Happiness of the Macaroni Western
Iniziamo col citare i commenti a caldo di parte della distinta e preparatissima(!) critica nostrana che ha voluto vedere in questo godibilissimo film un inutile miscuglio di idee scopiazzate, un'ormai annoiante ripresa del western all'italiana e meglio ancora una schifezza alla Robert Rodriguez. Ma per favore. Fortunatamente laddove il già lodato acume di certi critici si ferma, cioè nella solita incauta quanto oltremodo imprecisa lettura del cinema di genere e in questo caso di quello giapponese e del pazzo Miike-san (basta anche con la faccenda del cinema troppo violento!), c'è un film trasbordante idee e vitalità. Il suo spaghetti (o meglio macaroni) western è sì un frullatone di citazioni e ispirazioni, ma va anche ben al di la del banale citazionismo fino a se stesso. C'era una volta lo spaghetti western dunque, quello che appassionava il pubblico di ogni parte del mondo. C'è oggi Takashi Miike, regista imprevedibile di cui è ormai inutile ricordare la prolificità e varietà produttiva. C'erano una volta Shakespeare, le stampe yukio-e e l'arte chanbara, e ci sono oggi gli anime e i manga a stuzzicare la fantasia di grandi e piccini. Dall'unione di questi universi lontani sia geograficamente che storicamente, nasce quest'opera divertentissima e spensierata. Una vera follia pop è Sukiyaki Western Django, demenziale commedia d'intrattenimento che però non manca di attenta qualità estetica.
D'altra parte dietro la macchina da presa c'è un regista che negli anni non ha dimostrato mai alcun timore nel tuffarsi in ogni tipologia di progetto (televisione, cinema, digitale, horror, action, dramma...), ed è per questo totalmente sterile rimproverarli una produzione troppo estrema e impregnata di violenza; e pure se fosse, abbiamo ormai imparato che il cinema di Takashi Miike merita di essere letto su linee più profonde di quelle in superficie. Anche perché, se ripulito dalla polvere delle ambientazioni western, questo film è in tutto e per tutto una commedia; tant'è che il genere, musicale addirittura, era già stato manomesso dalla mente del regista nipponico nel delirante Happiness of the Katakuris, forse il parente più stretto di questo Sukiyaki all'interno della sua filmografia. Ed è ancora una volta imprevedibile la direzione di Miike, divertente ed evidentemente divertito da questo lavoro. Ci butta dentro un po' di tutto senza mai trascurare gli aspetti formali, riproponendo e talora demolendo gli stilemi del genere e regalandoci una pellicola non perfetta certo, ma altrettanto impossibile da attaccare e crocifiggere. Anche se è vero che siamo lontani dalla perfezione e la monumentalità di film come Izo o Big Bang Love, Juvenile A (due dei suoi parti più complessi e profondi), la natura spensierata di questo film non deve necessariamente essere motivo di sprezzo, quanto piuttosto di rinnovata attenzione verso il giovane filone pop giapponese.
Tutti tranquilli quindi, il sangue è finto e molto teatrale, un giochino scenico; vuole solo divertire (e ci riesce alla grande) quel geniaccio di Miike. Tanta varietà e fluidità creativa dovrebbe una volta tanto bastare, e accontentarsi non è per forza una brutta cosa. Ma se così non fosse si presti attenzione alle citazioni più alte, al percorso seguito dalle direttrici della trama, da Shakespeare alla definizione del dualismo eroe/antieroe, all'intelligente rivisitazione di un genere senza pietosi scivoloni nostalgici. Ci si goda la bravura degli attori, la deliziosa come sempre Kaori Momoi, e il doppio spassoso ruolo di Quentin Tarantino (impedibile la sua introduzione in un improbabile inglese nigorizzato), per non parlare della versione in lingua giapponese del tema musicale del mitico Django di Corbucci (di cui, per puntualizzare, questo film non è il remake quanto un audace prequel!). Tanto, che lo si ami o lo si odi Miike è e rimane questo, un abilissimo regista senza freni linguistici alcuni.