Mentre a livello internazionale è nota soprattutto per essere stata una delle compagne d'avventura del Dottore (per l'esattezza della decima incarnazione, che aveva le fattezze di David Tennant), in patria Catherine Tate è da anni uno dei nomi di punta della sketch comedy, essendo stata autrice e protagonista di un programma tutto suo dove interpretava personaggi multipli, in particolare la mitica Nan, donna anziana senza peli sulla lingua (recentemente star di un film interamente dedicato a lei, talmente segnato da problemi produttivi che prima dell'uscita nelle sale nel Regno Unito la regista ha fatto togliere il proprio nome dai credits). È in tale ottica, ma con personaggi nuovi, che ritroviamo l'attrice su Netflix, come potete leggere in questa recensione di Hard Cell: sei episodi di circa venti minuti ciascuno, dove Tate satirizza il sistema carcerario dando vita a diversi personaggi, tra staff e detenute, mescolando elementi che, sulla carta, dovrebbero essere appetibili per gli appassionati di comicità che bazzicano il noto servizio di streaming. N.B. La recensione, senza spoiler, si basa sulla visione in anteprima della stagione completa.
Tutte insieme appassionatamente
La figura centrale di Hard Cell è Laura Willis (Tate), direttrice di un carcere femminile che cerca di migliorare l'umore delle detenute, proponendo che si metta in scena un musical: West Side Story. Per tale scopo recluta Cheryl Fergison (nei panni di sé stessa), attrice che dovrebbe coordinare il tutto ma diventa presto oggetto di scherno a causa della sua (vera) partecipazione alla soap EastEnders, uno dei capisaldi del piccolo schermo britannico. Lo stratagemma di Willis è mal visto dai suoi superiori e dal suo assistente, dato che per portare a termine il progetto sta spendendo soldi che andrebbero investiti altrove, per esempio per aggiustare le tubature dell'edificio. Oltre alla direttrice, Tate interpreta anche la guardia Marco e alcune delle detenute, tra cui una scozzese predisposta alla violenza, un'irlandese fissata con la propria madre (con tanto di tatuaggio) e una gallese che nessuno riesce a capire a causa del suo accento e del raffreddore causato dalle allergie. E il tutto è documentato da un'anonima troupe che sta filmando la vita dentro la prigione...
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Humour punitivo
Come si può evincere da quanto scritto nel paragrafo precedente, la serie si presenta come un Orange Is the New Black filtrato attraverso la struttura narrativa e l'estetica di The Office (il cui remake americano ha avuto Catherine Tate nel cast nelle stagioni finali), con Laura Willis che è praticamente la risposta femminile all'arrogante incompetenza di David Brent. In altre parole, un progetto perfettamente compatibile con l'algoritmo di Netflix, dove le due serie (la seconda nella sua versione statunitense) vanno da anni per la maggiore, con l'aggiunta del tentativo di espandere sul piano internazionale il brand comico di Tate. Tentativo nobile ma penalizzato dall'incompatibilità fra lo stile di lei e quello che vorrebbe essere lo spirito dello show, dato che il mockumentary tende a presentare, sebbene a volte in chiave deformata, figure umane a tutto tondo, mentre l'approccio dell'attrice è sempre stato più caricaturale, con rare eccezioni.
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Difatti il grande problema della serie è la sovrabbondanza di Tate, spassosa nei panni di Willis ma insipida (e in alcuni casi proprio insopportabile) in tutti gli altri ruoli, che diluiscono le poche intuizioni interessanti con un campionario di accenti senza caratterizzazioni solide da accompagnare e vanno di pari passo con una sequela infinita di gag scatologiche. Un meccanismo comico fuori tempo massimo che scambia le battute a ripetizione sulle feci per approfondimento psicologico dei personaggi, lasciandoci con poco meno di tre ore di storia che però sembrano durare il doppio ed espandendo il catalogo di Netflix con un titolo che, a conti fatti, faticherebbe a trovare il suo pubblico oggigiorno anche nel palinsesto notturno della BBC.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Hard Cell, sottolineando come la serie Netflix punti sul carisma comico di Catherine Tate ma non riesca a centrare il bersaglio satirico a causa di un approccio vetusto e troppo caricaturale.
Perché ci piace
- Alcune gag strappano qualche sorriso.
- Catherine Tate è molto divertente nei panni della direttrice del carcere...
Cosa non va
- ... ma insipida nei suoi altri ruoli, che purtroppo dominano lo show.
- La sovrabbondanza di gag scatologiche abbastanza gratuite diluisce la carica satirica della serie.