Questo è ciò che avevo sempre voluto per te, Will... per entrambi noi.
Il pranzo è concluso. Con tutta probabilità, The Wrath of the Lamb rimarrà l'ultimo tassello di un percorso narrativo iniziato il 4 aprile 2013, sugli schermi della NBC, e giunto a termine la notte del 29 agosto 2015. Una progressiva discesa agli inferi, un viaggio metafisico dentro abissi di orrore che mai, prima di allora, qualcuno aveva avuto il coraggio di proporre sul piccolo schermo: non solo per le sue agghiaccianti efferatezze, ma anche e soprattutto per il carattere sinistro e disturbante di una serie costantemente sospesa fra realtà e incubo.
A dispetto di un successo di pubbico delimitato a una cerchia di ferventi appassionati (i cosiddetti fannibals) ma non adeguato ai grandi numeri di una rete generalista quale la NBC, Hannibal ha saputo imporsi comunque all'attenzione mediatica grazie all'unicità di un racconto che ha innestato nei tradizionali canoni del poliziesco e del thriller una componente assolutamente nuova: una dimensione onirica quasi alla David Lynch, accompagnata da una messa in scena di estrema raffinatezza e da un precipuo interesse per i lati oscuri dei suoi personaggi. Un approccio che ha permesso al creatore e showrunner di Hannibal, Bryan Fuller, di riproporre i protagonisti dei romanzi di Thomas Harris in maniera inedita e sorprendente, dando vita ad un prodotto profondamente diverso rispetto ai vari film realizzati fino ad oggi attorno alla figura dello psichiatra cannibale Hannibal Lecter.
Sulle orme di Red Dragon
Come avevamo già avuto modo di rilevare, le due metà della terza stagione di Hannibal costituiscono due segmenti narrativi ben distinti, quasi alla stregua di due mini-stagioni indipendenti. Con il settimo episodio, Digestivo, si chiudeva la prima parte della stagione 3, con la sconfitta dello spietato Mason Verger (Joe Anderson) e la volontaria resa di Hannibal Lecter (Mads Mikkelsen), disposto a consegnarsi nelle mani dell'FBI al solo ed unico scopo di mantenere un legame con Will Graham (Hugh Dancy): "Voglio che tu sappia esattamente dove sono... e dove potrai trovarmi sempre", dichiarava Hannibal, poco prima di essere portato via dagli uomini di Jack Crawford (Laurence Fishburne). Ma a partire dall'episodio successivo, The Great Red Dragon, un gap temporale di qualche anno ci conduceva direttamente a una nuova storyline: la caccia dell'FBI per catturare Dente di Fata, un serial killer autore del massacro di due intere famiglie, nelle loro abitazioni, durante le notti di luna piena. Un "lupo mannaro" dietro cui si cela un individuo psichicamente disturbato, Francis Dolarhyde (Richard Armitage).
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La vicenda di Dolarhyde, ossessionato dal ciclo di acquerelli del Grande Drago Rosso dipinti agli inizi dell'Ottocento da William Blake, è raccontata nel romanzo di Thomas Harris Red Dragon, già adattato due volte per il grande schermo: nel 1986 con il capolavoro Manhunter - Frammenti di un omicidio di Michael Mann e nel 2002 con Red Dragon di Brett Ratner, prequel ufficiale del film Il silenzio degli innocenti. Dunque, se fino a quel momento Fuller aveva lavorato sui personaggi di Harris per costruire una trama del tutto libera e autonoma, gli ultimi sei episodi di Hannibal hanno dovuto confrontarsi invece con una materia narrativa pre-esistente. Un terreno scivoloso, in particolare se consideriamo l'elevatissima caratura di un film quale Manhunter, ma su cui Fuller ha saputo destreggiarsi in maniera ottimale, bilanciando il senso di relativa fedeltà rispetto al modello letterario e cinematografico (alcune sequenze riportavano inevitabilmente alla memoria il cult di Michael Mann) con la consapevolezza di poter, all'occorrenza, mischiare le carte e intraprendere strade inaspettate, senza la necessità di attenersi a un plot già prestabilito.
"Meat's back on the menu"
Ed è proprio nel distacco dalla fonte di partenza, nelle svolte inattese, che gli scorsi episodi di Hannibal ci hanno regalato i momenti di shock visivo e psicologico e di massima suspense: dal primo, improvviso faccia a faccia fra Will e Dolarhyde, poco dopo che quest'ultimo si è 'cibato' di un dipinto di Blake, all'incursione notturna di Dolarhyde in casa di Will, nella puntata ...And the Beast from the Sea, nel tentativo di sterminare la sua famiglia, in una delle macro-sequenze più tese ed angoscianti di sempre, fino al rapimento del dottor Frederick Chilton (Raúl Esparza), al quale Dolarhyde strappa le labbra a morsi per poi bruciarlo vivo nella penultima puntata, The Number of the Beast Is 666.... Arriviamo così al tredicesimo episodio, The Wrath of the Lamb, che in apertura riprende gli avvenimenti del libro di Harris: l'incendio a casa di Dolarhyde, in presenza della sventurata Reba McClane (Rutina Wesley), e la morte simulata del killer come diversivo per depistare l'FBI. Da qui in poi, la necessità di fermare Red Dragon servirà da veicolo per porre fine anche al rapporto divorante fra Will e Hannibal.
Su suggerimento di Will, infatti, il dottor Lecter viene usato come esca per Dolarhyde, fingendo l'evasione del cannibale. Un progetto sconsiderato, assurdo, che non a caso getta nel panico i pochi 'superstiti' di Hannibal: "Avresti anche potuto tagliare la gola a tutti noi e finirla qui", esclama la dottoressa Bedelia Du Maurier (Gillian Anderson) in un impeto di furia contro Will, mentre Alana Bloom (Caroline Dhavernas), avendo saputo direttamente da Lecter che l'uomo non le avrebbe lasciato scampo, non esita a prendere il volo insieme alla propria famiglia. Ma il tranello per catturare Dolarhyde, in realtà, ha un ulteriore obiettivo: estinguere una volta per tutte la minaccia costituita da Hannibal Lecter, nonché l'attaccamento 'malato' di Will per Hannibal. È il connubio definitivo fra l'orrore e il melodramma, fra il thriller e la storia d'amore, una dicotomia su cui è stata eretta l'intera serie fin dai suoi esordi. "Non puoi vivere con lui ma non puoi vivere senza di lui", osserva Bedelia a proposito della reciproca dipendenza fra i due uomini. Una love story perversa e vampiristica, in procinto di giungere alla sua tragica conclusione...
Il grido degli innocenti
L'assalto di Red Dragon alle auto della polizia e al furgone blindato, anziché dar luogo ad un'eclatante scena d'azione (anche per le ristrettezze del budget), è mostrato attraverso dettagli minimi e confusi dalla prospettiva di Will, tramortito dall'urto subito, accentuando così l'idea dell'abbandono di una percezione realistica per scivolare lentamente in una dimensione sognante e visionaria (una dimensione espressa, sul piano cromatico, dal passaggio ad un bianco dominante e poi ai toni notturni delle ultime sequenze). Allo stesso modo, gli sceneggiatori rinunciano alla ferrea coerenza degli avvenimenti e al principio di verosimiglianza, con Red Dragon che pare trasformarsi in una figura onnipotente e demoniaca, mentre l'ultimo scontro fra Will, Hannibal e il killer, ormai separati dal resto del mondo, assume valenze quasi simboliche. Emblematica, in tal senso, la scelta del 'teatro' di questa resa dei conti: la dimora isolata in cui Hannibal aveva tenuto prigioniera Miriam Lass e in cui aveva nascosto Abigail Hobbs, la "tana del mostro", affacciata sull'Oceano Atlantico.
L'entrata in scena di Francis Dolarhyde, per quanto auspicata e presagita, segna comunque uno degli apici di tensione dell'episodio e dell'intera stagione. Dalla pugnalata inferta al viso di Will, trafiggendogli una guancia, al duplice corpo a corpo con lui ed Hannibal, Red Dragon assurge infine a luciferina incarnazione del Male, tanto da vivere - a livello metaforico, ma pure a livello visivo - l'agognata trasfigurazione nel Grande Drago Rosso, il quale distende nella penombra le sue gigantesche ali nere mentre si avventa contro Will e Hannibal. L'uccisione di Dolarhyde, la cui la gola viene squarciata dai denti di Lecter mentre Will lo pugnala a morte, è unicamente il frutto dell'alleanza fra i due storici antagonisti, per la prima volta disposti a combattere l'uno per l'altro, fianco a fianco.
Un tuffo nel vuoto
Ma è negli istanti finali che la serie raggiunge la sua climax emotiva: nell'estremo abbraccio fra Hannibal e Will, agonizzanti e ricoperti di sangue, in cima alla scogliera, come due amanti nell'ultimo atto di una tragedia. E sulle note di Love Crime, tenebrosa melodia affidata alla voce della cantautrice Siouxsie Sioux ("Oh, the skies, tumbling from your eyes"), Will accetta il supremo sacrificio, trascinando Hannibal e se stesso, ancora avvinghiati in un mortale abbraccio, oltre l'orlo della scogliera, nei flutti dell'Atlantico. Hannibal si conclude così: con un epilogo cupo, struggente e bellissimo. Un epilogo con il coraggio di perseguire fino in fondo la parabola del suo protagonista: quel Will Graham che nel corso di tre stagioni ha aperto gli occhi sul male dentro e fuori di sé, affrontandolo a viso aperto fino a restarvi fatalmente avviluppato. Un "finale di partita" inesorabile e disperato, con il tuffo nel vuoto di due anime legate l'una all'altra in maniera indissolubile, per un'immersione senza ritorno nell'oscurità.
Una chiusura dolorosa quanto perfetta, a cui tuttavia Bryan Fuller non ha mancato di aggiungere una 'postilla' di macabra ambiguità. L'ultimissima sequenza dopo i titoli di coda ci presenta infatti Bedelia Du Maurier seduta a una tavola imbandita, con al centro un vassoio su cui è adagiata in bella vista la portata principale: una gamba della dottoressa. L'improbabile 'resurrezione' di due invisibili commensali, o piuttosto il sopravvento della paura e della follia sull'equilibrio psichico della donna, spinta addirittura all'automutilazione? Un dubbio atroce, destinato a rimanere insoluto...
Movieplayer.it
4.5/5