Dio è morto! Solo Satana vive nel mondo!
L'incipit - famosissimo - di Rosemary's Baby, un piano sequenza di quasi due minuti, ci offre una panoramica dello skyline di Manhattan per inquadrare infine il Dakota Building, uno dei più suggestivi edifici dell'Upper West Side: il luogo che, nel corso delle due ore successive, sarà il teatro della tenebrosa storia di Rosemary Woodhouse (Mia Farrow), la giovane donna in procinto di trasferirsi in uno degli appartamenti dell'antico complesso residenziale insieme al marito Guy (John Cassavetes).
Sempre su un edificio è costruita la sequenza d'apertura del film Hereditary - Le radici del male, ma un edificio assai particolare: si tratta infatti di una ricostruzione in miniatura della casa della famiglia Graham. Lo zoom della macchina da presa ci trasporta fin dentro la camera da letto del sedicenne Peter (Alex Wolff), svegliato dal padre Steve (Gabriel Byrne), creando un'anomala sovrapposizione fra i piani della realtà e della mimesi. Insomma, un'autentica mise en abîme, ovvero uno scenario che, al proprio interno, contiene la riproduzione di uno stesso soggetto: nello specifico l'abitazione dei Graham, altro esempio di "casa maledetta" che, come l'appartamento newyorkese dei Woodhouse, diventerà la cornice di un horror in grado di scavare in profondità nelle inquietudini dello spettatore.
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L'eredità di Rosemary's Baby, cinquant'anni dopo
Presentata lo scorso gennaio al Sundance Film Festival e distribuita nelle sale americane da A24, la compagnia che ha patrocinato altri horror indipendenti quali Green Room, It Comes At Night e l'ottimo The Witch, l'opera prima del giovane regista e sceneggiatore Ari Aster si è imposta come un piccolo fenomeno in patria: non tanto in termini di incassi, comunque ragguardevoli (quaranta milioni di dollari nel primo mese di programmazione), ma soprattutto per l'attenzione e i dibattiti riservati da critici e appassionati a un prodotto che si pone in maniera decisamente innovativa rispetto ai canoni del genere di riferimento. Perché Hereditary - Le radici del male si rivela un film sorprendente e multiforme, pur senza perdere di vista alcuni importanti modelli di riferimento, di cui Aster sembra aver assimilato appieno la lezione.
Ma se c'è uno specifico film da cui Hereditary dimostra di aver appunto 'ereditato' diversi spunti narrativi, evitando tuttavia la citazione fine a se stessa, questo è proprio il classico che Roman Polanski ha tratto dall'omonimo romanzo di Ira Levin. È singolare come cinquant'anni esatti separino Rosemary's Baby, il cui esordio risale al 12 giugno 1968, dal film di debutto di Ari Aster, uscito negli Stati Uniti l'8 giugno 2018: due opere lontanissime nel tempo, ma in qualche modo in relazione l'una con l'altra. E su queste relazioni vogliamo provare a soffermarci attraverso un confronto tra Hereditary e Rosemary's Baby: un'analisi incrociata per il quale sarà necessario fare esplicito riferimento a elementi della trama di entrambi i film (ragion per cui vi consigliamo la lettura solo a visione ultimata).
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Annie e Rosemary: la paranoia delle madri
La prima e più immediata analogia fra le pellicole di Polanski e di Aster risiede ovviamente nei personaggi al centro di entrambi i racconti: la Rosemary Woodhouse di Mia Farrow coltiva il desiderio di una prossima maternità; Annie Graham, interpretata da un'impressionante Toni Collette, che invece si è già formata una famiglia, si sente turbata dalla recente scomparsa della madre, Ellen Leigh, a cui la legava un rapporto conflittuale e dai tratti quasi vampiristici. Per Rosemary, la gravidanza sarà fonte di ansie via via più pressanti, con dolori fisici e un crescente senso di nevrosi; mentre Annie, in apparenza una madre premurosa e amorevole, rivelerà a poco a poco un segreto malessere rispetto al proprio ruolo materno: un malessere che in precedenza, durante gli episodi di sonnambulismo della donna, si è tradotto addirittura in una minaccia per la vita dei suoi figli.
Nel 1968, parte della forza dirompente di Rosemary's Baby consistette nell'utilizzare l'esperienza della maternità come strumento di suspense, rovesciando la gioia per una nuova vita in arrivo in un'angoscia opprimente e senza scampo. Hereditary prosegue su quel solco, ma in chiave psicologica: in uno scioccante scambio di battute, Annie confessa al primogenito Peter (e in parte anche a se stessa) di non aver mai voluto essere sua madre e di aver tentato in tutti i modi di procurarsi un aborto. Polanski e Aster pongono queste donne sofferenti al centro della scena: Rosemary è l'unico elemento di focalizzazione offerto allo spettatore per tutto il film, mentre il punto di vista di Annie è quello privilegiato all'interno di Hereditary, in cui la prospettiva però è spesso affidata anche al personaggio di Peter. Ed è tale coincidenza fra il nostro sguardo e quello delle due donne ad instillare nel pubblico l'inevitabile interrogativo: Rosemary ed Annie sono realmente vittime di un complotto o di qualche entità soprannaturale, oppure i loro atroci sospetti sono il frutto di un'incontrollabile paranoia?
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All of them witches: gli indizi dell'orrore
E nella miglior tradizione degli horror psicologici, in cui la tensione cresce gradualmente lungo il confine tra lucidità e follia, i due film disseminano numerosi indizi volti a stuzzicare i dubbi delle protagoniste e di noi spettatori: indizi che qualcosa di terribile è in atto dietro un'apparente normalità. All'inizio di Rosemary's Baby Terry Gionoffrio, una giovane coinquilina dei Woodhouse, precipita dal settimo piano del palazzo, in un presunto suicidio; in Hereditary veniamo informati non solo del bizzarro comportamento della defunta Ellen, ma anche del fatto che il padre di Annie si era lasciato morire per inedia, mentre suo fratello si era ucciso dopo aver accusato la madre di aver "infilato un uomo" dentro di lui. Annie tiene al collo un ciondolo appartenuto alla madre, con l'incisione di uno strano simbolo (scopriremo in seguito di cosa si tratta); e come dimenticare, a proposito di oggetti 'malefici', il nauseabondo ciondolo con la radice di Tannis che Rosemary riceve in regalo dalla propria vicina di casa?
Appunto quest'ultima, Minnie Castevet, superbamente interpretata da Ruth Gordon, è la donna che si insinua con sempre maggior invadenza nella vita di Rosemary, stuzzicandone le confidenze ma agendo con un fine nascosto. Una funzione accostabile a quella svolta, in Hereditary, dall'ambigua Joan (Ann Dowd), conosciuta da Annie presso un gruppo di sostegno, nonché colei che la spingerà ad inoltrarsi nel regno del soprannaturale e ad evocare gli spiriti dei "cari estinti". Ad attirare l'attenzione sia di Rosemary che di Annie, inoltre, sono dei libri dedicati alle arti magiche e alla stregoneria: volumi in grado di schiudere mondi sconosciuti e potenzialmente pericolosi, incrinando la fiducia delle due donne nella concretezza del raziocinio. Una fiducia che sarà abbattuta definitivamente quando entrambe le protagoniste scopriranno, mediante delle vecchie fotografie, la reale identità delle persone attorno a loro, i coniugi Castevet e la subdola Joan.
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La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto...
Se dunque, a distanza di cinque decenni l'uno dall'altro, Rosemary's Baby ed Hereditary hanno scritto due capitoli significativi per il genere horror, è in primo luogo perché entrambi agiscono su paure, fragilità e ossessioni (il timore di non conoscere davvero chi ci sta accanto) comuni a molti individui, inserendole però in un formidabile meccanismo drammaturgico. Il capolavoro di Roman Polanski, secondo la vena del proprio autore, gioca maggiormente con i toni del grottesco; Hereditary, al contrario, per una buona metà di film si mantiene nei territori del dramma familiare e della tragedia (si veda il dibattito scolastico sull'Ifigenia in Aulide di Sofocle), risultando a tratti infinitamente cupo e disturbante: una scena su tutte, l'incidente che costerà la vita alla tredicenne Charlie (Milly Shapiro) e la successiva reazione di Peter, sopraffatto da un divorante senso di colpa.
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E di certo non è casuale che in questo confronto tra Hereditary e Rosemary's Baby, pur seguendo ciascuno il proprio percorso, i due film giungano allo stesso punto d'arrivo: l'apoteosi di un principe dell'Inferno che ha appena trovato una nuova incarnazione, nel senso letterale della parola. "È l'Anno Uno, e Dio è morto!", proclama trionfante la congrega riunita in casa dei Castevet, mentre la sventurata Rosemary si rende conto che il bambino che ha dato alla luce è il figlio di Satana. Un analogo raduno, composto da una setta di satanisti e dai cadaveri decapitati di Annie, Ellen e Charlie, suggella l'agghiacciante epilogo di Hereditary, quando il corpo posseduto di Peter viene salutato con il nome di Paimon, uno degli otto sovrani dell'Inferno.
Due finali nerissimi in cui, con un totale spostamento nella dimensione del soprannaturale, viene ribadito il principio dell'ineluttabilità del Male: per Rosemary, che si metterà a cullare il piccolo Adrian, si tratta di una rassegnata accettazione; per la famiglia Graham, la prova che gli esseri umani non hanno maggior controllo, sulla propria esistenza, delle statuine in miniatura realizzate da Annie. Un altro, sardonico sberleffo, ribadito pochi istanti più tardi, sui titoli di coda, dalla voce cristallina di Judy Collins sulle note di Both Sides, Now di Joni Mitchell, adoperata a mo' di ironico memorandum: "It's life's illusions I recall/ I really don't know life at all".