturbo di personalità multipla.

La vicenda fu raccontata nel best seller di Daniel Keyes, Una stanza piena di gente, 1981, il quale ha, ovviamente, sin da subito stuzzicato un possibile adattamento per il cinema. Oltre a quello non ufficiale, ovvero Split del 2016 di M. Night Shyamalan con James McAvoy nei panni di Kevin Wendell, si è a lungo chiacchierato di un possibile lungometraggio con protagonista Leonardo DiCaprio e con James Cameron alla regia, con il titolo ipotetico di The Crowded Room. Il film non si è poi mai fatto, ma il progetto ha dato alla luce nel 2023 una miniserie firmata Apple TV+ con Tom Holland nei panni di Billy.
Da Psycho a Heretic, una grande Storia d'amore

L'ispirazione è stata, quindi, sempre la realtà. Fin dall'inizio, fin dal debutto del serial killer con DID, avvenuta per distruggere, gettare nel caos (di nuovo) l'ottimismo sociale, politico, ed economico dilagante degli anni 50' degli Stati Uniti con il ciclone Norman Bates, ispirato al criminale Edward Theodore Gein e portato in scena da Anthony Perkins. Il protagonista di Psycho di Alfred Hitchcock (che conta tre sequel, una serie prequel e un remake) è stato il primo serial killer archetipico della Storia del cinema, quello che ha creato una corrente amatissima dal pubblico e incredibilmente utile all'evoluzione del mezzo e al suo potenziale immaginativo. Il serial killer permetteva all'horror di descrivere la realtà e, in più, poneva nei ritratti antropologici e psichici una variabile oscura, quasi fantastica, ma comunque possibile. Nel cinema la follia è stata e ed è ancora oggi l'assassino con personalità multiple.
Ci sono degli attori che hanno fondato una buona parte della propria carriera con personaggi di questo tipo, come Edward Norton, che, prima ancora di Fight Club, debuttò nei panni del serial killer Roy / Aroon Stampler in Schegge di paura di Gregory Hoblit del 1996 con un interpretazione folgorante. Un film che cavalcava l'onda di una sorta d'exploitation del serial killer alla Bates emersa tra fine anni '80 e inizi '90. Essa ha avuto, guarda caso, tra i suoi esponenti Brian De Palma, uno degli eredi principali di Hitchcock, con il suo Doppia personalità del 1992 con John Lithgow e le sue 5 identità, appena poco successivo a, per esempio, Misery non deve morire di Rob Reiner del 1990, che rilanciò per gli anni a venire il tema della psicosi legata al serial killer grazie alla figura di Annie Wilkes, creata da Stephen King e portata in scena da Kathy Bates (anche se in questo caso non parliamo di DID).

Grandi film, grandi personaggi e, soprattutto, grandi prove interpretative dunque. Heretic, da buon esponente del cinema legato a questa tradizione, punta molto anche su questo, permettendo a Hugh Grant di divertirsi e di dare fondo a tutte le sue capacità, ma anche alle voglie attoriali per portare sul grande schermo un protagonista credibile e meritevole di entrare in una lista d'élite per il mondo del cinema. Di quelle che possono essere paragonate agli album di ricordi, pieni di foto e volti delle grandi Storie d'amore.