"Heat, com'era Heat? Così, sai, l'incontro tra un poliziotto e un criminale... il criminale ha appena ammazzato trecento persone e poi incontra il poliziotto che lo insegue, si dicono 'Vabbè, in fondo siamo un po' uguali, amiamo tutti e due molto il nostro mestiere', sai, il Bene, il Male, due facce della stessa medaglia... Com'erano gli attori, dice mamma... De Niro e Pacino, com'erano?" "Al Pacino sempre più bello." "Eh vabbè, che c'entra scusa? Sto parlando dei personaggi, del senso, della struttura del film... vabbe'. Niente, Silvia dice 'Al Pacino diventa sempre più bello'... e sempre più basso."
Michael Mann ci perdonerà se, per introdurre il nostro omaggio a questo capolavoro della sua produzione, abbiamo preso in prestito le parole di Nanni Moretti in un'esilarante sequenza del suo Aprile. Un commento piuttosto succinto, ma che riassume a grandi linee i tratti salienti di uno dei cult movie più giustamente celebrati degli anni Novanta. Eppure Heat - La sfida non rappresenta soltanto l'ennesima rivisitazione dell'archetipo del duello fra poliziotto e criminale, ma un fondamentale punto d'arrivo per un genere - il poliziesco metropolitano - che nel regista di Chicago, fautore nel decennio precedente del successo televisivo di Miami Vice, ha trovato il suo massimo rappresentante insieme a William Friedkin (e probabilmente perfino più di Friedkin).
Del resto, l'interesse e il talento di Michael Mann per il poliziesco e le sue possibili declinazioni erano evidenti fin dal suo esordio cinematografico, Strade violente del 1981, per poi essere confermati nel 1986 con il capolavoro Manhunter - Frammenti di un omicidio (film esemplare, sottovalutato all'epoca ma diventato poi un cult irrinunciabile) e nel 1989 con Sei solo, agente Vincent, TV movie per la NBC. Proprio il soggetto di quest'ultima pellicola è stato poi ripreso e sviluppato da Michael Mann, nel 1995, per uno dei progetti più ambizioni della sua filmografia: Heat - La sfida, magistrale noir metropolitano ispirato anche a un polar di uno dei numi tutelari di Mann, Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide! (in originale Le deuxième souffle), diretto nel 1966 dal regista francese Jean-Pierre Melville. E allo statuto iconico di Heat ha contribuito in misura determinante la coppia di protagonisti: due volti simbolo del cinema americano dell'ultimo mezzo secolo, Robert De Niro e Al Pacino, rispettivamente nei ruoli del criminale Neil McCauley e del tenente di polizia Vincent Hanna, i due avversari impegnati in uno scontro logorante nel corso delle quasi tre ore di durata dell'opera, il cui palcoscenico è una Los Angeles trasformata nel teatro di una guerriglia urbana.
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Pietra miliare del poliziesco, esempio magistrale di messa in scena e di gestione della suspense, ma anche straordinario affresco delle speranze, delle emozioni e dei sogni infranti di un ampio gruppo di personaggi le cui esistenze si intrecciano con esiti incontrollabili, Heat - La sfida si è conquistato di diritto un posto fra i classici del cinema contemporaneo. Un classico a cui, per il suo ventesimo anniversario, vogliamo rendere omaggio ricordando cinque scene chiave in grado di ricordarci la grandezza di questo film...
1. L'assalto al portavalori
A pochi minuti dai titoli di testa, Michael Mann ci riserva subito la prima, imponente scena d'azione del film: l'assalto a un portavalori lungo le strade di Los Angeles. Il montaggio alternato, i dettagli dello svolgimento del piano architettato da Neil McCauley e dalla sua squadra, la sequenza del furgone che colpisce in pieno il camion portavalori, i rapinatori con i mitra spianati e le maschere bianche, l'incalzante colonna sonora di Elliot Goldenthal... ogni elemento è orchestrato per un rapido crescendo di tensione, volto a scandire da subito il ritmo del racconto. A concludere la scena è però un imprevisto: Waingro, la nuova recluta della banda, uccide un poliziotto della scorta del potavalori, dando avvio ad un massacro fuori programma.
2. "Il tuo lavoro ti piace?"
"Che lavoro fa?" "Perché le interessa tanto quello che faccio o leggo?". È il primo scambio di battute fra Neil McCauley, seduto al bancone di un bar la sera della rapina che ha portato alla morte di tre poliziotti, e Eady (Amy Brenneman), una giovane donna che tenta con gentilezza di approcciarsi a lui. È un momento in cui il film fa emergere la personalità di Neil: l'iniziale freddezza, gravida di diffidenza, che trapela nella sua replica alla ragazza; la reazione contrita di Eady, pronta a scusarsi per averlo importunato; e infine, dopo qualche attimo di imbarazzato silenzio, il cambiamento di Neil, che si gira verso di lei, stavolta con un tono del tutto diverso, e le porge la mano. Comincia così il rapporto fra Neil e Eady, la quale gli racconta di essere un'illustratrice grafica e di essersi trasferita a Los Angeles da un anno. La conversazione fra i due prosegue mentre, sullo schermo, si materializza una meravigliosa panoramica di una Los Angeles notturna vista dalla terrazza della casa di Easy, con le infinite, minuscole luci della città che brillano nel buio. Si tratta di una scena fondamentale per definire il co-protagonista del film: Neil non è un comune villain votato al crimine, ma un individuo capace di manifestare un'inaspettata tenerezza.
3. Faccia a faccia
È dopo circa ottanta minuti, cioè verso la metà del film, che i due antagonisti si incontrano per la prima volta. "Te la prendi una tazza di caffè con me?", domanda il tenente Hanna a Neil, senza tanti giri di parole. Nella sequenza successiva ritroviamo Vincent e Neil seduti al tavolino di un bar, faccia a faccia. Non si tratta soltanto di una scena cruciale per il film, ma di un momento pivotale per il cinema stesso: fino ad allora, infatti, non erano mai comparsi insieme sullo schermo Al Pacino e Robert De Niro, due fra gli attori più amati della generazione della New Hollywood. Oltre vent'anni prima, nel 1974, entrambi avevano recitato ne Il Padrino - Parte II, ma interpretando due personaggi appartenenti a due piani temporali distinti: Pacino era il boss Michael Corleone, mentre a De Niro era affidato il ruolo di suo padre don Vito nei flashback incentrati sulla scalata al potere dei Corleone in America.
Il duetto fra questi due attori giganteschi, costruito da Mann attraverso un'essenziale successione di di campi e controcambi, nella sua apparente semplicità racchiude una potenza non indifferente. "Non tornerò mai in prigione", annuncia con tono pacato il Neil di De Niro; "È quello che mi riesce meglio: organizzare i colpi. A te quello che riesce meglio è cercare di fermare gente come me." "Insomma, una vita regolata non ti piacerebbe?" "Quale sarebbe, il barbecue e la partita in televisione? Ed è questa vita regolata quella che fai?" "Che faccio? No, la mia vita... la mia vita è un disastro assoluto". Due facce della stessa medaglia, appunto: Neil e Vincent sono due individui che si riconoscono immediatamente e si comprendono alla perfezione, consapevoli dei rispettivi ruoli che giocano in questa partita, come una missione a cui sono votati e alla quale non possono e non vogliono sottrarsi: "Io non saprei che altro fare", dichiara Vincent; "Io neanche" "E nemmeno vorrei fare altro" "E io neanche".
4. Strade violente
Poco dopo il confronto fra Neil e Vincent, Michael Mann mette in scena la macro-sequenza della rapina alla banca: una formidabile prova di virtuosismo registico e di costruzione della tensione narrativa. Dopo i quattro minuti ambientati all'interno della banca, l'azione si sposta sulla strada antistante: ed è lì che, al termine della rapina, si svolge una delle più maestose sequenze d'azione che il cinema ci abbia mai regalato. È il Chris Shiherlis impersonato da Val Kilmer, il braccio destro di Neil, ad aprire il fuoco sulla polizia, scatenando un'impressionante sparatoria in mezzo ad automobili e passanti: sei minuti al cardiopalma di autentica guerriglia urbana consumata su due fronti (gli inseguitori e il blocco stradale), per quella che è forse la singola pagina più stupefacente dell'intero repertorio di Mann. Non a caso questa macro-sequenza, così come l'intero film, costituiscono dei modelli evidenti per Christopher Nolan, e in particolare per il superbo incipit de Il cavaliere oscuro (che appare quasi come un poderoso omaggio a Michael Mann).
5. Il duello finale
È il climax emotivo del film: l'inevitabile resa dei conti fra l'eroe e l'antieroe, fra il poliziotto e il criminale. Un duello preannunciato da Vincent e Neil durante il loro primo incontro, e che si consuma nell'arco di un finale memorabile. "Una volta uno mi ha detto: non far entrare nella tua vita niente da cui tu non possa sganciarti in trenta secondi netti se senti puzza di sbirri dietro l'angolo": era una frase pronunciata dal Neil di De Niro al cospetto di Vincent, e destinata a concretizzarsi nel momento in cui Neil, in procinto di fuggire, vede comparire Vincent in fondo alla strada. Lo scambio di sguardi fra Neil, il tenente di polizia e l'amata Eady, che lo aspetta in macchina, basta da solo a portare a galla i conflitti insanabili dei personaggi, mentre la fugace visione di una "vita regolare" va definitivamente in frantumi. Il silenzioso addio fra Neil ed Eady, accompagnato dalle bellissime musiche di Goldenthal, è una sequenza ammantata di struggente romanticismo, mentre il duello conclusivo fra Neil e Vincent, sulla pista di atterraggio dell'aeroporto internazionale di Los Angeles, è una "singolar tenzone" degna dei migliori film western: l'apoteosi di un'epica talmente appassionata da risultare senza tempo... si può pretendere di più da un classico?