Non è vero che i numeri dicono sempre la verità (specialmente se non è possibile certificarli), ma è vero che possono essere un punto di partenza per leggere dei contesti altrimenti nebbiosi, ambigui e oggetti di pareri accesi e contrapposti. Tipo la riuscita o meno di una serie come Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere. Sono i campi di discussione più stimolanti, i dibattiti più coinvolgenti, ma anche quelli dove gli equivoci sono dietro ad ogni angolo, motivo per il quale una traccia (specialmente questa traccia, che nel nostro caso è quella che più conta) può essere utile.
Alla data di rilascio del suo final season, la serie Prime Video, conta 150 milioni di spettatori e conferma (come tra l'altro si era già annunciato qualche settimana fa) di essere era entrata tra i cinque show più visti dello streamer, ma dimostra, allo stesso tempo, un grande calo rispetto alla sua prima parte, sia per quanto riguarda la crescita che il numero totale del pubblico. Il titolo creato da J. D. Payne e Patrick McKay si ritaglia quindi ancora un grande spazio nel mercato, guadagnandosi il proseguo, ma non è ciò che Amazon si aspettava potesse essere.
I numeri ci giustificano la certezza del futuro, ma, allo stesso tempo delineano di un quadro pieno di incertezze, restituendoci la forma di una serie che, fin dall'inizio, è sembrata divisa tra la motivazione nel cavalcare il suo immaginario di partenza per fare qualcosa di personale e la paura di depauperarlo, con il rischio di venirne schiacciata. Questa ambivalenza ha portato ad un continuo e quasi isterico work in progress (vedasi anche l'ennesimo cambio di sceneggiatori), all'interno del quale la direzione si intravede, ma viene costantemente minata da aggiunte, rimaneggiamenti e ripensamenti. Una serie che non si fida di se stessa e della sua capacità di parlare al pubblico. Un fallimento quindi? No, ma c'è da interrogarsi su quale direzione potrà intraprendere allo stato delle cose.
La terza stagione? Fare senza disfare
L'idea di ripensare l'epica della storia di J. R. R. Tolkien e trasformarla in qualcosa di diverso e più contemporaneo era rischiosa, ma incredibilmente interessante. Il centro di gravità permanente del lavoro di scrittura de Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere è stato indirizzato alla ricerca della complessità e del lavoro sulle sfumature su tutti i protagonisti, a prescindere dalle razze varie ed eventuali. La "love story" tra Galadriel e Sauron, seguita da quella tra Sauron e Celebrimbror, sono il fil rouge di un ragionamento che ruota intorno alla visione di luce e ombra come due facce della stessa medaglia e, di fatto, anche gli Anelli rispecchiano questa dualità. La stessa che troviamo in Adar, l'aggiunta più interessante della serie, frutto del rapporto malsano tra Orchi ed Elfi, e dimostrazione che qualsiasi classismo è bannato. Nuclei significativi, oscurati però da troppo altro.
Al di là dei difetti di sceneggiatura, nella costruzione dei tempi, nelle logiche narrative e nella mancata evoluzione di personaggi, i quali, in una svolta ancora più low fantasy, non trovano un loro spazio di manovra, quello che penalizza di più le intenzioni di questa seconda stagione è la sua dichiarata arrendevolezza di fronte all'intento di camminare senza stampelle. L'abbandono totale al citazionismo di qualcosa che ha già fatto breccia nel cuore dei fan di tutto il mondo è talmente seminale per lo sviluppo della serie stessa da divenire tropo spesso la sua matrice creativa, facendo del resto una conseguenza, invece del contrario.
Le tante trame verticali finiscono con appiattirsi le une sulle altre, penalizzandone alcune laterali al punto da renderle superflue, pigre, a tratti incomprensibilmente involute. Le loro fattezze sembrano quelle di appendici riempitive, concepite proprio per creare i rimandi di cui sopra alle due trilogie di Jackson e non solo. Allo spettatore viene dato in pasto un concentrato di antico vestito da nuovo, riproponendo pedissequamente soluzioni visive, estetiche, formali e dialogiche senza, a volte (è questa è la cosa più grave) una reale organicità. Ad una possibile nuova visione si preferisce un potpourri in cui si cerca di fare senza disperdere. Una ricetta difficilmente rinnovabile per le cinque stagioni previste e confermate a gran voce da Amazon, che è parsa però anche consapevole di dover porre dei correttivi.
Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere e un futuro da affrontare
La questione allora diventa capire da cosa ripartire per Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere. Una domanda da un milione di dollari, o, anzi, 14, tipo quelli stimati per il budget investito in ogni puntata della seconda stagione. Un punto di partenza può essere proprio il buon uso di questi grandi investimenti, assolutamente migliorato rispetto alla precedente stagione, con una parte effettistica, scenografica ed estetica veramente notevoli e utili nel correggere dei difetti passati piuttosto evidenti. Il quesito successivo riguarda la storia.
Attenzione, nel prossimo paragrafo possibili SPOILER.
Libri (o appunti o lettere, fate voi) di Tolkien alla mano, quello che si può notare in questa seconda stagione è una grande accelerazione nel ritmo con cui la storia viene raccontata: il sacco dell'Eregion e la morte di Celebrimbor sono alle spalle, così come la creazione degli Anelli, già tutti consegnati tranne i Nove degli uomini. Probabilmente il prossimo passo sarà proprio quello, con l'arrivo di Annatar in quel di Númenor e l'inizio del racconto di ciò che porterà alla sua caduta nell'apice del fallito regno di Ar-Pharazôn. L'idea di una stagione improntata sui Dúnedain (con la parallela costruzione di Gran Burrone) potrebbe essere in linea alla strada che ha preso l'adattamento, magari posticipando la creazione dell'Unico e la nascita dei Nazgûl. L'alternativa potrebbe essere quella del primo grande scontro tra l'Oscuro Signore e i Popoli Liberi, anche se l'avvenuta caduta dei Noldon lascia pensare che sia un capitolo chiuso. Un'umanità al centro ci pare l'ipotesi più probabile, dato che, dopotutto, rispecchia l'intento che la serie ci ha sempre comunicato in tutti i modi possibili, cercando di trasporla sia negli Uruk, che nei suoi Alti Elfi e, persino, in Sauron.
Chiudiamo proprio con l'icona de Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere. Sauron, specialmente in questa seconda stagione, racchiude tutte le contraddizioni di un titolo che intorno ad una nuova idea di Male si è costruito. Un Male idiosincratico, interpretabile e quindi ancora più pericoloso, che avvelena tutto, persino colui che lo crea, un antieroe che ne diventa la prima vittima. Una strada ipotizzabile verso le nuove stagioni potrebbe essere questa, e le conclusioni (anche se il final season lascia dei dubbi) sarebbero potenzialmente rivoluzionarie. Germogli di nuovo, che possono crescere a patto che si lavori su uno sviluppo finora incerto e che ha spesso litigato con l'idea di emanciparsi da ciò che si è già visto e amato. In una produzione di questa portata l'idea di procedere da soli con il rischio di cadere è difficilmente contemplabile e la situazione non cambierà finché i numeri non lo vorranno. Qualcosa però ci hanno detto alla fine di questo secondo atto. Continuiamo a tenerli d'occhio.