Potrebbe essere addirittura riduttivo parlare di premi e premiazioni in relazione ad un film magnifico come Gli Spiriti dell'Isola. Del resto, un Oscar, un Golden Globe o qualsivoglia riconoscimento che mette in competizione opere tra loro diverse, non toglie e non aggiunge nulla alla qualità artistica e al valore squisitamente narrativo. Allora, i premi sarebbe meglio intenderli come un gioco, almeno dal punto di vista degli appassionati, o dal nostro che abbiamo l'onore o l'onere di giudicare oggettivamente una pellicola, provando a raccontarla senza soffermarci troppo sui tecnicismi. Una cosa, però, è certa: appena sono uscite le candidature agli Oscar 2023, ci siamo soffermati sulle nomination alla miglior sceneggiatura originale. Il motivo? Lo spiega, appunto, lo strepitoso film diretto e scritto da Martin McDonagh.
Non c'è nessun vezzo stilistico, non può esserci nessuna esperienza estetica senza una grande sceneggiatura che supporti la struttura materiale che compone un racconto audiovisivo: attori, scenografia, costumi e luci, nel loro complesso, sono una conseguenza della stessa sceneggiatura. Per questo, la scintilla che accende un'opera è la parola che compone il soggetto, capace di rendere memorabile la visione.
Nel nostro approfondimento, cavalcando l'entusiasmo che abbiamo provato alla Mostra del Cinema di Venezia 2022, quando vedemmo in anteprima The Banshees of Inisherin (titolo originale con cui venne presentato in Concorso, ottenendo la Coppa Volpi e il Premio Osella per la Sceneggiatura), vi spieghiamo quindi perché il quarto lungometraggio di Martin McDonagh sia un manifesto, la prova esatta di quanto una sceneggiatura possa creare il giusto entusiasmo cinematografico dal forte valore emozionale, trascinandoci in una dimensione cinematografica elevata da uno storytelling fatto di anima e cuore.
Da Ebbing a Inisherin
Così com'è Gli spiriti dell'Isola che, basandosi su una manciata di elementi interscambiabili (e sovrapponibili), riesce ad esaltare una sensibilità strabordante tenuta in equilibrio da un tono prima giocoso e poi raccapricciante, prima cupo e poi luminoso, finendo per sconfinare in personaggi eccentrici e ineccepibili, mentre dietro il panorama irlandese è letteralmente avvolto da un senso leggendario che si pone tra la geografia umana, folkloristica e quella territoriale. Il tutto, meravigliosamente racchiuso in una riga di trama: 1923, mentre imperversa la Guerra Civile Irlandese, sull'isola nebbiosa di Inisherin (immaginaria) va in scena un altro conflitto, quello tra Padraic, bonario pastore che vive con sua sorella Siobhán e con la sua amata asinella Jenny, e Colm, un violinista taciturno che vive in compagnia del suo fedele cane.
Un giorno, di punto in bianco, Colm decide di tagliare il rapporto che ha con Padraic. Perché? "Semplicemente non mi piaci più", risponde l'uomo all'incredulità dell'ex amico, oltre che a noi, spiazzati tanto quanto il probo Padraic. Tutto qui, tre protagonisti, interpretati rispettivamente da Colin Farrell, Brendan Gleeson e Kerry Condon (tris candidato agli Oscar 2023) e un isolotto roccioso sferzato dal vento che, pur non apparendo su nessuna mappa reale, ha una geografia inconfondibile e autentica che finisce per alterare la sceneggiatura e, appunto, le azioni di Colm e Padraic.
Gli Spiriti dell'Isola, la recensione: ci vorrebbe un amico
Ironia e pettegolezzi
Un luogo governato dagli spiriti (che potrebbero essere gli stessi animali, protagonisti tanto quanto le controparti umane, se vogliamo addentrarci in una ulteriore lettura, come potrebbe essere la strega che profetizza i drammi, fattore essenziale nel folkore irlandese), ideato da Martin McDonagh secondo i canoni della sua sensibile drammaturgia: un confine cinematografico (e teatrale) che si allarga da Inisherin e tocca Bruges, fino a scavalcare l'Oceano: Spokane, Washington (dalla pièce A Behanding in Spokane, datata 2010) ed Ebbing, Missouri. Oltre il mare, i cannoni della guerra, prontamente ignorati dagli isolani: del resto ogni grande scontro ha radici più profonde e non sempre spiegabili, nonostante il senso del conflitto - stipulato dalla scrittura di McDonagh - sia ridicolo e inconcludente.
Esatto, il paradigma è applicabile a Colm e Padraic, migliori amici destinati tanto alla commedia quanto alla tragedia. Una sensazione che pervade e si destreggia tra la comicità, l'ironia e il senso ambiguo della bellezza, in uno standard narrativo sottile, elegante e anti-convenzionale, avallato da un'impeccabile messa in scena dai tratti pittorici impressionistici. Ma, alla fine, è la scrittura a garantire la qualità e la riuscita, mettendo sullo stesso livello un pettegolezzo, un asinello con un fiocco rosso e una promessa da ricostruire. Contorni di una vicenda di puro cinema, e dunque di pura (ed eccezionale) narrazione letteraria.
Golden Globe 2023: il trionfo di The Fabelmans e Gli spiriti dell'isola