Non conosce la parola e si esprime con strani suoni gutturali, ha grandi occhi azzurri ed effetti salvifici per chiunque vi si avvicini. Ma no, non è un extraterrestre anzi, è molto terreno: è una stalagmite, viene proprio dalle viscere della terra e si chiama Grotto. È il protagonista dell'omonimo fantasy made in Italy con cui Micol Pallucca - un passato in Mediaset a curare soggetti di serie come Carabinieri - tiene a battesimo la sua prima volta da regista.
Decide di farlo esplorando un mercato ancora poco battuto nel nostro paese, quello del cinema per ragazzi; la scelta ricade su un piccolo racconto di formazione che dopo il trionfo al Giffoni Film Festival dello scorso anno, in molti non hanno esitato a definire come "la risposta italiana a E.T. L'Extraterrestre".
È un film che hai voluto fortemente: lo hai prodotto, scritto e diretto.
Micol Pallucca: La regia è venuta un po' per caso, nel senso che in passato avevo già scritto e prodotto molte cose per la tv. Approcciandomi al prodotto cinematografico avrei voluto qualcuno con cui condividere questa esperienza produttiva e di regia, ma non ho trovato nessuno: pensavo fosse più semplice. Forse il film per bambini qui in Italia spaventa, perché ci sono le grandi produzioni americane ed è difficile voler competere con loro ma se non ci proviamo mai diventa ancora più complicato. E così mi sono ritrovata anche a dirigere.
Il cinema per ragazzi in Italia... il grande assente
La difficoltà più grande nell'approcciarsi a questo genere in Italia?
Non trovare degli interlocutori che possano intraprendere un discorso sui bambini, non c'è voglia né la mentalità di relazionarsi a questo tipo di pubblico. Io ho fatto parte dei miei studi in America e lì invece hanno il problema contrario, cioè hanno addirittura difficoltà a trovare sceneggiatori per i sessantenni perché si focalizzano forse anche troppo su teenager e bambini, i due settori che trainano di più l'industria. Da noi c'è ancora una visione artistica del cinema e lasciamo nuove generazioni in balia di produzioni non autoctone.Hai mai pensato di proporre questo film sul mercato estero?
Ho cercato e inizialmente avevo anche trovato un coproduttore francese, poi in realtà sono riuscita a completare il piano produttivo e abbiamo deciso di spostare la nostra collaborazione su un eventuale prodotto futuro. Dopo l'esperienza del Giffoni più di 18 festival hanno richiesto di vedere il film per inserirlo nei loro cartelloni, ulteriore testimonianza dell'interesse che un progetto simile riesce a suscitare all'estero.
Essere donna ha reso le cose più difficili di quanto sarebbero stato normalmente?
Non lo so, me lo hanno chiesto in molti soprattutto all'inizio della mia carriera in Mediaset e quando con una collega fondammo una nostra casa di produzione, ma in generale cerco di non vederla così e di non fare distinzioni di genere. Potrebbero esserci dei preconcetti ma cerco di non badarci.
Quanto c'è della tua sensibilità femminile in questa storia?
Moltissimo. All'anteprima a Fabriano dove è venuta parte della mia famiglia, alcuni zii mi hanno fatto notare quanto ci fosse molto di me: il mio rapporto con i nonni, la sensibilità sull'amicizia, tematiche assolutamente mie. Anche i miei nipoti mi hanno detto: "Si vede proprio che ci sei":
Grotto, da E.T alle grotte di Frasassi
Che ruolo hanno avuto le suggestioni di film come E.T, La storia infinita o Stand by me?
C'è tutto; anche se mentre scrivevo la sceneggiatura non li ho rivisti, sono inevitabilmente portatrice del bagaglio culturale di quei film, li porto dentro me stessa sempre, come nella piccola storia d'amore c'è tutta la commedia romantica che adoro.
Da dove arriva invece l'idea della storia?
Dai miei nipoti, il più grande ormai ha quasi venti anni. Negli ultimi sedici anni sono andata praticamente quasi ogni settimana al cinema a vedere film con loro; mi sono accorta di quanto sia difficile trovare un appagamento alla fine di un film sia per loro che per me e così ho voluto provare a raccontare una storia sull'amicizia come valore trasversale a tutte le generazioni, che poi sono le storie con cui io sono cresciuta negli anni '70 e '80.
E Grotto?
Grotto nasce dalle espressioni dei mie nipoti quando erano piccoli, si muove e agisce molto per imitazione, ma non potevo far fare certe cose a bambini di undici anni. Perciò ho inserito questo personaggio, per il quale tutto ciò che umano è nuovo; il suo modo di esprimersi per suoni 'gutturali' è quello dei bambini, che fa sempre ridere tutti.
Faceva parte del progetto sin dall'inizio?
L'idea iniziale non prevedeva il personaggio di Grotto; sono partita dal racconto di questi cinque ragazzi che si perdevano in un bosco, un'avventura alla Stand by me - Ricordo di un'estate. Poi mi vennero in mente le grotte di Frasassi dove si sarebbero dovuto svolgere solo poche scene, ma quando andai a visitarle mi resi conto che mancava qualcosa: quel qualcosa era proprio Grotto e la sua innocenza.
La favola sulla diversità
La scelta di esordire con una favola per bambini?
È stato naturale, non avrei voluto fare un debutto alla regia, non ci avevo mai pensato pur avendo fatto dei corsi in America.
Possiamo definirlo un film sulla diversità?
Assolutamente sì, Grotto è diverso agli occhi dei cinque protagonisti e al tempo stesso loro lo sono per lui. C'è uno studio l'uno dell'altro e ci sono delle reazioni da ambedue le parti; il concetto è che siamo tutti diversi ma tutti uguali.