Ci sono film che vivono solo in virtù di un'interpretazione. Come sottolinea la nostra recensione de Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, il biopic di Lee Daniels è uno di questi. Pur trapelando la passione per la materia trattata - la vita della Signora del Blues diventa un espediente per parlare di diritti civili e leggi razziali negli USA - a rendere la pellicola degna di visione è soprattutto l'eccezionale performance di Andra Day, cantante dalla voce graffiata e sensuale che si cimenta con una prova ardua. Gli Stati Uniti contro Billie Holiday ci mostra una Lady senza compromessi, caustica e ribelle, che si mette a nudo con il suo tragico passato, lo scarso amor proprio, la dipendenza da eroina e quell'orgoglio black che l'ha spinta a sfidare l'establishment americano e l'FBI facendo del brano Strange Fruit il suo cavallo di battaglia.
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday fornisce uno spaccato degli anni '40 negli USA in bilico tra razzismo e ribellione, tra povertà e gusto per lo spettacolo. Un'epoca di contrasti che si riflettono in un film più interessato a valorizzare la sua protagonista che ad approfondire la situazione storica. Il regista Lee Daniels sembra talmente affascinato da Billie Holiday da ritrarla come una combattente contro il sistema, capace di catalizzare intorno a sé un entourage di outsider che condivide il suo stesso sentire (lo stylist gay, l'assistente corpulenta). Un sentire moderno che si contrappone alla difficile situazione delle minoranze dell'epoca. Con una visione manichea, Lee Daniels si concentra sulla figura di Billie Holiday ritraendola non solo come un'artista preda delle sue debolezze, ma come una campionessa dei diritti civili. A confronto con lei i suoi oppressori - gli agenti dell'FBI, ma anche gli uomini sbagliati a cui si accompagna - sono figure monodimensionali mosse dall'opportunismo o dall'odio.
Dai bordelli di Harlem a Strange Fruit, la parabola esistenziale della Signora del Blues
Lee Daniels non è regista avvezzo alle sottigliezze e converte lo script di Suzan-Lori Parks in un film lineare, privo di picchi. Gli Stati Uniti contro Billie Holiday si concentra su una duplice immagine della cantante: quella pubblica, grintosa e affascinante, che si esibisce sui palchi di mezzo mondo in abiti scintillanti e trucco pesante mentre ammalia il pubblico con la sua voce, mentre quella stessa voce roca, nel suo privato autodistruttivo, si lamenta di continuo non poter fare a meno "della sua medicina". Ingabbiata in questa duplice rappresentazione, sono pochi i momenti in cui Lee Daniels si avvicina alla verità di Billie Holiday, come quello in cui la cantante rilascia un'intervista sincera al giornalista radiofonico queer Reginald Lord Devine, figura inventata interpretata da Leslie Jordan.
Lee Daniels assume che l'origine dei comportamenti di Billie Holiday sia il dolore che si porta dentro, originato dalla sua infanzia turbolenta nel bordello di Harlem in cui lavorava la madre, e ce lo rivela con una serie di sporadici flashback che talvolta virano improvvisamente al bianco e nero. Ma il regista si concentra soprattutto sugli ultimi anni della vita e della carriera della cantante, morta nel 1959 dopo trent'anni di gloriosa carriera, e sulla sua insistenza a cantare Strange Fruit nonostante il divieto del governo americano e la persecuzione da parte del Federal Bureau of Narcotics dell'FBI e del suo capo, Harry Aislinger, interpretato da un perennemente accigliato Garrett Hedlund, alla ricerca di un pubblico riscatto dopo il fallimento del Proibizionismo
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Una narrazione che non sempre rende giustizia alla sua interprete
Con un approccio simile a Judas and the Black Messiah, altro biopic su un campione dei diritti degli afroamericani, Gli Stati Uniti contro Billie Holiday semplifica la rappresentazione della protagonista dividendo la narrazione tra il punto di vista della Holiday e quello dei suoi detrattori e traditori. La cantante amata indistintamente da bianchi e neri viene ripetutamente pugnalata alle spalle da mariti e manager senza scrupoli che la usano solo per far soldi, ma c'è un'eccezione. L'unico personaggio maschile degno di complessità è l'ex veterano di guerra e agente dell'FBI Jimmy Fletcher, a cui Aislinger affida il compito di raccogliere le prove della tossicodipendenza della Holiday, ma che ben presto si innamora di lei mostrandole la possibilità di un'esistenza diversa. Trevante Rhodes offre un ritratto interessante e sfaccettato, per quanto possibile, dell'unico uomo rimasto al fianco della cantante in tutta la sua parabola discendente.
Se le figure di contorno, a esclusione di Fletcher, si configurano per lo più come inciampi nella rappresentazione dell'anima complessa di Billie Holiday, va detto che la performance di Andra Day, che le ha fruttato una candidatura all'Oscar, è davvero eccezionale. Naturale e a suo agio anche nei momenti più intimi, la Day passa con disinvoltura dalla suadente Billie Holiday del palcoscenico all'eroinomane sboccata e aggressiva che giace sui divani dei camerini in una continua trasformazione fisica e psicologica. Uno spettacolo per gli occhi, e per le orecchie, visto che Andra Day esegue i brani indimenticabili della Holiday, da All of me a I've Got My Love to Keep Me Warm passando per l'iconica Strange Fruit, scritta dal comunista Abel Meeropol. Nonostante i limiti del biopic che la vede protagonista, la sua interpretazione è il miglior omaggio possibile alla Signora del Blues.
Conclusioni
La recensione de Gli Stati Uniti contro Billie Holiday sottolinea l'efficacia della performance di Andra Day nell'interpretare la Signora del Blues in un ritratto appassionato, ma non sempre efficace a livello narrativo. Billie Holiday, narrata durate la parabola discendente della sua carriera fino alla morte prematura, nelle mani del regista Lee Daniels diviene una campionessa dei diritti civili, ma anche una figura tragica in un'opera che manca di profondità nello scavo psicologico del personaggio e del contesto storico.
Perché ci piace
- La performance sublime di Andra Day, naturale ed efficacissima,
- Gli splendidi brani del repertorio di Billie Holiday, eseguiti da Andra Day con la sua voce graffiata.
- Il fascino di un personaggio che si è distinto per sensibilità in un'epoca di oscurantismo.
Cosa non va
- La fascinazione del regista Lee Daniels per il personaggio è indubbia, ma il racconto manca di profondità, soprattutto nella messa in scena dei personaggi di contorno.
- Alcuni vezzi registici, come il passaggio repentino al bianco e nero, distraggono dal racconto principale.