Un affresco glaciale, implacabile e a tratti sarcastico della connivenza tra affari, politica e un sottobosco di piccoli criminali alla deriva. Sullo sfondo il mondo dell'industria petrolifera, che il regista Michael Zampino ha conosciuto molto da vicino per averci lavorato per quindici anni. Al centro (come leggerete nella recensione di Governance - Il prezzo del potere, in streaming su Prime Video dal 12 aprile) una riflessione sulla fascinazione del potere attraverso le dinamiche del noir. Zampino che è anche co-sceneggiatore insieme a Giampaolo G. Rugo e Heidrun Schleef, accompagna lo spettatore in una storia sugli istinti famelici dell'uomo, in un microcosmo che ha le sue regole: quelle del denaro. Per atmosfere e suggestioni Governance conferma una continuità con l'esordio alla regia del 2011, L'erede, che aveva già rivelato una precisa cifra stilistica votata all'essenzialità. Come il precedente anche questo film restituisce linfa a un cinema di genere troppo poco frequentato in Italia, nonostante gli ultimi anni abbiano visto affacciarsi tentativi sempre più coraggiosi e validi.
Un racconto noir
Il racconto di Governance - Il prezzo del potere procede lineare, la tensione narrativa dopo un breve e concitato prologo si affida a un lungo flashback, attraverso il quale si dipana l'intera vicenda. Toccherà al pubblico rimettere a posto i pezzi del puzzle: la parabola di un manager cinico e senza scrupoli, Renzo Petrucci, direttore generale della Royal, multinazionale nel settore dell'energia. Da abile conoscitore dei meccanismi di potere negli anni ha costruito una fitta rete di alleanze, salvo finire sul registro degli indagati in seguito a un'inchiesta aperta dalla procura di Milano su una gara di appalti che coinvolge il gruppo petrolifero. La società lo vuole fuori, ma convinto che a tradirlo sia stata la giovane collega francese, Viviane Parisi, pronta a sostituirlo, Renzo decide di vendicarsi, coinvolgendo l'amico meccanico, l'ignaro Michele, trentacinquenne con un passato in carcere e un lavoro precario. Presto però la situazione gli sfuggirà di mano.
Michael Zampino sa come muoversi, "tallona" i personaggi, gestisce con abilità i vari spazi delegando spesso agli ambienti il compito di restituire il diffuso senso di oppressione e inquieta normalità borghese che pervade l'intero film: dentro si agitano buoni e cattivi, luci e ombre di una sete di potere che finisce per divorare tutti in maniera tragica e grottesca. Ogni scelta ha un suo prezzo e ciascun fantasma, reietto o squalo dovrà farci i conti, ma non sapremo mai come, visto che il regista rinuncia a qualsiasi tipo di finale consolatorio, lasciando i protagonisti a boccheggiare, immortalati in un ultimo feroce quadro con i volti sospesi a mezz'aria intenti a trangugiare la loro agognata fetta di torta.
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Personaggi famelici
I personaggi che si affollano in Governance sono creature dai tratti spesso shakespeariani, già perfettamente definiti in scrittura e segnati dal proprio destino. Il cast fa il resto, ciascun interprete ne restituisce la complessità umana a partire da Massimo Popolizio, che interpreta il famelico Renzo cannibalizzando tutto. La sua carica espressiva ne definisce le sfumature di magnate spietato e incapace di rispondere ad una morale diversa da quella costruita nel proprio universo, e nello stesso tempo di padre di famiglia premuroso verso la figlia affetta da spina bifida. Renzo è guidato da un insaziabile desiderio di prevaricazione, una smania quasi primordiale che l'attore genovese riesce a rendere persino nel suo rapporto con il cibo.
È una fame primitiva, la stessa che, seppur in forme più contenute, comincerà a divorare anche Michele, l'amico meccanico disoccupato, una moglie, due figli, qualche precedente e ora la speranza di gestire una stazione di servizio grazie all'amicizia con Renzo. Ci pensa Vinicio Marchioni a dargli vita insieme ai dubbi etici che lo assalgono, complice suo malgrado di una vendetta che alla fine farà anche il suo tornaconto. Uomini biliosi e annebbiati da una follia che sembra risparmiare invece alcune delle figure femminili, seppur marginali e confinate al ruolo di madri e figlie.
Tutti però alla fine trovano una propria precisa collocazione e si rivelano in controluce, come dimostra l'istantanea finale, la sintesi perfetta dello squallore che sottende al mondo dell'affarismo e non solo.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Governance ribadendo l’indiscusso valore di un film che riesce a ridare linfa al cinema di genere. Un noir dalle sfumature shakespeariane capace di immortalare in uno scatto feroce le contraddizioni dell’animo umano divorato dalla sete di potere. Il regista, che ha vissuto da vicino per averci lavorato quindici anni, le dinamiche dell’industria petrolifera, firma un affresco di quel mondo con tono realistico e spietato, e non fa sconti.
Perché ci piace
- Un film asciutto ed essenziale nel fare della parabola del protagonista una metafora della fascinazione del potere.
- Le regole del noir si infrangono in un finale sospeso e per nulla consolatorio.
- Un cast di interpreti capace di portare in scena la complessità umana dei personaggi. Su tutto la caratura espressiva di Massimo Popolizio.
Cosa non va
- In alcuni momenti non sempre i dialoghi sono all’altezza della situazione.