"Voglio che tu sia la versione migliore di te stessa che tu possa essere." "E se fosse questa la versione migliore?"
"I wish I could live through something", mormora la diciassettenne Christine McPherson (Saoirse Ronan), alias Lady Bird, poco dopo aver finito di ascoltare l'audiolibro di Furore in compagnia della madre Marion (Laurie Metcalf). La brama di vita di Lady Bird, il suo desiderio di "vivere qualcosa", di sperimentare sulla propria pelle l'emozione e la grandezza evocate dalle pagine di John Steinbeck, non vengono compresi pienamente da Marion, seduta accanto a lei in auto. "L'unica cosa eccitante del 2002 è che è un palindromo", osserva rassegnata la ragazza, prima di imbarcarsi in una furibonda discussione con la madre.
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Si tratta della scena d'apertura di Lady Bird, ovvero la più clamorosa sorpresa della scorsa stagione cinematografica. Seconda opera da regista dell'attrice trentaquattrenne Greta Gerwig, volto ormai arcinoto del panorama indie, Lady Bird ha entusiasmato le platee ai Festival di Telluride e di Toronto, in quattro mesi ha registrato incassi strepitosi al box office statunitense (con quasi cinquanta milioni di dollari, è diventato il maggior successo di sempre per il distributore A24), ha collezionato due Golden Globe, miglior commedia e miglior attrice per la star irlandese Saoirse Ronan, e si è aggiudicato cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film, miglior regia e miglior attrice. Un fenomeno con cui la Gerwig ha proseguito il suo peculiare percorso da autrice: un percorso dalla forte componente autobiografica, di cui Lady Bird costituisce un fondamentale punto d'arrivo, nonché l'ennesima conferma del talento di una delle nuove voci più interessanti dell'odierno cinema americano.
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Lady Bird: ritratto dell'aspirante artista da giovane
In uno script ricco di dialoghi folgoranti, uno scambio di battute emblematico è quello fra la protagonista e suor Sarah Joan (Lois Smith), l'anziana direttrice dell'istituto cattolico di Sacramento, in California, frequentato con scarsa motivazione da Lady Bird. "Tu scrivi di Sacramento in maniera così affettuosa e con tanta cura"; "Mi limito a descriverla", ribatte la ragazza, "Suppongo di prestarle attenzione"; "Non pensi che forse sono la stessa cosa? L'amore e l'attenzione?". Ecco, quella individuata da suor Sarah Joan è anche una delle principali virtù del film di Greta Gerwig: la scrupolosa attenzione nel rappresentare la sua città natale, Sacramento, vista attraverso gli occhi di una studentessa dalla personalità brillante ed eccentrica nel suo ultimo, fatidico anno di liceo, mentre si prepara a 'spiccare il volo' per l'università e, possibilmente, a fuggire dalla West Coast per trasferirsi a New York, culla di un immaginario culturale mitizzato da Christine.
E in Lady Bird, attingendo ad esperienze e ricordi privati senza però sfociare in un autobiografismo tout court, la Gerwig restituisce alla perfezione uno spaccato ben preciso dell'adolescenza dei Millennials nati negli anni Ottanta: il 2002/2003 di un'America ancora scossa dagli attentati dell'11 settembre ("E il terrorismo?"; "Non fare la repubblicana!") e di una middle class gravata dai primi indizi di una recessione economica (la precaria situazione finanziaria della famiglia McPherson è uno degli aspetti chiave del film); un'epoca che sembra vicinissima al nostro presente, ma senza traccia di social network e in cui i cellulari sono ancora un lusso per pochi; in cui dalle autoradio e alle feste dei liceali si ascoltano Alanis Morissette, la Dave Matthews Band, Justin Timberlake e i Bone Thugs-n-Harmony. Un coming of age in cui alle tappe canoniche dell'adolescenza, la scuola, le amicizie, gli amori, si sommano i primi conflitti familiari e l'esigenza sempre più impellente di allentare i legami per cercare la propria strada: quella strada che la Gerwig aveva già esplorato, nella doppia veste di autrice e di interprete, nei due magnifici film nati dalla sua collaborazione con il collega e partner Noah Baumbach, Frances Ha e Mistress America.
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Frances Ha: crescere a passo di danza
E non è un caso se la stessa Greta Gerwig si è riferita a Lady Bird come a una 'costola' di Frances Ha, la commedia realizzata nel 2012 da Baumbach e da lui sceneggiata insieme alla Gerwig, alla quale avrebbe affidato il ruolo del titolo: quello di Frances Halladay, ventisettenne originaria della California che condivide un appartamento a Brooklyn con la sua amica del cuore, Sophie Levee (Mickey Sumner). La parabola di Frances, in fondo, sembrerebbe essere una naturale prosecuzione di quella di Lady Bird (benché girata cinque anni prima): l'aspirante artista di Sacramento che ha coronato il sogno di vivere a New York, antepone le proprie passioni alla stabilità finanziaria e professionale (e forse pure a quella sentimentale) e crede ancora nell'amicizia come al valore più puro ed irrinunciabile.
Se le aspirazioni di Lady Bird di frequentare una prestigiosa università della East Coast vengono stroncate sul nascere dai suoi consulenti scolastici (e da un rendimento didattico tutt'altro che eccelso), la Frances di Greta Gerwig, che piroetta gioiosa fra le strade della Grande Mela al ritmo di Modern Love di David Bowie (come l'Alex di Denis Lavant in Rosso sangue di Leos Carax), vede le sue ambizioni di ballerina puntualmente frustrate, trovandosi costretta in più occasioni a scegliere fra la spensieratezza di una vita bohémienne e i necessari compromessi dell'età adulta. Eppure il segreto di Frances, la sua capacità di suscitare la simpatia dello spettatore, risiede proprio in quell'approccio inguaribilmente romantico e sognante nelle sue relazioni con gli altri: "C'è un mondo segreto che esiste proprio qui. In pubblico non ce ne rendiamo conto, nessun altro lo conosce: è come quando ci dicono che ci sono altre dimensioni tutte intorno a noi, ma non abbiamo la capacità di percepirle. È questo che voglio in un rapporto di coppia... o dalla vita, suppongo".
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Mistress America: passione e insuccessi
Un personaggio per molti versi speculare rispetto a Frances Halladay, e di conseguenza non troppo dissimile neppure da Lady Bird, è Brooke Cardinas, co-protagonista del secondo film scritto a quattro mani da Greta Gerwig insieme a Noah Baumbach: Mistress America, gioiello datato 2015 e accostabile al precedente Frances Ha in un ideale dittico. L'egocentrismo di Lady Bird e di Frances, il loro bisogno di assicurarsi l'attenzione e la stima di coloro che le circondano, aumentano esponenzialmente nella figura di Brooke, che si 'materializza' sulla scalinata di Times Square al cospetto della più giovane Tracy Fishko (Lola Kirke), da poco approdata a New York per frequentare il suo primo anno di università e piuttosto a disagio in un ambiente e in una metropoli che accentuano il suo senso di solitudine e di inadeguatezza.
Contraddistinto da un originalissimo amalgama tra il racconto di formazione e la screwball comedy (si tratta del film più squisitamente comico della coppia Baumbach/Gerwig), Mistress America sviluppa paradossi e conflitti a partire dal rapporto fra le due comprimarie: Tracy, scrittrice in erba il cui atteggiamento naïf non le impedirà di assumere uno sguardo via via più lucido, e quella Brooke tanto carismatica quanto strampalata che racchiude in sé tutte le idiosincrasie e i caratteri tipici del personaggio-Gerwig. "Mi faccio travolgere dalle cose talmente tanto che l'entusiasmo mi blocca e non riesco a dormire o a fare nient'altro, e poi mi succede che mi innamoro di ogni cosa ma non riesco ancora a capire come realizzarmi nel mondo": perché in Brooke l'ardore genuino e fanciullesco, quell'ardore tanto ammirato da Tracy, dovrà scontrarsi inesorabilmente con le angosce e lo smarrimento dei trent'anni e con gli spettri di quei sogni - l'agognato ristorante in cui "tutti si sentiranno come nella casa in cui hanno sempre sognato di crescere" - destinati a restare tali.
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"I'm not a real person yet": il romanzo di formazione di Greta
L'adolescenza di Christine/Lady Bird, nella stagione delle sue "prime volte", del fatidico passaggio all'età adulta e dell'imminente abbandono del nido familiare; le cronache newyorkesi di Frances Halladay, ventisettenne ancora impegnata a cercare un equilibrio emotivo ed esistenziale che a tratti pare irraggiungibile; e le disavventure donchisciottesche di Brooke Cardinas, in procinto di cimentarsi con le disillusioni e i piccoli, grandi fallimenti dei trent'anni. Nella trilogia composta da Frances Ha, Mistress America e Lady Bird, Greta Gerwig ha costruito in sostanza un modernissimo Bildungsroman in cui si riflettono speranze, insicurezze e turbamenti di quella generazione diventata adulta all'alba del nuovo millennio: una generazione animata da intense passioni, innamorata dell'arte nelle sue molteplici forme e tuttora alle prese con una confusione endemica e talvolta paralizzante.
E a rendere questo romanzo di formazione così profondamente sincero e toccante, oltre che irresistibilmente ironico, è soprattutto lo straordinario tasso di empatia che Greta Gerwig manifesta per le sue "piccole donne": una vicinanza legata di certo agli echi autobiografici della trilogia, ma senza che il background di esperienze individuali impedisca ai singoli film di assumere una portata universale. "Voglio che tu sia la versione migliore di te stessa che tu possa essere", dichiara mamma Marion alla figlioletta ribelle, ribadendole il proprio amore incondizionato al di là di tutte le incomprensioni. Se il percorso di Lady Bird è appena cominciato, anche Frances, suo alter ego di dieci anni più grande, è un personaggio in divenire, come sottolinea lei stessa in una battuta rivelatrice (scomparsa nell'adattamento italiano): "I'm so embarassed. I'm not a real person yet". Mentre la chiosa di Tracy a proposito di Brooke nell'epilogo di Mistress America esprime in maniera commovente l'infinita tenerezza di Greta verso le sue scombinate, caparbie, meravigliose eroine: "Lei era l'ultima del suo genere: era fatta di passione e insuccessi. Il mondo stava cambiando, e quelle come lei non avevano più un posto dove andare. Essere un barlume di speranza per le persone è un lavoro da solitari".