Un corvo famelico, un uovo enorme, una creatura orrorifica e le apparenze che ingannano. Quattro elementi che confluiscono nei novanta minuti (scarsi) di un inquieto e inquietante film che arriva dalla glaciale Finlandia, da sempre avvezza a nuove sperimentazioni visive e nuove concezioni cinematografiche. Ma, prima di addentrarci nel cuore (o nel tuorlo, per restare in tema) della nostra recensione di Hatching - La forma del male, sentiamo la necessità di affrontare un dettaglio non da poco, ovvero il doppiaggio italiano. Per anni, a ragion veduta, si è detto quanto la scuola italiana di doppiaggio sia una delle migliori al mondo. Poi, pian piano, il valore del doppiaggio - se di valore possiamo parlare - è venuto meno, in quanto la distribuzione streaming ha facilitato la visione in lingua, spesso preferita dagli appassionati e dagli spettatori più esigenti. Oggi i tempi di lavoro sono dunque più stretti, spesso c'è un adattamento dei dialoghi decisamente dozzinale e le voci scelte, se comparate con i toni degli interpreti originali, non sono delle più adatte.
Tutto questo è abbastanza esplicativo del film della Bergholm: un doppiaggio poco attento finisce irrimediabilmente ad influire sulla visione finale e sulla totalità dell'opera, pur essendo un elemento avulso dalla costruzione originale della pellicola in questione. Questo, se unito ad altre problematiche ben più importanti, finisce per inficiare sulla visione creando un inevitabile cortocircuito. Sì perché Hatching - La forma del male, scritto da Ilja Rauts e presentato al Sundance Film Festival 2022, nonostante parta da un intuito interessantissimo, soffre di una plasticità che si rispecchia in una messa in scena palesemente (volutamente?) artificiale (e no, non parliamo del mostro in animatronics, che ci ha fatto una certa simpatia). È chiaro, la famosa sospensione dell'incredulità è la religione cardine del cinema (figuriamoci del cinema horror), ma in Hatching è fin troppo accentuata una certa rigidità e una certa asetticità, che si scontra e incontra un'estetica patinata che, a più riprese, viene macchiata dai guizzi weird che alterano gli umori dei personaggi.
Un corvo per amico...
Ma di che parla Hatching - La forma del male? La storia ruota attorno a Tinja (Siiri Solalinna), ginnasta dodicenne (suo malgrado) oppressa da una madre (Sophia Heikkilä) ossessionata dalla perfezione e dalle regole. La loro è la classica famiglia color pastello, che sfoggia quell'impeccabilità suburbana tipica di certi universi. Il tutto enfatizzato dal blog dell'arcigna madre, un tempo ex pattinatrice e ora influencer che racconta l'esistenza idilliaca della sua famiglia. Le cose cambiano quando un corvo entra nella loro casa: Tinja, dal cuore buono, vorrebbe liberarlo, e invece sua mamma lo uccide brutalmente davanti ai suoi ingenui occhi. Il corvo, però, sembra essere ancora vivo, e la bambina lo ritrova nel bosco, portando a casa - e di nascosto - un suo uovo. Come fossimo in un film di David Cronenberg (a cui la regista pare ispirarsi in modo diretto, facendo riferimenti al body horror), Hatching prende una piega spudoratamente e liberamente assurda: l'uovo diventa sempre più grande, e dalla schiusa esce una disgustosa creatura che ricorda, appunto, un enorme corvo spelacchiato dal becco aguzzo. Il mostro, per cui inizialmente proviamo anche una sorta di pietà (è una sorta di diverso), instaura una relazione stretta con Tinja, tanto che sembrano essere in simbiosi. Il tutto, ovviamente, avviene all'oscuro di quella madre incapace di vedere oltre il proprio naso incipriato.
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Tutto funziona? Insomma...
Dunque, lo avrete capito: l'intuizione dietro Hatching è di quelle altamente cinematografiche, spingendo in questa direzione un simbolismo spassionato che mette in parallelo la maternità e la crescita, andando poi a sfiorare l'ossessione moderna per le apparenze. Potremmo quasi considerarlo un coming of age a tinte horror, in cui si accenna ai riflessi umani spesso disgiunti, con alcuni e chiari cenni all'iper-potenza della Natura, madre e matrice di un cambiamento perpetuo che parte proprio dal nostro corpo. L'intero film, come detto, è poi pervaso da un surrealismo di matrice spirituale che, citando Dorian Gray, sfocia nella metafora del doppelgänger, qui estremizzata nell'assurdo e in una latente ripugnanza scatenata dalla bizzarra creatura.
Un parallelismo, poi, rimarcato dalla simbiosi tra il gigantesco pennuto demoniaco e da Tinja, entrambi esseri incompresi che si ritrovano a crescere in un mondo che tende a nascondere imperfezioni e screpolature. Funziona? Beh, le svolte che si susseguono nel film di Hanna Bergholm sono molte ma, non tutte, prontamente riuscite o funzionali al valore del racconto, come già detto sminuito da una creazione visiva fin troppo pulita e, per quanto riguarda il mercato italiano, da un doppiaggio che finisce per svalutare l'interpretazione, di per sé imballata, dei protagonisti. Corvo incluso...
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Conclusioni
Concludiamo Hatching - La forma del male rimarcando quanto le svolte inquietanti diventano ben presto solo weird, depotenziando l'ottimo spunto iniziale che si dirama sulla maternità e sul senso del doppio. Purtroppo una menzione speciale va al doppiaggio italiano: decisamente non all'altezza.
Perché ci piace
- Il corvo gigante, in animatronics, è un ottimo punto di partenza.
- Il film offre una buona analisi sulla necessità di apparire perfetti.
Cosa non va
- Il doppiaggio italiano.
- Le performance degli attori, un po' troppo imballati.
- Le svolte narrative, più weird che inquietanti.
- L'atmosfera patinata.