Hawkeye, la recensione del terzo episodio: puro e semplice intrattenimento Marvel

La recensione del terzo episodio di Hawkeye, la serie Marvel disponibile su Disney+ dedicata a Occhio di Falco che regala 40 minuti di sano intrattenimento e qualche sorpresa narrativa.

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Hawkeye: Jeremy Renner in un'immagine della serie

Puntata quasi cristallina quella che andremo ad affrontare nella nostra recensione del terzo episodio di Hawkeye. Limpida nel voler mettere in scena la perfetta formula di prodotto Marvel, che da anni continua ad appassionare un vasto pubblico, e schietta nel voler definire l'importanza della serie disponibile su Disney+ all'interno del Marvel Cinematic Universe. Hawkeye arriva sugli schermi domestici dopo un film importante per il mosaico narrativo come Eternals, che cambiava il punto di vista sulla narrazione, e dopo una serie come Loki che, invece, sembra aver dato inizio all'espansione dell'universo narrativo supereroistico. Arrivati al terzo episodio (siamo già a metà della storia), l'identità della miniserie creata da Jonathan Igla si svela definitivamente, mettendosi un passo indietro rispetto agli altri prodotti visti negli ultimi mesi, ma riuscendo a replicare quella formula pressoché perfetta che non lascia indifferenti. Premessa doverosa per meglio approcciarsi al contenuto di questo terzo episodio (in ogni caso eviteremo accuratamente gli spoiler) e poter mettere in prospettiva cosa Hawkeye ci sta raccontando e di che progetto si tratta.

Mettetevi comodi

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Hawkeye: Jeremy Renner e Hailee Steinfeld in una scena

Lo spettatore seduto sul divano di casa. Clint Barton e Kate Bishop seduti e legati sui cavallini elettronici destinati ai bambini, prigionieri della Tracksuit Mafia. Il terzo episodio dal titolo "Eco" (il motivo sta in una delle scene migliori) inizia così, collegando i protagonisti con il proprio pubblico, scalpitando silenziosamente in attesa dell'azione che non tarderà ad arrivare. Quando questo accadrà, dando vita ad un lungo inseguimento, la natura di Hawkeye si svelerà definitivamente. In un progetto sempre più denso di opere come quello dei Marvel Studios, tra film, miniserie e serie animate, occorre dare un'identità precisa a ogni tassello che si intende raccontare. Quello dedicato al personaggio interpretato da Jeremy Renner non cambierà le sorti dell'Universo Marvel, ma sottolinea ancora una volta come i cinecomics possono diventare un grande raccoglitore di sottogeneri e approcci. Hawkeye è puro intrattenimento perfetto per il clima natalizio. Lo si nota dalla voglia divertita di mettere in scena l'azione (con un piano-sequenza che non lascia indifferenti), da come il personaggio di Kate (una Hailee Steinfeld assolutamente perfetta) esalta la leggerezza di quanto sta avvenendo sullo schermo, da come la scrittura procede a ritmi elevati, anche prediligendo qualche semplificazione di troppo. La serie sembra rispecchiare lo stesso protagonista e il suo ruolo all'interno del gruppo degli Avengers: un po' più nascosto, messo spesso in secondo piano al confronto di un Iron Man o di un Captain America, ma capace di risultare essenziale.

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Le dinamiche dei rapporti

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Hawkeye: Jeremy Renner ed Hailee Steinfeld in un'immagine

Oltre l'azione, però, la serie riesce a costruire delle ottime dinamiche dal punto di vista delle relazioni tra i personaggi. Nella seconda metà dell'episodio si fortifica il legame tra Clint e Kate attraverso una conversazione telefonica e piccoli gesti che, se a prima vista sembrano naturali e quasi banali, raccontano molto. Talmente ben definite queste dinamiche che la storia investigativa, che riguarda l'omicidio di Armand Duquesne, perde via via importanza, diventando solo motore superficiale del racconto. Come in tutte le storie ambientate nel periodo di Natale, si dà molto spazio ai sentimenti, motivo per cui risulta adatta la scelta di dedicare a Occhio di Falco un'intera miniserie anziché un canonico film. Rapporti umani ed empatia sono alla base del bellissimo prologo dedicato a Maya, la donna che abbiamo visto alla fine dello scorso episodio. Tramite un flashback scopriremo di più su di lei. Si tratta di un cortometraggio, posto in apertura, quasi autosufficiente e che risplende per chiarezza espositiva ed empatia. Sembrava l'ennesimo antagonista appena una settimana fa (a proposito di villain, un piccolo dettaglio nella sua storia sembra presagire il ritorno di un personaggio molto amato), ma bastano pochi minuti per veder cambiato il punto di vista dello spettatore, posto di fronte a un personaggio già tridimensionale, con un suo passato e precise motivazioni forti. Più che l'azione in sé, quindi, Hawkeye sottolinea la dinamica dei rapporti personali. Sono le emozioni e i legami tra i personaggi che costruiscono la storia, la definiscono e la rendono speciale.

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Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione del terzo episodio di Hawkeye sottolineando come la nuova serie targata Marvel Studios non voglia rivoluzionare l’universo narrativo a cui appartiene, ma raccontare una storia di legami personali costruendo una forte empatia tra personaggi e spettatori. Non manca l’azione e il sano intrattenimento della formula Marvel, in un prodotto che si prende sul serio quanto basta, ma i momenti migliori di una scrittura talvolta un po’ troppo semplice si ritrovano nelle dinamiche interpersonali. È in quelle sequenze che, oltre al divertimento, si nota un vero cuore narrativo che non lascia indifferenti. Perfetta per il periodo natalizio e con due attori protagonisti che funzionano, Hawkeye si rivela un prodotto consapevole del suo ruolo all'interno dell'Universo Marvel.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La capacità di definire i rapporti tra i personaggi e creare tra loro e lo spettatore una forte empatia.
  • La lunga sequenza d’azione centrale, girata con brio e gusto, dona l’intrattenimento migliore che ci si aspetta dai Marvel Studios.
  • Il prologo iniziale è un cortometraggio autosufficiente che descrive un personaggio in pochi minuti, capovolgendone il punto di vista.

Cosa non va

  • A volte la scrittura prende qualche scorciatoia narrativa di troppo.
  • Il mistero da risolvere non riesce ad essere coinvolgente come tutto il resto.