La guerra del Vietnam torna protagonista in questo 2020 con Da 5 Bloods - Come fratelli di Spike Lee a breve su Netflix.
Ed è forse l'occasione giusta per guardare come la "Maledetta Guerra" è stata raccontata dalla settima arte.
Conflitto parte di un complesso momento storico in cui collimavano la Guerra Fredda e la fine del colonialismo europeo, rappresentò una sconfitta che ebbe conseguenze immense nella società americana e nel mondo. 60mila morti americani, quasi tre milioni tra vietnamiti, cambogiani e laotiani, ed una crisi di valori, un collassare dei cardini della trionfalistica e machista società americana, l'inizio dell'era della contestazione...
Ecco perché è importante ricordare quella guerra, ecco perché tanti cineasti vi hanno dedicato film divenuti leggendari, elencati in questa classifica, quella dei 10 migliori film sul Vietnam di sempre.
10. The Post (2017)
Il primo film della nostra lista è uno dei più sottovalutati di Steven Spielberg, ma fondamentale per farci comprendere come si arrivò alla sconfitta statunitense in Vietnam, nonché gli sconvolgimenti che essa portò dentro il "Grande Paese". Protagonista è lo scontro tra la stampa ed il Governo, per far emergere la verità, quella verità contenuta nelle Pentagon Papers, che rivelarono nel 1971 la realtà dei bombardamenti illegali nel Laos, Cambogia, come in Vietnam gli Stati Uniti fossero presenti ben prima del formale inizio delle ostilità. Dentro vi era anche il terribile elenco dei massacri compiuti dagli americani, le bugie, il disinteresse per il popolo vietnamita da parte dell'amministrazione Nixon e di quelle precedenti. The Post, con un cast straordinario in cui Tom Hanks e Meryl Streep sono punte di diamante, ha nella regia di Spielberg la carta vincente nel sapere legare tensione e dimensione storica di quella che fu una grande vittoria della libertà di stampa e soprattutto della verità. Il film fa comprendere quanto la guerra in Vietnam non fu persa nelle risaie del triangolo di ferro, ma in patria, quando il popolo si rese conto su che bugie, amoralità e incompetenza fosse costruita la montagna scalando la quale migliaia di giovani americani erano morti. Un grande esempio di quel cinema civile che si pone come depositario della memoria, di ciò che significò per la società americana la sconfitta di quell'esecutivo di lì a breve ed il rinnovato bilanciamento dei poteri. Candidatura agli Oscar come Miglior Film e per la Streep.
9. Rambo (1982)
Rambo, tratto dall'omonimo romanzo di David Morell, fu un vero fulmine a ciel sereno nel 1982, e permise a Sylvester Stallone dopo Rocky, di legarsi ad un altro personaggio leggendario. Il film di Ted Kotcheff è ancora oggi uno dei migliori di sempre nel parlarci del reducismo, in particolare di cosa volesse dire essere un reduce del Vietnam, dover convivere non solo con i ricordi di una sconfitta, ma anche con il disprezzo e l'emarginazione da parte di una grossa fetta della società americana. Rambo, la sua lotta contro quella città (ironicamente chiamata Hope, speranza), con l'ordine costituito, si erge a metafora della quotidiana, disperata, odissea a cui andarono incontro i reduci della "maledetta guerra", partiti per imitare i padri della Generazione Gloriosa e diventati invece reietti. Alla "sinistra" piacque per come parlava degli orrori, dei traumi della guerra, alla "destra" per come cercava di riabilitare quei veterani a cui si sputava in faccia al ritorno a casa, in modo ingrato. Il film (molto diverso dal libro) ci donò uno dei primi e più terribili esempi di PTSD (Disturbo da Strees Post-traumatico), ed il monologo di Stallone si erse a simbolo di una generazione che da quella giungla non era mai tornata e che chiedeva insistentemente: "Cosa devo fare? Che cosa devo fare?"
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8. L'alba della libertà (2006)
Tratto dalla vera storia di Dieter Dengler, L'alba della libertà di Werner Herzog è uno dei film più toccanti, terribili e duri in questo elenco, e sicuramente quello che meglio di ogni altro è riuscito a far comprendere che osceno inferno fosse il sud-est asiatico dopo tanti anni di guerra, quale terrificante nemico la natura potesse diventare. L'odissea dei prigionieri statunitensi in Vietnam (moltissimi dei quali sostanzialmente abbandonati alla morte) ha il volto di un grande Christian Bale, della sua trasformazione fisica in seguito a fame, percosse, stanchezza e malattia. Bale (assieme ad un bravissimo Steve Zahn) ci guidano in un viaggio della disperazione, in cui i laotiani, i vietcong, sono inevitabilmente carnefici, persecutori perché disgraziati e massacrati da un nemico infinitamente superiore. Film commovente, straziante, è qualcosa di più e di diverso di un film sulla prigionia, quanto un film sulla cattiveria e mancanza di pietà creata da quella guerra, una guerra in cui l'illegalità era la prassi. Diretto da Herzog con grande energia, con una fotografia che esalta i colori di una natura ferale, L'alba della libertà è anche un omaggio alla capacità dell'uomo di sognare, di non arrendersi, di rifiutare la disumanizzazione della guerra.
7. Good Morning Vietnam (1987)
Tra le personalità più originali e significative che emersero durante il conflitto in Vietnam, poche sono state più importanti di Adrian Crouner, speaker radiofonico (nonché futuro attivista e avvocato impegnato in cause civili) che, nella Saigon occupata, si prese carico delle trasmissioni della radio locale. In breve Crouner non solo risollevò gli ascolti, ma aiutò anche i soldati a distrarsi, fece della sua trasmissione un esempio di comicità e divertimento, in una guerra che non risparmiava nessuno e dove gli alti gradi erano complici di bugie e crimini. Good Morning Vietnam di Barry Levinson, lo vede interpretato da un Robin Williams sensazionale (Nominato all'Oscar e vincitore di un Golden Globe), offrendoci un punto di vista assolutamente atipico del conflitto, quello di un artista, un intrattenitore, un uomo dalla mentalità aperta, tollerante, empatico. L'opera è a metà tra dramma e commedia, e proprio per questo funziona, proprio per questo ci fa comprendere quanto l'orrore di quella guerra fosse tale che un po' di musica ed ironia diventavano un bene prezioso, inestimabile in quell'inferno. Intelligente, appassionato, ottimamente diretto, ha al suo interno anche una sferzante critica contro l'ordine costituito, l'autorità.
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6. Tornando a casa (1978)
Uscito a soli tre anni dalla fine delle ostilità, e quando la ferita era ancora intollerabile nella società americana, Tornando a casa di Hal Ashby, ancora oggi è indicato come un film simbolo di quella guerra. Fu anche metafora della tragedia di una nazione, elevò il microcosmo dei protagonisti a simbolo della rivoluzione e del sconvolgimento che il conflitto in Vietnam significò per la società americana, per i suoi valori. Le ferite di Luke Martin (un Jon Voight nel suo ruolo simbolo) sono quelle di tutti i reduci, di un paese che si scoprì battuto, pieno di sensi di colpa e senza un'idea per il futuro, Sally (un'intensa Jane Fonda) fino ad allora casalinga sottomessa, è simbolo di quelle donne che affrontarono dolore e solitudine, ma che scoprirono anche l'emancipazione. Nella loro relazione, nel loro amore, risiede la vittoria dei sopravvissuti, pronti però a ricominciare a vivere, per i quali non vi è più spazio per l'America guerrafondaia, militarista e rancorosa che ha nel Capitano Bob (Bruce Dern) un simbolo di sconfitta ineluttabile. Il suo suicidio, il suo annegare in quel mare gigantesco della storia e delle proprie ambizioni, è solo una delle tante metafore felici di Tornando a casa, che pur se a volte ridondante e troppo elegiaco, porta con sé una potenza ed una verità uniche. Oscar a Voight e Fonda, nonché alla Sceneggiatura.
5. Nato il 4 Luglio (1989)
Sicuramente il film che lanciò definitivamente Tom Cruise, che ne mise in mostra le doti attoriali di grande caratura, ed anche uno dei film più belli, struggenti e riusciti di Oliver Stone. Ron Kovic, la sua infanzia e giovinezza, il suo patriottico e cieco partire per una guerra che non comprendere e da cui tornerà spezzato nell'animo e nel corpo, diventano grazie a Stone metafora di una generazione. Il successo, la competizione estrema, gli echi hitleriani dietro l'american way of life ed il machismo guerrafondaio, sono in perfetto contrasto con ciò che Kovic troverà tornato a casa, che lo porterà verso una presa di coscienza ed una rivoluzione della mente dolorosa, angosciante, ma anche illuminante. Con una colonna sonora struggente, e scene di una disperazione e degrado personale con ben pochi pari in questa classifica, Nato il quattro luglio porta come pochissimi altri lo spettatore dentro un'odissea del dolore, della redenzione, spezza il sogno americano, ci mostra la tragedia della Generazione Perduta, il cinismo della politica. Epico, poetico, pieno di malinconia ma anche di riscatto e speranza, Nato il quattro luglio è uno dei più grandi film sul Vietnam, e su quanto importante sia la memoria storica per non ripetere gli stessi errori nel futuro. Cosa che puntualmente l'America si scorda di fare. 8 Nominations agli Oscar, premiato per Regia e Montaggio.
4. Platoon (1986)
Il Vietnam e Oliver Stone sono praticamente una cosa sola. E Platoon è senza ombra di dubbio il film più personale e più intimo del grande regista, a conti fatti quasi un'autobiografia, visto che Stone combatté in Vietnam e qui ci mostrò ciò che lui aveva vissuto.
Opera dalla genesi sofferta e complicata, partorita dalla mente di Stone mentre era ancora in Vietnam, più che un film di guerra si dimostra capace di fare il salto di qualità, di diventare un film sulla guerra.
La dualità, il bene e il male, la luce e le tenebre, camminano nei passi dei due sergenti, di Elias (Willem Dafoe) e Barnes (Tom Berenger), e della recluta Chris (Charlie Sheen) che deve scegliere tra i due simboli dell'America in Vietnam.
Elias, valoroso, tollerante e carismatico è come gli Stati Uniti si vedevano inizialmente in quella guerra; Barnes, non meno valoroso ma cinico, spietato e senza moralità, è ciò che essi furono nella realtà.
L'opera è un'odissea dentro il ventre della natura, dell'uomo, dentro quella guerra, ne denuncia l'abisso morale, lo stillicidio di una generazione macellata da una leadership inetta ad ogni livello.
Con un cast ricchissimo e un crescendo magistrale, Platoon è uno dei più grandi film bellici di sempre, ed assieme uno di quelli più poetici e lirici, in cui la dualità dell'essere umano è resa alla perfezione.
Quattro Premi Oscar, tra cui Miglior Regia e Miglior Film.
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3. Full Metal Jacket (1987)
La violenza, l'uso nella società, la manipolazione del singolo, la mancanza di libertà individuale, la guerra come anarchia organizzata, quella guerra in particolare come monumento di una religione sado-maso-mortuaria che da sempre compenetra la società americana, il credo di ogni braccio armato.
Full Metal Jacket ancora oggi è un film di un'attualità sconcertante, il migliore nel descrivere il conflitto in Vietnam come frutto di un regno della mente, di una cultura e visione del mondo che attraversa la storia di continuo: ieri era l'Inghilterra vittoriana, l'altro ieri era Roma, oggi gli Stati Uniti, domani chissà.
La guerra per Stanley Kubrick è rivincita della pura forza sull'intelletto, come risveglio dell'irrazionalità animale, prigione di tutto ciò che eleva e rende nobile l'uomo, che diventa "omino verde dei detersivi", essere votato alla "pulizia" dei suoi simili con il mitra.
Full Metal Jacket è un film di guerra? Si. Un film sulla guerra? Soprattutto. Dal punto di vista storico, politico, antropologico anche.
Essa è strumento di controllo, pilastro della società, dell'ordine costituito, quell'ordine che il Sergente Hartman incarna con feroce e squillante animosità.
Le vie di fuga? Sopravvivere, giorno dopo giorno, mantenendo la propria anima come Joker (Matthew Modine), pena l'autodistruzione come Palla di Lardo (Vincent D'Onofrio), o il diventare come Animal Mother (Adam Baldwin), il personaggio più sottovalutato, il portatore di morte come milioni di altri fin da quando si combatteva sotto le mura di Troia.
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2. Il Cacciatore (1978)
Michael Cimino, ebbe meno fortuna di quanto meritasse, ma sarà certamente ricordato in eterno per questo film, il più straziante, intimo e profondo sulla tragedia che si svolse in quell'inferno verde del Sud-Est Asiatico, sulle vite che inghiottì. La guerra del Vietnam come enorme trappola, che distrugge uomini comuni, amici che lavorano in fabbrica e cacciano cervi, ignare vittime di un uragano che li spazzerà via, anche se sopravvivono. Robert De Niro, Christopher Walken, John Savage, John Cazale, Chuck Aspegren ne Il cacciatore sono la gioventù inghiottita da un conflitto che sconvolse un'intera società. A conti fatti, Il Cacciatore è il miglior film su quella "perdita dell'innocenza" che significò il Vietnam per i figli degli eroi del secondo conflitto mondiale, che partirono sicuri di emularli e trovarono un abisso morale ad attenderli. Ognuno dei protagonisti è simbolo universale del fato di chi vi combatté: il reduce ridotto sulla sedia a rotelle, il sopravvissuto pieno di rimpianti e dolore, ed infine il Nick di Walken, che è vivo solo perché respira, ma la cui anima è morta in quella tana, durante quella roulette russa diventata leggenda del cinema, simbolo del sadismo bellico, ma anche della casualità della guerra in sé. Meryl Streep assurge a simbolo di vita come il cervo, di quella vita che deve andare avanti, nonostante la morte che assedia tutto e tutti, e dell'autunno che infuria su una natura bellissima e tragica, sublimata dalle musiche di Stanley Meyers. Cinque Oscar (tra cui quelli a Walken, Cimino e al Film) ed un posto di tutto rispetto nella storia del cinema.
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1. Apocalypse Now (1979)
In poche righe racchiudere l'importanza e il significato del film di Francis Ford Coppola è sostanzialmente impossibile. Per quello che riguarda però questa classifica, è doveroso dire che nessun altro film è riuscito come Apocalypse Now a trasmettere con altrettanta potenza quale orripilante viaggio dentro la parte più orrenda ed oscura dell'anima umana fu quella guerra. Dal romanzo di Joseph Conrad, Coppola prende il concetto di viaggio (fisico ed interiore) di discesa verso un mondo bestiale, oscuro, in cui la razionalità scompare, dove la differenza tra la moralità in tempo di pace e quella in tempo di guerra diventano protagonisti. "L'orrore, l'orrore", l'orrore di cui sussurra l'importanza Marlon Brando è amico dell'uomo in guerra, è il vuoto dentro cui Dio ha chiuso quella giungla, quel paese, è alleato della parte vincente della storia, da sempre. La storia che è scritta col sangue e la follia, che solo dei poveri pazzi possono pensare di ingabbiare, costringerla dentro regole, le stesse che porta con sé il Capitano Willard (Martin Sheen), e che falliscono miseramente di fronte alla realtà. La guerra come regno della mente, il guerriero come entusiasta porta-vessillo della morte, la accoglie con gioia wagneriana, ama "l'odore del napalm" al mattino come lo ama il Kilgore di Robert Duvall, che in quel carosello infernale ci si infila con entusiasmo. Perché è l'unico modo per non esserne distrutto. Più che un film sulla guerra del Vietnam, Apocalypse Now è il Vietnam. Ne è la perfetta riproduzione, quasi come se una macchina del tempo trasportasse lo spettatore in quell'ellissi di oscurità e tenebre che solo chi vi combatté conosce. Non solo il miglior film sul Vietnam, ma uno dei più grandi film di ogni tempo.
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